Il Fiore e l'Artiglio + Versi...

Par CactusdiFuoco

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[STORIA COMPLETA] Mark McWoodland è un giovane contadino che per sbarcare il lunario aiuta l'impresario di po... Plus

Prologo: 1968
PARTE PRIMA
1. 1980 - Città
2. 1980 - Campagna
3. Parlando di cani
4. La maledizione dell'ultimogenito
5. Passi di topo
6. Il mangiacalzini
7. Per noia
8. "Vendrá a ver al hombre muerto"
9. Con i morti e con i tuoi pensieri
10. L'inizio della guerra
11. Con la testa in mano al boss
12. Te ne sei accorto, ragazzo?
13. Il rospo equivoco
14. Scambio epistolare (parte prima)
15. Scambio epistolare (parte seconda)
16. Summer Spring
17. Burubullone
18. La forza di una sanguisuga
PARTE SECONDA
19. Scambio epistolare (parte terza)
20. Una lettera mai spedita
21. Il ritorno
22. Che razza di sogni, bambina mia
23. Denti
24. Una piccola rivelazione
25. Istruzioni per contrabbandare droga
26. La scoperta del boss
27. Le aquile
28. Guardare in faccia i problemi
29. Al lavoro in fattoria!
30. Un pericoloso ospite inatteso
31. Mark contro tutti
32. Catturato
33. La tortura
34. Salvataggio
35. Un solo bacio
36. La telefonata
37. Giocare al gioco
39. Le parole dei poliziotti
40. Andrà tutto bene
41. Un accordo oscuro
PARTE TERZA
42. Golden killer
43. Odori
44. Scambio epistolare (parte terza)
45. Lingua ruvida
46. L'ultima lettera
47. Ultimi attimi prima della libertà
48. Belle sorprese
Epilogo
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38. La notte e l'Italia

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Par CactusdiFuoco

Mark si sentiva soffocare. Non sapeva se quel caldo era naturale, un'improvvisa afa notturna, o se era perché il suo corpo stava in qualche bizzarro modo combattendo la sofferenza. Stava coricato su un fianco, per non pesare sulle frustate o sul taglio sul petto, e cercava di non fare rumore mentre respirava disperatamente, assimilando più aria che poteva. Era stanco all'inverosimile, ma non riusciva ad addormentarsi.

"E se usassi la magia per guarirmi da solo? Non è un rituale troppo difficile... ma no. No, se lo faccio mio fratello e Sara se ne accorgeranno. Mi hanno visto tutti, non posso fare finta di stare bene"

"E se cancellassi la loro memoria riguardo ai fatti di ieri? Ma no, non sono bravo a cancellarli in modo selettivo, e se gli facessi scordare della minaccia incombente di Maverick, rischierebbero di andare a buttarsi dritti dritti in qualunque sua trappola. Quel folle di Lennart li ucciderebbe entrambi, perché entrambi non saprebbero che è un pericolo"

"E se stanotte uscissi? Se andassi a cercare Lennart, se... se..."

Troppi pensieri ronzavano nella sua testa. Di tanto in tanto, quando chiudeva gli occhi, sentiva passi fantasma nella stanza e si guardava intorno cercando di vedere qualcosa che non c'era.

Rotolò giù dal letto, sdraiandosi sul pavimento nella speranza che fosse più fresco. Non lo era. Un fuoco consumava dentro il ragazzo, un incendio inestinguibile.

Scese al piano di sotto, bevve e si bagnò il collo. Si sentiva come in un limbo, indeciso sul da farsi. Non poteva dormire, ma anche solo muoversi gli faceva male. Timothy aveva preso un antidolorifico, lui aveva rifiutato: quella robaccia gli scombussolava sempre lo stomaco e gli dava gli incubi. Ma ora non era più tanto certo che fosse stata la scelta migliore. Gli incubi sarebbero venuti lo stesso.

"Gli incubi, non c'è un incantesimo per fermarli, vero? E anche se ci fosse, Paul non me l'ha insegnato".

Portò da bere ai prigionieri legati alla staccionata e senza dire niente li portò uno alla volta in bagno. Si prese cura di loro, ma non rispose a nessuna delle loro domande né suppliche: era come sordo alle loro voci, come se non fossero parole umane, ma versi animali. Accarezzò Jacob sulla testa prima di legarlo di nuovo, più strettamente ancora. Lo sentì piagnucolare, ma non ci fece caso: quel piagnucolio non interferiva con il suo dolore, con la sua ansia e con i suoi pensieri, né nel bene, né nel male.

Quando fu slegato, Orson provò a scappare, ma Mark lo immobilizzò spingendolo con una mano contro la staccionata e lo minacciò con voce dolce.

«Shh... non provarci... non provarci o dovrò ucciderti».

Orson ci credette, impressionato da quella forza, e rimase immobile. Mark lo condusse in bagno, poi legò di nuovo anche lui al suo posto.

Il cielo sopra le loro testa era un'immensa trapunta di stelle. In lontananza si udì il grido di un coyote. Mark si portò una mano al petto, che bruciava ancora, anche se molto meno di prima.

Il giovane McWoodland sapeva che non sarebbe mai riuscito a dormire, così sellò Rasputin e lo cavalcò senza meta. Ad ogni passo del cavallo, una fitta sorda si propagava in lui, ma era un dolore quasi rassicurante, paragonato alla sensazione di soffocare che il ragazzo aveva avuto a letto.

Ascoltò il respiro del vento, che pareva una cosa viva mentre frusciava fra i filari di alberi e accarezzava gli scheletri gialli dell'erba, come l'ansito di un drago addormentato.

Poi vide un ragazzo. Era seduto contro il tronco di un albero morto ed indossava una divisa da poliziotto. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, i capelli corti e neri, le mani posate sulle ginocchia.

Il ragazzo si accorse del cavallo che si avvicinava ed ebbe un breve moto di paura.

«Buonasera» Salutò Mark

«Buonasera» rispose il giovane agente, con un accento italiano fortissimo

«Se non sono indiscreto, cosa fai qui?»

«Oh, faccio un turno di sorveglianza notturno. Mi ha mandato lo sceriffo Chang»

«Conosco Chang. Ti ha mandato nelle mie terre?»

«Sì» il ragazzo annuì, assonnato, poi indico vagamente l'orizzonte «Dicono che di notte ci sono dei trafficanti che si aggirano in questa zona e... beh... ci hanno messi a guardia».

Mark capì che parlavano degli uomini di Hector Ugalde e si chiese se, oltre a proteggerlo, non usassero l'isolamento della campagna per i loro affari malavitosi. Oh, ma certo, era ovvio... non esiste uno spacciatore buono.

"E se invece di uccidere Lennart di persona andassi a parlare con Ugalde? Potrei raggiungere i suoi uomini, ci metterebbero in contatto, magari ci proteggerebbe..."

«Tu sei il padrone del ranch?» Gli domandò il ragazzo, strappandolo dai suoi pensieri

«Sì» Mark fece avvicinare il cavallo «Sono Mark McWoodland»

«Già» l'agente annuì di nuovo «Me l'avevano detto. Non mi aspettavo solo, che tu fossi, ecco... e poi non mi aspettavo di incontrarti al mio primo giorno di lavoro qui» si alzò in piedi e si colpì il fondo dei pantaloni per staccare la polvere che si era appiccicata «Molto piacere, mi chiamo Carlo Cigna»

«Italiano, giusto?» Mark si sporse dalla sella per dargli la mano «Molto piacere»

«Sì, sono italiano. Non badare a me, sono qui solo per sparare ai cattivi, non... non ho intenzione di metterti i bastoni fra le ruote».

Mark scese da cavallo e l'agente indietreggiò con un sobbalzo, chiaramente soppesando le proprie possibilità di fuga. Aveva paura di lui, come poteva pensare di vedersela con "i cattivi"?

«Carlo» Mark zoppicò verso di lui

«S-sì?»

«Cosa ci fai qui? Non qui-qui, intendo in America. Perché sei venuto negli States?»

«Ah. È una lunga storia» lui sorrise, ma con poca convinzione «Sono venuto qui con mio zio, che è nel ramo del commercio internazionale. L'America è fantastica... e così sono rimasto»

«E l'Italia? Com'è?» domandò Mark, che bramava una distrazione dai propri pensieri

«È... l'Italia» Carlo si strinse nelle spalle «Si mangia bene»

«Posso farti compagnia? Solo se vuoi».

Carlo Cigna guardò in alto, verso la faccia del padrone di quelle terre, e si chiese come potesse fare un essere umano ad essere così grosso. Sembrava uno di quei lupi mannari di cui gli raccontava sua madre, di quelli non solo sfortunati, ma proprio cattivi, che giravano di notte anche quando non c'era la luna piena e volevano mordere la gente perché ormai erano diventati dipendenti dal sapore della carne. "Lupunazzi" li chiamava sua madre.

«Non ho niente da fare» Disse l'agente «Ma sono sicuro che invece tu hai un sacco da fare e non voglio rubarti tempo. Davvero, fai pure come se io non esistessi, come se io non fossi qui, sono solo... una statua. Una statua di videosorveglianza, ecco»

«Se vuoi che me ne vada, me ne andrò» promise Mark «Ma se vuoi compagnia, rimarrò»

«Puoi andare» il giovane agente di polizia gli sorrise «Sto bene da solo».

Mark risalì a cavallo, cercando di non far leva sul dito del piede rotto.

«Ti auguro una nottata tranquilla, agente Cigna»

«Oh, oh, beh, grazie. Buonanotte».

Mark fece girare il cavallo e iniziò ad allontanarsi. I pensieri che gli ronzavano in testa, e che per un attimo si erano attenuati, ritornarono a pungerlo con rinnovata ferocia. Aveva voglia di battere la testa contro una roccia finché non fosse svenuto, ma non gli sembrava un'idea intelligente.

"Svenire non ci salverà. Anzi, sarebbe un bel problema e farebbe preoccupare tutti, se me stessi riverso per terra e lontano da casa da qualche parte dove non possono trovarmi...".

«Aspetta!» Gridò Carlo dietro di lui, correndo «Ci ho ripensato! Puoi restare».

Poco dopo, Mark e il piccolo italiano erano seduti vicini e dividevano una brioche piena di crema al cioccolato. Era un dolce morbido, burroso, profumato, lucido all'esterno e morbido all'interno.

«A stare da soli al buio ti metti paura» Disse Carlo «Specie se stai da solo»

«Non hai un collega? Di solito si fanno in due, queste cose»

«Avevo un collega» l'agente fece una smorfia «Ma se n'è dovuto andare. Ha preso una chiamata alla radio dove gli dicevano che stava nascendo sua figlia, così sono rimasto da solo»

«Che sfortuna»

«E il primo giorno qui, per giunta! In un posto che non conosco per niente! Al buio, da solo e... e...» schioccò le dita due volte, poi alzò un indice «Non mi ricordo la parola in inglese che volevo dire. Ma mi hai capito, no?»

«Certo» Mark diede un minuscolo morso al suo pezzo di brioche

«E tu? Cosa fai in giro a quest'ora di notte?»

«Sono insonne e ansioso»

«Mi dispiace per te. Posso fare qualcosa per te? Per aiutare?»

«Credo proprio di sì. Puoi raccontarmi del tuo paese. Sono curioso. E mi distrarrà»

«D'accordo. Se è per questo... certo. Ti racconterò».

Carlo Cigna era nato in una paesino della Sicilia, Caltaleone. Era un posto assolato, vicino al mare, con le case dipinte di bianco o di azzurro e un minuscolo porticciolo sempre affollato di pescatori. La gente la distingueva in Caltaleone e Caltaleone marina, ma in realtà era tutto lo stesso comune e non c'era una separazione molto netta fra le due parti della città, se non che una si trovava più vicina al mare e l'altra era parzialmente costruita sulle colline.

Le stradine erano caotiche, non come nelle città americane dove i quartieri sono quadrati e ordinati, così tanto che si possono dare i numeri alle strade. Le strade di Caltaleone non avevano numeri, solo nomi, e a volte avevano due nomi: quello vecchio e quello nuovo e la gente le chiamava un po' come gli pareva, perché tanto le indicazioni stradali si basavano su dove si trovava un certo negozio o una certa pianta o una certa persona. Certe persone non si spostavano mai, quindi erano diventate parte del paesaggio: Zia Micuzza Cosomano stava seduta sempre su una sedia in via Camillo Benso Conte di Cavour, con un gatto in braccio, mentre il signor Russo passeggiava avanti e indietro dalla biblioteca al negozio di paste secche ogni mattina, fungendo da perfetta indicazione per chi cercasse quei due luoghi.

Un uomo con un carretto vendeva la frutta per le strade e urlava le varietà che possedeva.

«La gente vende la frutta con un carretto?» Domandò Mark, intrigato

«E anche i gelati. E gli asciugamani. Un sacco di cose, a dire il vero: se ne vanno in giro con un treruote o con un vecchio carretto col cavallo e offrono cose varie, tipo di aggiustare le cucine a gas, e urlano per le strade»

«Un treruote?»

«È una macchina con tre ruote. Beh, più un... come lo chiamate... è come un pick-up. Ma piccolo. Molto piccolo. Ed è aperto dietro, proprio come un pick-up, e lì c'è tutta la frutta che vendono»

«Wow».

Mark provò ad immaginarsi una piccola città bianca e azzurra, arroccata su una collina vicino al mare, dove alcuni negozi se ne andavano in giro su tre ruote. L'Italia era davvero un posto fantastico.

«Sembra il paradiso» Commentò sincero McWoodland

«No. No. Molti scappano e vengono qui negli Stati Uniti perché qui è più facile guadagnare. Lì è tutto molto fermo, è stagnante e ci sono sempre gli stessi vecchi lavori: il calzolaio, il contadino, lo... come lo chiamate quello che pulisce i camini?»

«Lo spazzacamino?»

«Quello. Qui è diverso, è tutto più grande e più... ci sono più opportunità. Per tutti»

«E la gente? Com'è la gente della tua terra?» domandò ancora Mark

«Semplice» disse Carlo, stringendosi nelle spalle, poi gli raccontò di come le vecchiette si vestissero quasi tutte di nero e le ragazze portassero i capelli lunghi, a volte intrecciati, e gli uomini indossassero berretti chiamati "coppole".

Gli raccontò di come quelli che avevano della terra passassero lì le loro vacanze, senza mai viaggiare verso località turistiche, e di come i professori venissero riveriti quasi fossero importanti attori. A Caltaleone i ragazzi e le ragazze che stavano insieme raramente si tenevano per mano e si corteggiavano danzando alle feste di paese, quando arrivavano solo piccoli gruppi con l'organetto, la chitarra e il tamburello e praticamente mai i "veri" musicisti. Non c'era niente di grandioso, nessun imprenditore, nessun film che venisse girato lì, nessun grande scrittore, e l'edificio più alto della città aveva sette piani.

Ma l'aria profumava di salsedine e di arance, del sapone di Marsiglia che era servito per lavare i panni stesi da una casa all'altra o sui balconi, sulle terrazze, e i gatti camminavano sui tetti, le rondini si posavano sui fili dell'elettricità a migliaia in primavera. La gente si salutava baciandosi sulle guance e gli amici si abbracciavano e si invitavano al bar, si ballava nelle piazze o nei vicoli solo per divertirsi e i bambini, quando non c'era scuola, correvano fra le case...

Mark si accorse che, mentre parlava, Carlo aveva iniziato a lasciarsi trasportare e ora aveva gli occhi lucidi.

Quel giovane italiano era venuto in America, confondendo i soldi con la felicità, con la libertà. Più grande non è più bello, più grande è solo più grande e può significare anche più vuoto.

«Io non potrei farlo» Disse Mark

«Che cosa?»

«Non potrei lasciare il posto in cui sono nato. Il mio cuore è qui, con le aquile» indicò il cielo «E con le stelle. Ho le mie bestie qui. E non credo che potrei vivere da qualche altra parte senza morirne... ma Caltaleone sembra un bel posto e, se avessi soldi, ci verrei in vacanza»

«Sei il padrone di queste terre» Carlo sbuffò, trattenendo una piccola risata «Penso che tu abbia i soldi per venirci, no?»

«È un grande ranch, produce molto, ma ha bisogno anche di molte spese. Non sono ancora abbastanza ricco. Fra qualche anno...»

«Cavolo. E io che pensavo di parlare con un miliardario»

«Da voi, in Italia, i contadini o gli allevatori sono ricchi?»

«Ehm... no. Di solito»

«E allora perché dovrebbe essere diverso qui?»

«Perché questa è l'America».

Mark gli sorrise. A ben guardarlo, quell'agente doveva avere la sua stessa età, ma sembrava così giovane... così ingenuo. Chissà se sarebbe diventato un bravo sbirro.

"Non ci sono bravi sbirri e non ci sono bravi spacciatori, non qui. Qui o ti adatti o muori e l'unico adattamento che rimane è quello di diventare una bestia feroce".

«Ti do un consiglio, agente Cigna. Fatti trasferire in una città piccola. Lontana da qui, un posto più tranquillo, dove la gente si conosce. Un posto meno zeppo di criminalità, in cui non ti butteranno al buio in un ranch che non conosci»

«Sembra un buon consiglio» disse Carlo, pensieroso «Grazie».

Mark chiuse gli occhi. Il dolore ormai si era affievolito, era ovattato e lontano, come se il corpo non fosse veramente suo, ma come se quelle sensazioni fossero immaginarie.

«Parlami dei cani della tua terra» Disse Mark «Come sono? E i cavalli?».

Carlo gli disse dei piccoli volpini e dei loro incroci, che proteggevano le case con il loro abbaio acuto, e dei meticci di ogni forma che giocavano con i bambini, dei mastini dietro i cancelli delle ville dei dottori e dei macellai, dei pastori tedeschi e dei segugi italiani dalle orecchie lunghe che abbaiano come se piangessero quando puntano la preda. Gli disse dei cavalli bianchi con i pennacchi in testa che trainano i carretti dipinti per i turisti e di quelli bruni della gente di campagna che vengono usati per tutto, dalle passeggiate all'aratura della terra.

Si interruppe quando vide che il gigante si era addormentato, con la testa chinata sul petto. L'espressione inquietante e addolorata, che era stata stampata sul suo volto, ora era scomparsa: sembrava più giovane, meno che ventenne, nonostante fosse tanto robusto.

Carlo sorrise, sentendosi stranamente in pace con tutto il mondo. Si alzò, legò il cavallo di Mark all'albero, e guardò all'orizzonte. Ogni traccia di paura era scomparsa dal suo cuore, interamente sostituita da una dolce nostalgia.

E mentre si accorgeva davvero di quanto meravigliose fossero le stelle sulla sua testa, e del fatto che quella luna fosse la stessa che la sua famiglia vedeva a casa, pianse per la prima volta da quando era arrivato in America, non di tristezza, ma di una gioia che non sapeva spiegare se non con la felicità di camminare su questo pianeta, dove dovunque poteva essere casa, ma tutti abbiamo la nostra stanza preferita.

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