Yellow Chat

By Clay985

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Monica, benestante e viziata, è stufa di non avere uno scopo nella vita e accetta di lavorare per Yellow Chat... More

Prologo
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Epilogo

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By Clay985

Cercando di non farsi prendere dal panico, Sharon cercò di ricordare quanto appreso nei corsi di Pronto Soccorso (a cui non aveva fatto riscontro alcuna pratica) per verificare le condizioni di salute di Monica, priva di sensi da diverso tempo. Le tastò il polso e il collo e appurò fosse ancora viva, ma il veleno aveva ormai intasato le sue vie respiratorie e mancava poco tempo prima di cadere nel baratro.

Si alzò, conscia di dover accelerare i tempi se voleva salvare l'amica e sé stessa da una fine ormai vicina. Poco prima, tastando la parete, aveva scovato una cavità profonda, larga abbastanza per contenere un peluche di medie dimensioni. Non aveva la certezza che si trovasse là dentro, ma era l'unica pista che possedeva. Fece un passo ma si bloccò dopo un forte colpo di tosse, poi illuminò il palmo della mano, sporco di sangue.

"Cazzo!" esclamò tra a sé e sé. Cercò di ignorare l'avvenuto, ma dopo un solo passo fu costretta a fermarsi nuovamente, colpita da una tremenda fitta al petto che le fece quasi mancare il respiro. Prese così a boccheggiare, convinta che sarebbe in tal modo potuta resistere almeno fino alla parete doveva aveva trovato l'anfratto, ma il destino la pensava diversamente e qualche istante dopo le sue gambe cedettero, facendola capitombolare.

Azzardò un tentativo opaco di rimettersi in piedi, ma sembrava che la forza di gravità fosse più acuta di quanto ricordasse e la costrinse ad appoggiare il viso al suolo, avvolta dal gas tossico che aveva invaso la quasi totalità della stanza, nascosto come un vile nemico dall'oscurità. Passarono alcuni secondi, durante i quali Sharon rimase a terra apparentemente priva di sensi, ma chi la stava osservando si stupì di vederla alzare il capo, salutando nuovamente il mondo con un agghiacciante respiro soffocato.

Incapace di tornare verticale, prese a muoversi a carponi, alternando momenti in cui i suoi gomiti, cedendo, la obbligavano a strisciare sulla superficie liscia del pavimento ad altri in cui invece si faceva largo con le ginocchia, doloranti a causa dell'attrito con il manto di cemento. Puntò la luce verso la propria destinazione, appurando non fosse così lontana. 

Posso farcela, si disse pur sapendo di avere poco tempo a disposizione. I suoi polmoni erano un serbatoio limitato e stava attingendo alle ultime linee di riserva, ma se la sarebbe fatta bastare. Si era sempre definita una persona determinata e lo aveva dimostrato in ogni momento della sua vita. Nonostante non si fosse mai trovata in una situazione così drammatica, voleva uscirne e dimostrare a sé stessa di cosa fosse capace.

A fatica giunse nel punto aleggiavano tutte le sue speranze. Era la sua ultima possibilità, non ci sarebbe stata una seconda occasione. La cavità era bassa sufficientemente per poterla esaminare senza doversi alzare, cosa che per Sharon pareva impossibile. Solo qualche minuto prima avrebbe potuto infilarvi la mano e trovare il pupazzo, ma si era fermata quando si era accorta che Monica poteva essere nei guai e quella distrazione sarebbe potuta costarle caro.

Tra la sua mano e l'anfratto mancavano non più di una manciata di centimetri, ma per Sharon pareva una distanza incolmabile. Le energie erano quasi esaurite e sentiva che tutti gli organi del suo corpo si stavano rivoltando, in un'ultima tragica battaglia per la sopravvivenza. Seguitava ad ansimare, incapace di produrre respiri regolari, ma la voglia di combattere non era ancora scomparsa. "Non morirò zitella!".

Senza nessuna certezza, allungò la mano e la infilò nella piccola cavità creata probabilmente dal pazzo che stava giocando con la sua vita. Il minuscolo tunnel sembrava troppo lungo per il suo braccio così corto, ma le sue dita toccarono qualcosa di soffice e vagamente peloso. Senza esultare prima del tempo, Sharon allungò il proprio arto più che poteva e afferrò l'oggetto, tirando fuori dal nascondiglio.

Puntò la torcia su di esso, terrorizzata dall'eventualità che potesse non trattarsi del "tesoro" che doveva cercare, ma di uno scherzo del killer che aveva in tal modo voluto depistarla. E invece, con insperata gioia, appurò si trattasse proprio di un peluche di Scoiattolo. Si voltò verso la porta, convinta che la telecamera fosse installata in quel punto e gridò con tutta la voce che le restava. "L'ho trovato! Mi hai sentito?! L'ho trovato!".

Si aspettava che da un momento all'altro il cellulare di Monica squillasse e la fastidiosa voce dell'assassino la informasse con arroganza che la prova era stata superata, ma oltre al silenzio che già regnava in quel luogo, null'altro degno di nota avvenne. Sharon pensò che quel pazzo avesse mentito e che volesse portare a termine il lavoro, fino a quando venne sorpresa un rumore forte e acuto, molto simile a quello prodotto da una ventola.

Con le ultime forze rimate, alzò la torcia verso l'alto, cercando di adocchiare un qualche impianto di aerazione da cui potesse provenire quel fragore, ma oltre ai polmoni sul punto di esplodere, anche la vista era ormai offuscata. Quel pazzo sta facendo defluire il gas tossico, pensò Sharon. Tirò un sospiro di sollievo e si girò, appoggiandosi con la schiena al suolo, sorridendo  e sghignazzando. Il forte suono della ventola invase i suoi timpani, ma era una sensazione tutt'altro che fastidiosa; era piacevole. 

Profumava di salvezza.

Chiuse gli occhi e produsse piccoli e impercettibili respiri, quasi cercasse di respirare solo l'aria non contaminata, che stava lentamente scacciando il gas tossico. Con il passare dei secondi il senso di malessere si leniva sempre di più, ma dovette passare parecchio tempo prima che la respirazione tornasse regolare. Non sapeva quanti minuti avesse passato a terra, ma quando il dolore al petto svanì, riaprì gli occhi, che tornarono in grado di mettere a fuoco le immagini senza intoppi.

Provò a rialzarsi e, nonostante le gambe paressero essere state sostituite con della gelatina, riuscì a rimanere in equilibrio, seppur precario. Prese un forte respiro, appurando di essere fuori pericolo una volta per tutte. Poi, si guardò attorno alla ricerca di Monica, sperando che anche lei si fosse ripresa e invece la trovò nella stessa posizione in cui l'aveva lasciata, ancora priva di sensi.

"No, Monica, così non va affatto bene..." esclamò Sharon, saettando verso l'amica. Rifletté sul fatto che fosse passato troppo tempo dal momento dello svenimento e il gas tossico poteva aver fatto il suo corso, precludendo ogni possibilità di salvezza. La girò verso di se e le schiaffeggiò il volto ripetutamente. "Non può finire così. Vuoi darla vinta a quel pazzo? Forza, svegliati e facciamogli il culo!".

"Sharon, per favore..." mugugnò Monica, senza aprire gli occhi. "Lasciami dormire ancora un po', ho tanto sonno..."

"Monica..." sibilò Sharon, sorridendo nervosamente. "Allora sei viva!".

La protagonista di quella macabra storia aprì nuovamente gli occhi."Più o meno..."

"Ce l'abbiamo fatta. Abbiamo superato la prova!" affermò Sharon, mostrandole il peluche.

Monica guardò l'oggetto che l'amica teneva in mano, sgranando gli occhi, quasi non capisse di cosa si trattasse. Ma quando la lucidità tornò a impossessarsi della sua mente, ritrovò la forza di sorridere. "Tu ce l'hai fatta. Da sola. Sei magnifica..."

"Credevo fossi morta."

"Sono una dura." scherzò Monica, la cui voce era ancora rauca. 

"Lo so." confermò l'amica. "Siamo salve, almeno per ora."

"E adesso che succede? Sono ancora intontita..."

"Suppongo sia tempo per la terza prova."

Con un tempismo perfetto, il cellulare di Monica suonò. "Te l'abbiamo fatta, bastardo."

"Non certo per merito tuo." commentò l'assassino. "Ora manca l'ultima prova, come vi avevo promesso."

"Quando vuoi."

"Benissimo. Ah, non cercare di chiamare la Polizia. E se ci hai già provato, sai che non è possibile."

"Che dobbiamo fare?" tagliò corto Monica.

"La prova delle prove. Dovete affrontarmi."

"Cosa vuoi, un combattimento corpo a corpo?!".

"Qualcosa del genere." confermò lui."

"Distruggiamolo!" commentò Sharon, battendosi il pugno sul palmo della mano.

"Quindi ti farai vedere o ti nasconderai ancora dietro a una mascherina?" lo provò Monica.

"Questa volta vedrai il mio volto." promise il killer. "Niente sotterfugi o maschere. Vedrai la mia vera essenza."

"Allora che aspetti? Fatti vedere."

"Subito. Non vedo l'ora di gustarmi la tua faccia."

Quelle parole chiusero l'ultima chiamata che sarebbe avvenuta tra di loro. Monica ripose il cellulare e lasciò il posto alla pistola. "Stiamo pronte. Non credo abbia notato l'arma, ma ormai non mi stupisco più di nulla."

"Spara appena appare alla porta."

"Forse non comparirà da lì." suggerì Monica, la quale sapeva di avere a che fare con un essere scaltro e difficile da prevedere. "Sarebbe troppo facile."

Invece, contro ogni previsione, il rumore prodotto da una chiave che girava nella serratura le colse di sorpresa. Sharon toccò la spalla dell'amica, tremando. "Stai pronta."

Monica preparò il colpo, sperando di avere una buona mira. "Fammi luce, Sharon."

L'amica obbedì e puntò la torcia verso l'ingresso, che iniziò a schiudersi lentamente. Finalmente avrebbero visto il volto dell'assassino, colui che aveva reso un inferno la vita di Monica di chi le stava attorno. Ti sto aspettando. E lui comparve sulla soglia, come un'ombra oscura e minacciosa. Monica puntò la canna verso la sagoma, che si trovava una distanza non troppo sicura, ma per essere certa di colpirlo, doveva restare più vicina possibile al bersaglio.

Non aveva mai ucciso una persona e nemmeno ora lo avrebbe fatto, limitandosi a colpirlo alle gambe o alle braccia, per bloccarlo. Non avrebbe mai potuto sopportare il peso di un omicidio, seppur giustificabile dalle circostanze, in quanto avrebbe dovuto convivere tutta la vita con un forte senso di colpa. Certo, uccidendolo avrebbe salvato molte vite, ma si sarebbe limitata ad assicurarlo alla Giustizia, che in seguito avrebbe pensato al suo destino.

Il killer si fermò sulla soglia, a osservarle. Monica lo guardò attraverso il fascio di luce prodotto dal cellulare di Sharon e notò che quell'individuo teneva una torcia elettrica in una mano e una pistola nell'altra, ma la canna era rivolta verso il basso. Sharon iniziò ad agitarsi. "Spara!".

Allarmata, la giovane puntò l'arma verso le gambe e fece per sparare, ma il suo sguardo si spostò dal basso verso il volto del killer che, seppur visibile solo in parte, era molto simile a quello di una persona che conosceva bene. Ma non poteva essere lui, era impossibile. Rimase a lungo a scrutare il viso di chi sapeva in anticipo che la sua preda non avrebbe sparato, sorpresa dalla scoperta di un'inattesa verità.

"Cosa aspetti?! Colpiscilo" sbraitò Sharon, la quale poi seguì gli occhi dell'amica e, quando incrociò lo sguardo del loro rapitore, trasalì. "Non è possibile..."

Monica abbassò la pistola, incapace di credere ai suoi occhi. "Andrea?".



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