Yellow Chat

By Clay985

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Monica, benestante e viziata, è stufa di non avere uno scopo nella vita e accetta di lavorare per Yellow Chat... More

Prologo
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Epilogo

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By Clay985

Accese la torcia e illuminò la rampa di scale che scendeva nei sotterranei dell'abitazione e dopo aver compiuto il primo passò capì che doveva scendere in modo pacato e non solo per evitare di fare rumore, ma anche perché la superficie dei gradini, vecchi e smunti, era umida e c'era il rischio di scivolare. Non sapeva cosa l'aspettava laggiù, ma nella sua mente si formò una cartolina con un immagine macabra e surreale, degna della tana di un serial killer.

La scalinata sembrava infinita e quando arrivò all'agognato fondo tirò un sospiro di sollievo. Un metro più in là c'era un'altra porta. Forse non avrebbe avuto altrettanta fortuna e l'avrebbe trovata chiusa, ma forse il proprietario di quella villa non conosceva il significato della parola chiavi, per cui Monica poté schiudere l'uscio senza nessun problema.

Fece il suo ingresso in locale umido, angusto e dalle pareti rocciose. Deve essere la sua cantina. Dal soffitto pendevano dei ganci a cui erano stati appesi dei cacciatori, mentre sulle mensole erano state appoggiate delle bottiglie di vino. Niente cadaveri o pezzi di braccia, gambe o teste, come si era immaginata. Testa, come quella di... Eliminò quel pensiero dalla propria testa e proseguì oltre.

Il locale si collegava, tramite un ingresso ad arco, a un altro stanzino, molto simile a una taverna. C'era un enorme tavolo al centro, una cucina e al muro notò alcune mensole che esibivano manufatti in ceramica. Il luogo ideale per mangiare al fresco, pensò Monica. Fino a quel momento la villetta non presentava nulla di strano e ciò fece sorgere in lei il dubbio che forse si trovava nel luogo sbagliato.

Attraversò la stanza e aprì l'ennesima porta - anche se a suo parere il padrone di casa poteva fare a meno di averne - e si ritrovò in un breve e stretto corridoio, alla cui sinistra c'era una lavanderia. Di fronte a sé un'altra scalinata, che portava al piano interrato, laddove sarebbe iniziata per davvero la sua ricognizione e con essa il pericolo di essere scoperta. Da chi ancora non lo sapeva.

L'agitazione iniziò a insinuarsi nei suoi pensieri. La paura di non uscire viva da quel luogo era più forte che mai. Aveva in mano una pala, ma non sarebbe mai servita contro un serial killer che aveva ucciso 30 povere ragazze e forse qualcuna di più. E se era stata così stupida da essere caduta in una trappola, allora meritava davvero di morire, si disse. Ma non prima di aver lottato con tutte le proprie forze.

Iniziò la salita e in cima alla scalinata trovò una porta a fisarmonica, che aprì non senza un minimo di rumore. Rimase immobile qualche istante, cercando di carpire la presenza di qualcuno, ma a quanto pare chi abitava in quel luogo non aveva udito nulla. Brandì la pala con entrambe le mani, pronta a usarla ed entrò nel soggiorno, grande ma arredato in modo superficiale, con un divano, un televisore, un tavolino e qualche oggetto messo a casaccio. 

Il salotto era collegato con la cucina, molto piccola. Di fianco al piano cottura notò un contenitore di coltelli, con un'impugnatura che sembrava troppo grossa da tenere in una singola mano. Monica deglutì. Coltelli. Per tagliare la carne o per uccidere?  Non poteva essere una mossa studiata per spaventarla, ma il disordine che aveva in testa le faceva venire strane idee. Come entrare di nascosto nelle case altrui.

Si bloccò nella penombra del soggiorno, guardandosi attorno alla ricerca di indizi che potessero avvalorare la sua tesi. Nessuno sembrava essersi accorto della sua presenza, ma non si era mai troppo cauti. Su un mobiletto c'era un contenitore di gioielli, che sembravano appartenere a una donna. Forse sono delle sue vittime, anche se Scoiattolo, a differenza dei serial killer tradizionali, non era solito prendere trofei e al contrario lasciava doni macabri, come pupazzi inquietanti. Scosse la testa, infastidita con la scarsa dimestichezza nell'osservare. Niente in quel luogo lasciava intendere che fosse la casa di Scoiattolo.

Sembrava una normale abitazione, male arredata e non certo il rifugio segreto di un killer. Però c'era un particolare che le diede ancora una speranza. Poteva non significare nulla, ma il fatto che ai muri, nelle cornici o sui mobili non ci fossero foto, faceva sembrare quel luogo una casa pressoché disabitata e utilizzata solo in via temporanea, magari per stare più vicino alla propria preda.

Certo, non voleva dire nulla. Magari al piano di sopra viveva un cinquantenne single o una vecchia zitella o vedova i cui figli non le facevano visita da chissà quale tempo. Anche gli oggetti sembravano antichi, con un televisore che pareva appartenere agli anni '60 e ciò stonava con i sofisticati mezzi da hacker del suo stalker, che forse non aveva avuto interesse nel dedicarsi all'arredamento.

Alla fine, appurato che non c'era altro che potesse fare, guardò le scale che conducevano al primo piano. Una parte della sua coscienza le suggerì che poteva andarsene, in quanto era ancora in tempo. Nessuno l'aveva sentita entrare, nessun antifurto era suonato, per cui non rischiava nulla. Via da questa follia.

Sarebbe tornata nei sotterranei per poi uscire dal giardino, dopodiché avrebbe chiamato un taxi, sarebbe tornata a casa, avrebbe chiesto quel supporto psicologico che tanti gli avevano suggerito e avrebbe atteso l'inevitabile. Non c'era un bivio materiale, ma queste due scelte rimbalzarono nella sua testa una contro l'altra, fino a quando una delle due ebbe la meglio. Per cui fece un passò e iniziò a salire la gradinata.

Tenne la luce bassa, rivolta a terra e camminò quasi sulle punte, aiutata dal proprio fisico esile. In quel momento cercò di pensare a quali spiegazioni avrebbe dato ai padroni di casi se l'avessero beccata e in che modo li avrebbe convinti a non denunciarli per violazione di domicilio. Avrebbe potuto mettersi a piangere, sostenendo di aver sbagliato casa. Ci penserò quando sarà il momento.

Giunta sul pianerottolo, adocchiò due locali, di cui uno semi-aperto mentre l'altro invece una porta non ce l'aveva. Si parò di fronte a quest'ultimo e intravide una specie di ripostiglio con ammassi di scatoloni, mentre l'uscio sembrava essere stato sradicato dai cardini. Poco più in là invece c'era un bagno, seguito di fianco da un locale che nelle intenzioni del proprietario doveva essere uno studio, ma a parte la scrivania, non c'era altro.

Il copione prevedeva la disamina di un ultimo locale, ma non si sentiva più così sicura, dato che quasi certamente lui - o chi per lui - si trovava al di là di quel rettangolo di legno. Poteva esserci Scoiattolo ad attenderla, magari con uno dei coltelli visti in cucina o forse stava dormendo, così come avrebbe trovato una coppia sposata che sonnecchiava rannicchiata in uno striminzito letto matrimoniale. Poco importava ormai. Si avvicinò alla maniglia, pronta a scappare.

Scostò l'uscio lentamente, sperando che nessun fastidioso cigolio inficiasse la sua intrusione. Strinse forte nella mano la pala, pronta a usarla nel caso servisse poi infilò la testa nello spazio lasciato dalla porta semi-chiusa e osservò la stanza. L'oscurità era tale da precludere la vista, per cui si aiutò con la luce della torcia, tenendola bassa per evitare di abbagliare e svegliare qualcuno.

Appoggiato alla parete c'era un letto da una piazza e mezza, un armadio che copriva due terzi dei muri, un tavolino, una sedia, ma non c'era traccia di nessuno. Né di Scoiattolo, né di qualunque altro inquilino. Chiuse la porta con la stessa calma con cui l'aveva schiusa, poi fece qualche passo più in là, su un vecchio tappeto ammuffito, ma sempre meglio di un orribile quadro futurista appeso nel corridoio.

Forse in casa non c'è davvero nessuno, pensò Monica. Per qualche istante la sua mente oramai debilitata pensò che Scoiattolo fosse fuori casa, magari a spiare la sua stanza e lei stava facendo lo stesso. Trattenne l'impulso di ridere e si preparò per l'ultimo step di quella improbabile ricognizione, che portava alla soffitta. Mentre risaliva i gradini si immaginò il pubblico ministero mentre leggeva tutti i capi di imputazione e se aveva fortuna si sarebbe beccata qualcosa di meno dell'ergastolo.

Dischiuse quella che credeva essere l'ultima porta, solo per ritrovarsi una soffitta deserta e vuota, abbastanza grande per edificarci un mini-appartamento, ma non ancora verniciata e senza arredo. Forse è davvero disabitata, pensò Monica, ormai convinta di aver preso un granchio. Poteva essere una casa posta sotto sequestro o ancora da terminare e i proprietari vi sarebbero giunti solo una volta ultimati i lavori.

Prima di andarsene notò, nell'angolo più lontano, la porticina di quello che sembrava uno sgabuzzino. Scosse la testa. Non avrebbe trovato nulla, si disse, ma valeva la pena controllare ogni centimetro di quel luogo. Si avvicinò e appoggiò la mano sulla serratura della porta scorrevole. Poi con un movimento rapido spalancò l'ingresso. 

Si addentrò nel localino minuscolo e fin da subito percepì qualcosa di insolito. Per terra c'era un materasso con un cuscino e una coperta pesante, mentre poco più avanti c'era una scrivania e sopra di essa un computer portatile. Ma non fu quella la cosa più strana che notò. Alzò la luce al di sopra del tavolo, illuminando la parete e ciò che vide rischiò di provocarle un mancamento. Fece un passo indietro, terrorizzata.

Sul muro erano appese decine di fotografie. Ma non si trattava dello studio di un fotografo amatoriali. Quelle non erano immagini qualunque. Tutte le foto ritraevano una giovane ragazza. Ritraevano Monica.

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