Yellow Chat

By Clay985

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Monica, benestante e viziata, è stufa di non avere uno scopo nella vita e accetta di lavorare per Yellow Chat... More

Prologo
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Epilogo

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By Clay985

Abbandonò il Camposanto mano nella mano con Sharon, come facevano da bambine semplicemente per far vedere di essere amiche inseparabili, come avevano fatto da pre-adolescenti nell'atto di accompagnarsi al bagno per farsi una sigaretta. Ma in quel momento non c'era nulla di teatrale, solo il gesto di una cara amica che cercava di infondere un po' di calore a chi soffriva in modo terribile.

Guardò Sharon. Era bellissima, come sempre. L'aveva sempre invidiata. Indipendente, sicura di sé, impeccabile nei modi. La cosa che non riusciva a spiegarsi era come una ragazza intelligente come lei avesse potuto interessarsi alla loro amicizia, dal momento che per anni aveva dovuto sopportare i suoi eccessi, le sfuriate, i pianti per l'ennesimo ragazzo che l'aveva piantata. Ma Sharon era sempre rimasta lì, per lei.

Pensò che Sharon aveva avuto un ruolo da comprimaria in quella storia e in fondo sperava rimanesse tale. La paura che ciò che era accaduto ad Andrea potesse succedere anche a lei era forte, ma sapeva che se l'avesse allontanata, avrebbe sortito l'effetto opposto. La sua amica del cuore si sarebbe presa cura di lei ancora una volta. La mia Sharon, si disse guardandola con gli occhi lucidi.

Di fronte a loro, Carlo e Desirée camminavano fianco a fianco e di tanto intanto lui le appoggiava una mano sulla spalla. Non si era mai resa conto di quanto il loro rapporto fosse forte e dopo tanti anni di matrimonio, con alti e bassi supponeva, si amavano ancora con il primo giorno che si erano conosciuti. Ma loro non hanno commesso le sciocchezze che ho fatto io, pensò Monica. Ognuno è artefice del suo destino.

Appena fuori dal cancello, si rese conto che quella giornata non era ancora finita. Qualcuno la attendeva. Si bloccò e sbuffò. I due detective non se n'erano andati, ma erano usciti solo per aspettarla. Sharon si accorse della situazione. "Vuoi che gli dica di andarsene?".

"Non preoccuparti." la tranquillizzò Monica, che non voleva più che qualcuno combattesse le sue battaglie. "Me la vedo io."

"Come vuoi." disse l'amica, che raggiunse e i genitori di Monica e disse loroqualcosa, forse di aspettare in macchina. Carlo e Desirée si voltarono verso la figlia, poi seguirono la giovane verso il parcheggio. Monica aspettò che si allontanassero, poi si diresse a passo deciso verso i Poliziotti, lasciando intendere loro di non avere paura di uno scontro.

"Cosa ci fate qui?" volle sapere Monica.

"In primo luogo siamo qui per farle le nostre condoglianze." esordì Piero, con un tono di voce più dolce rispetto all'ultima volta. 

"Ci dispiace molto per quello che gli è successo." aggiunse Chiara.

"Grazie per essere venuti." tagliò corto la giovane, passando oltre. "Ora se volete scusarmi."

"Vogliamo solo aiutarti."

Monica si fermò. Poi guardò la donna di sbieco. "Volete aiutarmi come quella volta che siete venuti a casa mia per accusarmi?".

"Non siamo qui per parlare di questo." disse Piero. "Ma per evitare che qualcuno altro si faccia del male. Tu, la tua amica o i tuoi genitori."

"Non mi sembra siate riusciti a fare molto finora."

"Certamente se non ci aiuti tu in primis non riusciremo a venirne a capo. Evita di fare di testa tua e se ti passa qualcosa per la mente, chiamaci."

"Per ora non ho nulla in mente, tranne una vada idea di cambiare volto e scappare all'altra parte del mondo."

"Possiamo davvero risolvere la situazione." insistette Chiara. "Permettici di aiutarci."

"Va bene." affermò Monica, scocciata. "Se accadrà qualcosa di sospetto, vi avvertirò."

"Stiamo interrogando un sacco di persone. Prima o poi qualcosa di buono salterà fuori. Un indizio, un sospetto."

"Era quello che diceva anche Andrea."

La donna guardò il collega, il quale scosse la testa. "Nessuno poteva farci nulla."

"Io potevo farci qualcosa invece." obiettò Monica. "Ma non l'ho fatto."

Detto ciò si volto e, senza nemmeno salutare, si allontanò, lasciando i due agenti soli vicino alla lapide di un perfetto sconosciuto. Piero prese il taccuino, lesse qualcosa di imprecisato, poi sorrise. "Non ci chiamerà, lo sai?".

"Lo so bene. E' cocciuta e avventata e potrebbe commettere altre sciocchezze che potrebbero costarle caro."

"Che suggerisci? Direi che siamo stati molto pazienti con lei finora."

"Semplice." affermò Chiara. "Teniamola d'occhio. Prima o poi il nostro uomo si avvicinerà a lei e allora lo prenderemo."

Poco dopo, Monica salì nell'automobile dei suoi genitori senza spiccicare parola per tutta la durata del viaggio. Sharon si offrì di farle compagnia, ma Monica rifiutò, in quanto preferiva restare sola. L'amica, seppur contraria, non poté fare altro che accontentarla. Nessun in quel momento avrebbe potuto farla stare meglio, in quanto l'unica persona che poteva riuscirci era la causa del suo dolore.

Seduta sul proprio letto, con lo sguardo perso nel vuoto, realizzò di aver perso tutto quello che aveva. Si sentiva come una pazza che aveva perso la brocca e che era stata internata a forza in un manicomio, senza letto di contenzione in quanto imbottita di droghe e medicine che la rendevano una sorta di automa con gli occhi spalancati e le gambe incrociate. Ma in realtà era sana, per quanto ne sapeva.

Quanto poteva restare in quello stato? Giorni? Settimane? No, a meno di non diventare davvero matta. Iniziò a fissare la porta della propria camera, sperando che da un momento all'altro lui facesse la sua apparizione. Poi lo avrebbe affrontato, in una lotta senza esclusione di colpi e avrebbe lottato fino alla fine. Eppure, sapeva che non aveva alcuna speranza di sconfiggerlo e più volte ne aveva avuto la dimostrazione.

Per qualche istante il suo sguardo si spostò sulla parete parallela, dove troneggiava la foto incorniciata che la ritraeva insieme all'unico amore della sua vita. L'avevano scattata quella sera al lago e allora non sospettava ancora l'orrore in cui sarebbe caduta. Erano felici, sorridenti. Forse la pena per ciò che aveva fatto era la sofferenza, ma non era giusto che di ciò avesse dovuto pagare Andrea.

C'erano stati alcuni momenti in cui era arrivata a pensare addirittura che lo avrebbe sposato, che avrebbe preso il suo cognome, che sarebbe diventata la madre dei suoi figli. Prima di conoscerlo si era sempre detta di non essere portata per stare in una famiglia, ma l'incontro con quel gentile e coraggioso uomo aveva cambiato ogni cosa. Ma era stata lei a ucciderlo, gettandolo in pasto a un mostro invisibile.

Poi, la scarsa lucidità porto la sua mente in una zona remota a cui non aveva spesso accesso e che la portava a fare cose che nemmeno lei riusciva a spiegarsi. Doveva fare una cosa, anche se non ne capiva la motivazione. Con il senno di poi, sarebbe stata una scelta azzeccata, l'ultimo aiuto che la sua coscienza le stava offrendo, prima di darla in pasto definitivamente ai sensi di colpa e al terrore.

Nel momento in cui si alzò dal letto, dopo un tempo quasi infinito passata seduta sul materasso, realizzò che era ormai notte fonda. La città, i suoi genitori, Sharon dormivano già da un pezzo, ma non lei. Aveva un importante compito e il mattino non poteva aspettare. Si vestì rapidamente e indossò un girocollo e una giacca pesante, poi controllò se nella borsetta c'era il suo spray al peperoncino.

Senza fare alcun rumore, uscì dalla propria stanza, calzò un paio di scarpe comode e abbandonò l'appartamento. I suoi genitori erano chiusi in camera, ma dubitavano stessero dormendo. Stavano certamente discutendo su come aiutare la loro povera figlia che si cacciava sempre nei guai e toccava ancora a loro toglierle le castagne dal fuoco. Gira che rigira la colpa è mia, si disse.

Una volta sulle scale prese il cellulare e chiamò un taxi, poi scese sulla scalinata d'ingresso, dove si fermò ad attendere il mezzo. Il freddo pungente dell'inverno rese impervia l'attesa, durata solo pochi minuti. Ai bordi della strada c'erano cumuli di neve, che non si sarebbero sciolti troppo in fretta, temeva. Quando l'autista accostò, Monica salì rapidamente dietro e indicò la destinazione.

Il viaggio durò una ventina di minuti, tempo che le consentì di vivere la Milano notturna, la città in cui era nata e cresciuta, che nell'oscurità diveniva il regno di prostitute, spacciatori, vagabondi e maniaci sessuali. Non era il posto per una ragazza come lei, certo, ma sentiva di non aver paura di nessuno di loro. Il mio incubo e cento volte peggiore di tutti loro insieme, pensò spiando fuori dal finestrino.

Giunti sul posto, l'autista frenò. Poi si voltò verso la passeggera e la squadrò, come se non si fosse reso conto della sua presenza prima di quel momento. "Sicura di voler scendere qui? Potrebbe essere pericoloso."

"Ci metto solo pochi minuti." assicurò Monica. "Può aspettare? Le pagherò il disturbo."

"Va bene, ma stia attenta."

Scese dal mezzo e si incamminò, ma subito si voltò verso l'autista, temendo fosse partito e l'avesse lasciata sola in quel luogo. Ma invece era ancora lì, ad attenderla come promesso. Tornò sui suoi passi, fermandosi di fronte a ciò che le interessava. In un certo senso lo aveva già visto, anche se non c'era mai entrata. 

Il capannone dove Andrea era stato ucciso.

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