Shiver || Michael Clifford

By accolasvoice

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«Respingo tutti quanti, non prenderla sul personale.» highest rank in fanfiction #1 More

cast
Prologue.
1. A New Beginning
2. Echo
3. Cookies
4. Little crush
5. Moe
6. Rain And Green Eyes
7. Melting
8. Innocent
9. Overthinking
10. Bravery
11. Confessions
12. Brothers
13. Battleships
14. Miss Marple
15. Challenge
16. Revenge
17. Affection
18. Nightmares
19. Madness
20. Sweatshirt
21. Awkward
22. Feelings
23. Let Me In
24. You
25. The First Time
26. Feel Again
27. Make Me Fall
28. The Last Time
29. Remember
30. Change My Mind
31. Up
32. She Is The Sunlight
33. I Won't
34. You And Me
35. Tear Me In Two
36. Best Of Me
37. Sweet Despair
38. I Will Be
THANKS.
39. Broken
40. No More Lies
41. Demons
42. Wasted
43. Everything Has Changed
44. All About Us
45. Look After You
46. Sparks
47. Unbreakable
48. Holding On And Letting Go
49. Mine For A Night
50. Reason
51. Hush Hush
52. Can't Stop
53. This Love
54. Find My Way Back
55. Firefly
NON ODIATEMI
Ringraziamenti
Characters Ask

It All Ends.

16.6K 1.1K 1.3K
By accolasvoice

This is where the chapter ends
A new one now begins
Time has come for letting go
The hardest part is when you know
All of these years
When we were here
Are ending, but I'll always remember

[The Time Of Out Lives - Tyrone Wells]

----------------------

18 ottobre 2020

Shiver Mosey non era mai stata una persona sentimentale. Certo, anche lei aveva i suoi momenti e soprattutto durante i suoi tre anni al college aveva lasciato che le sue emozioni si facessero più intense, al punto che, per la prima volta in tutta la sua vita, aveva addirittura lasciato che la più potente di tutte si facesse strada nel suo cuore: l'amore.

Aveva superato la sua repulsione per il contatto con le altre persone, si era fatta degli ottimi amici e aveva letteralmente ritrovato e abbracciato il suo lato umano. Ma nonostante ciò, non era mai stata morbosamente attaccata ai ricordi o alle tradizioni, e l'unico motivo per cui in quel momento si trovava dove si trovava, era perché Jenna aveva minacciato di andarla a prendere di peso se non si fosse presentata di sua spontanea volontà.

Sebbene Shiver si fosse trasferita a Londra quasi subito dopo aver concluso i primi tre anni al college, la sua amicizia con Jenna non era cambiata di una virgola. Si sentivano ogni giorno, chiacchieravano costantemente del più e del meno e spesso erano anche riuscite a passare dei weekend lunghi l'una a casa dell'altra; ma negli ultimi due anni era diventato sempre più difficile per loro riuscire a vedersi. Shiver era spesso in giro per lavoro e Jenna era sempre alle prese con...

«Dylan!» sentì sbraitare dalla voce fin troppo familiare della sua amica. «Se non la smetti immediatamente di spargere yogurt alla banana sui sedili della macchina, io giuro che ti rovescio il barattolino sulla testa.»

Shiver si lasciò sfuggire dalle labbra una breve risata e si incamminò, stringendosi nella sua giacca forse un po' troppo leggera, verso l'auto della sua amica. Era una giornata particolarmente fredda e uggiosa persino per la Scozia e la ragazza si era resa conto troppo tardi che gli stivali con il minimo tacco e la semplice giacca di stoffa che indossava, forse non erano stati la sua più brillante idea.

«Aaah, non c'è nulla di più melodioso delle parole cariche di dolcezza che una madre rivolge al proprio figlio.» esordì Shiver in tono sarcastico, passando un braccio intorno alle spalle di Jenna e facendo l'occhiolino al bambino dai capelli biondi, che aveva la faccia completamente imbrattata di yogurt alla banana, seduto sul seggiolino che stava sul sedile posteriore.

«E non c'è niente di più irritante del modo in cui parla uno scrittore, te l'hanno mai detto?» la rimbeccò lei fingendosi esasperata, ma finendo per rivolgerle un sorriso così raggiante da diventare contagioso. «Mi sei mancata.»

«Anche tu.» sospirò Shiver, per poi stringerla in un abbraccio talmente soffocante da far restare entrambe senza fiato per alcuni istanti. «E anche questa piccola peste mi è mancata.» aggiunse, lasciando andare la sua amica e inginocchiandosi davanti alla portiera aperta, da dove gli occhioni chiari di Dylan non avevano lasciato il suo volto nemmeno per un attimo.

«'ia 'iver?» biascicò lui, togliendo solo per un attimo il minuscolo pollice dalla sua bocca. Quando la ragazza di fronte a lui annuì e gli sorrise, il piccolo si lasciò andare ad una risata adorabile e tese le braccia verso di lei.

Ovviamente Shiver aveva preso il primo volo per Edimburgo non appena Jenna l'aveva chiamata per dirle che le si erano rotte le acque ed era rimasta a casa dell'amica per i tre giorni successivi alla nascita di quello che lei aveva sempre considerato il suo nipotino. Ma dopo quella volta, le occasioni per vedersi di persona erano diventate sempre più rade. Certo, ogni anno Shiver cercava di tenersi qualche giorno libero per volare ad Edimburgo per il compleanno di Dylan e almeno una volta a settimana Jenna glielo faceva salutare su Skype, ma avrebbe comunque voluto essere più presente.

«Non ci pensare nemmeno per un attimo, microcefalo in miniatura, la tua faccia sembra un quadro di Picasso e la giacca di zia Shiver è troppo bella e costosa per essere ricoperta di yogurt alla banana.» lo ammonì Jenna, provocando un'immediata risata dell'amica.

«Ma la zia Shiver ha un morbidissimo e profumatissimo fazzoletto proprio nella tasca della sua bella e costosa giacca.» sorrise in modo complice al bambino e, con fare volutamente plateale, tirò fuori il pacchettino azzurro dalla tasca. Prese a pulire il viso di Dylan con una delicatezza e un'accuratezza così maniacali da essere quasi inquietanti e Jenna si ritrovò ad alzare ironicamente gli occhi al cielo. «Parlando di microcefali, dov'è tuo marito?»

«Non è mio marito.» si affrettò a precisare la bionda, scuotendo la testa e spalancando leggermente gli occhi.

«Sul serio?» domandò Shiver, accompagnando il quesito con una breve risata. «Ancora non gli hai detto di sì?»

«Sappiamo benissimo entrambe che continua a chiedermelo solo per gioco.» sorrise Jenna, osservando con attenzione l'amica mentre prendeva in braccio suo figlio. «Ormai è diventata quasi una routine da quando l'ha urlato come un disperato subito dopo che sono uscita dalla sala parto. Ricordo ancora l'espressione di puro terrore che è comparsa sulla sua faccia quando si è reso conto di ciò che aveva appena detto.»

«Non ridevo così tanto da quando Calum si era messo il tuo vestito rosa, i tuoi tacchi e il tuo rossetto per aver perso la scommessa su me e Michael con Luke.» ricordò Shiver, lasciandosi andare ad una risata sincera e non rendendosi conto che la sua amica si era irrigidita alle sue spalle. «Ma non mi hai ancora detto lui dov'è.»

Jenna scelse di rimandare a più tardi ciò che stava per chiederle e si dipinse un sorriso sul volto, proprio mentre l'altra ragazza tornava a voltarsi verso di lei. «Sarà qui a minuti. Lui, Calum e Ashton hanno deciso di andare a bere qualcosa insieme prima di venire qui.» annuì lei, chiudendo la portiera della sua macchina e incamminandosi accanto all'amica, che ancora teneva tra le braccia suo figlio e continuava a mimare espressioni buffe per farlo ridere. «Che mi dici di Colton, invece? Come sta?»

«Lui e Samantha si sono trasferiti in Svizzera un paio di mesi fa. La loro relazione continua ad essere troppo complicata per il resto del genere umano, ma loro sono felici e io sono felice per loro. Lo sento praticamente ogni sera ed è entusiasta del suo nuovo lavoro.» Shiver sistemò meglio il piccolo Dylan tra le sue braccia e sorrise alla sua amica. «Mi ha detto di salutare te e Luke e di coccolare un po' la piccola peste anche da parte sua.» Jenna sorrise per l'ennesima volta. «Sai, sono felice che tu e lui siate rimasi amici, nonostante tutto.»

«Colton è una delle persone migliori che io conosca.» ammise sinceramente, continuando a camminare sul ciottolato del parcheggio e producendo un suono ticchettante con i suoi tacchi a spillo. «E sono felice anche io che siamo rimasti in buoni rapporti. Magari lo chiamerò su Skype una di queste sere, così potrà salutare questo mostriciattolo di persona.» proseguì, facendo il solletico a suo figlio e sorridendo con una tale gioia da coinvolgere Shiver ancora una volta.

«Ne sarebbe felice, credimi.»

La giornata si faceva più cupa ogni minuto che passava, ma a Shiver non dava fastidio. Si ritrovò addirittura a sorridere quando, passando davanti alla porta di quello che era il loro vecchio dormitorio, scorse la cara, vecchia pozzanghera in cui, durante il suo primo anno, aveva affondato il piede fino alla caviglia. La sua scarpa si era riempita d'acqua a tal punto che per tutta la mattinata aveva continuato a fare un buffo rumore acquitrinoso ad ogni passo che faceva.

Ricordava di essersi svegliata stranamente di buon umore quella mattina. Evento più unico che raro dopo la morte dei suoi genitori. E ricordava anche che ogni singolo evento di quella giornata aveva fatto sì che il suo umore cambiasse radicalmente nel giro di soltanto poche ore: la scarpa nella pozzanghera, il tizio dietro di lei che non aveva fatto altro che tirare calci alla sua sedia per l'intera ora di storia, il libro dimenticato in camera, l'ipod scarico e infine l'evidenziatore giallo finito. Tutto era andato storto fino a quando non era scivolata e il ragazzo dagli occhi verdi era arrivato a salvarla.

Sembravano passati secoli da quel giorno. Il giorno del loro primo bacio.

Erano successe così tante cose in quei sette anni, da portarla a domandarsi se i due ragazzi che si erano baciati sotto la pioggia fossero stati proprio lei e Michael. A quel tempo, Shiver era in cerca di qualcuno che la facesse sentire nuovamente viva, che le provasse che in lei c'era davvero qualcosa che valesse la pena di essere amato... Di qualcuno che la salvasse da sé stessa e dal guscio vuoto che era diventata. Le ci era voluto un anno intero prima di rendersi conto che l'unica persona in grado di salvarla era proprio quella che ogni mattina le restituiva il suo sguardo assonnato nello specchio e che le ricordava quanto i suoi capelli fossero sempre disastrosi appena sveglia. L'unica persona in grado di salvare Shiver Mosey era e sarebbe sempre stata Shiver Mosey.

E ciò non significava che non avesse bisogno delle persone intorno a lei, perché le persone hanno bisogno delle persone; significava semplicemente che aveva imparato ad amare sé stessa e i suoi difetti. Le sue giornate no, le sue giornate imbronciate senza un apparente motivo, le giornate in cui avrebbe potuto mangiare una mucca intera per conto suo, le giornate di puro nervosismo e quelle in cui non aveva voglia di fare altro se non di lamentarsi per ogni singola cosa: il tempo, le persone, il computer troppo lento, la marmellata finita. Perché, contrariamente a quanto le era stato detto una volta, un amore del genere esisteva. E lei ora lo provava per sé stessa.

Probabilmente avrebbe sempre sentito un vuoto dove la persona che le aveva detto quelle parole avrebbe dovuto essere, ma giorno per giorno aveva imparato a convivere anche con quello. Non era sempre facile e Shiver sentiva ancora la sua mancanza ogni minuto, soprattutto ora che era tornata dove tutto era iniziato, ma lei e Michael si erano fatti una promessa e sapeva che un giorno, vicino o lontano che fosse, quella promessa sarebbe stata mantenuta.

«Come sta Lux?» si obbligò a ritornare alla realtà, facendo finta di non notare lo sguardo preoccupato che le aveva rivolto la sua amica.

«Sta bene. Dopo che lei e Ashton si sono lasciati, si è trasferita in città e ora insegna letteratura al liceo in cui sono andata io da ragazza.» rispose Jenna, sospirando e generando un'enorme nuvola di condensa bianca. «Non ci vediamo spesso ultimamente, ma qualche volta ci sentiamo. Compra ancora il suo amato succo all'ananas ricco di magnesio.» ridacchiò, spingendo l'amica a fare la stessa cosa.

«Io l'ho sentita la scorsa settimana, quando mi ha detto che non sarebbe venuta oggi, ma non la vedo... Beh, non la vedo dal funerale.» sussurrò Shiver, guadagnandosi un'altra occhiata preoccupata. «Ehi, quella non è la macchina di Luke?» cambiò immediatamente discorso, indicando la gigantesca macchina blu che stava entrando nel parcheggio di fronte alla biblioteca.

«Certo, quante persone sane di mente pensi che comprerebbero una macchina tanto orrenda?» borbottò Jenna, alzando gli occhi al cielo e dirigendosi a passo deciso verso il parcheggio.

Shiver si ritrovò ancora una volta a ridere tra sé e sé e poi guardò Dylan, che fino a quel momento era rimasto insolitamente silenzioso e tranquillo. «La mamma e il papà non cambieranno mai, vero?» gli domandò retoricamente, guadagnandosi un'adorabile ghigno divertito.

Raggiunse i suoi amici giusto in tempo per vedere la testa bionda di Luke spuntare dalla portiera del guidatore. Le sue labbra si curvarono in un sorriso non appena scorse Jenna nel parcheggio. «Ehi, stavo giusto per chiamarti e chiederti dove foste. Ma visto che ora sei qui, vuoi sposarmi?»

La sua amica alzò gli occhi al cielo e sbuffò sonoramente. «No.»

Luke si lasciò andare ad una breve risata, poi i suoi occhi si spostarono su Shiver e il suo volto si illuminò come ai vecchi tempi. «Hai già rapito mio figlio, Canada?»

Lei sorrise, ma prima di avvicinarsi ulteriormente, restituì il piccolo Dylan alle braccia della sua mamma, per avere l'opportunità di riabbracciare quello che in quei sette anni era sempre rimasto il suo migliore amico. «Mi sei mancato anche tu.» sussurrò lei, alzandosi in punta di piedi e avvolgendo le braccia intorno al suo collo.

Da quando i 5 Seconds Of Summer avevano annunciato la loro pausa a tempo indeterminato, due anni prima, Luke aveva deciso di farsi crescere la barba e, nonostante le continue proteste di Jenna, lui ancora non si era deciso a radersi. Non gli stava male, ma sembrava così... Adulto.

«Jenna mi ha detto quanto ha dovuto pregarti prima di convincerti a venire.» la rimbeccò lui, staccandosi dall'abbraccio e rivolgendole un finto sguardo di rimprovero.

«Il mio programma era di tornare in Scozia per qualche giorno per il compleanno di Beth, non per una riunione del college.» rise brevemente Shiver. «Comunque, dove sono Ashton e Calum? Non dovevano arrivare insieme a te?»

Nel frattempo, Jenna si era avvicinata e aveva passato Dylan a Luke, che riusciva a tenerlo su con un braccio solamente. «Si sono fermati alla stazione per recuperare Aubrey.»

Shiver sgranò gli occhi e aggrottò le sopracciglia. «Pensavo che lei e Calum non stessero più insieme da quando vi eravate trasferiti a Londra per registrare il vostro primo album.»

«Infatti è così, ma sono rimasti in ottimi rapporti. E anche in contatto, a quanto pare.» alzò le spalle lui.

«Vorresti dirmi, che siete venuti con due macchine?» sbottò Jenna, lanciando un'occhiata di traverso all'uomo accanto a lei. «Ma che problemi avete?»

«Ehi, per una volta non prendertela con me. Calum ha insistito per prendere anche la sua macchina.» si difese lui, alzando la mano libera in segno di resa.

Jenna emise un mezzo grugnito e alzò gli occhi al cielo. «Beh io non ho intenzione di aspettarli qui fuori, quindi manda un messaggio ad uno dei due e dì loro che li aspettiamo direttamente alla caffetteria.»

«Mandaglielo tu, io ho Dylan in braccio.» replicò lui, rivolgendole un sorriso buffo.

«Posso mandarglielo io, se volete.» si offrì Shiver, recuperando il suo cellulare dalla tasca del giubbotto e sorridendo ad entrambi.

«Grazie Shiver, il mio è quasi scarico.» le sorrise a sua volta Jenna, prima di intrecciare le sue dita con quelle della mano libera di Luke.

Ripensandoci, nessuno ricordava di preciso quando quei due si fossero messi insieme. Probabilmente nemmeno loro. Ad una festa di natale di qualche anno prima in cui erano riusciti a riunirsi tutti, persino i ragazzi, che erano rientrati dal loro tour mondiale per qualche giorno, i due si erano seduti uno vicino all'altro sul divano del salotto di Jenna e, senza che nemmeno se ne fossero accorti, le loro dita si erano ritrovate intrecciate. Proprio come lo erano in quel momento.

Erano una delle coppie più strane, eppure azzeccate, che Shiver avesse mai visto. Esattamente come ai tempi del college, erano in grado di urlarsi insulti in faccia per ore ed ore, ma alla fine si ritrovavano sempre a ridere quando Luke, ancora sbraitando come un forsennato, chiedeva per l'ennesima volta a Jenna di sposarlo. Ogni volta lei rispondeva di no, ma si avvicinava comunque per baciarlo, e le cose tornavano a posto.

«Shiver, sai chi lavora nella caffetteria, ora?» le chiese Luke, sistemando meglio Dylan.

«Chi?»

«Claire.» rispose Jenna per lui, in tono talmente piatto da essere più inquietante di una delle sue spassionate sessioni di gossip. «Lei e Nolan hanno divorziato qualche mese fa e lei ha deciso di tornare in Scozia per cercare Luke.»

«Sul serio?» Shiver trattenne a stento una risata, capendo che il tono impassibile di Jenna fosse in realtà un tentativo di contenere la furia che provava verso la ragazza che avrebbero rivisto di lì a poco.

«Puoi giurarci.» borbottò la sua amica, sospirando profondamente. «Si è presentata alla porta di casa nostra qualche mese fa e sono stata io ad aprire. È rimasta lì a fissarmi per qualche minuto, poi Luke è uscito dalla cucina con Dylan in braccio e lei se n'è semplicemente andata senza dire una parola.»

«Imbarazzante.» commentò Shiver, inarcando le sopracciglia.

«Jenna è gelosa.» la stuzzicò Luke, voltandosi verso di lei e rivolgendole un sorrisino sarcastico.

«Oh, ma per favore.» lei lo fulminò un'occhiata scocciata e incrociò le braccia sotto al seno, lasciando andare la sua mano.

«È palesemente gelosa.» sussurrò Luke, inclinandosi verso Shiver ed utilizzando un tono così cospiratorio da farla ridere.

Jenna alzò gli occhi al cielo ed emise un suono a metà tra uno sbuffo e un grugnito. Luke provava ancora un piacere immenso nel portarla all'esasperazione, ma era del tutto diverso da quando lo faceva al college: lei non si arrabbiava più seriamente e lui non lo faceva soltanto per attirare la sua attenzione. Era così che funzionavano Luke e Jenna, e lei sapeva che nessuno dei due avrebbe voluto che le cose fossero differenti.

«Quella non è la macchina di Calum?» Shiver rivolse lo sguardo nel punto che la sua amica stava indicando e l'ombra di un sorriso si fece strada sulle sue labbra quando intravide la testa riccia di Ashton spuntare dalla portiera del passeggero.

«Quella è Shiver Mosey? La vera Shiver Mosey?» ironizzò Calum, non appena anche lui fu sceso dal veicolo. Si esibì in un'espressione molto più sconvolta di quanto la ragazza era sicura che fosse davvero, e questo le provocò una breve risata. «Vuoi dirmi che la grande scrittrice è tornata dall'Inghilterra solo per noi? Sono onorato.»

La ragazza scosse la testa e, insieme a Luke, Jenna e il piccolo Dylan, che ora era di nuovo tra le braccia della mamma, si incamminò verso di loro, giusto in tempo per vedere anche Aubrey scendere dalla macchina. I suoi capelli non erano più dello stesso rosso acceso dei tempi del college, ma di un castano scuro con riflessi ramati; il suo viso, invece, aveva ancora la stessa forma tondeggiante ed era reso più armonioso dagli occhi sottili e dalle labbra a forma di cuore. Le rivolse un cenno e un sorriso, ma non sembrò volersi avvicinare ulteriormente per salutarla.

«Detto dal membro di una band conosciuta in tutto il mondo suona vagamente come una presa in giro.» commentò Shiver, con una smorfia sarcastica dipinta sul viso.

Calum sorrise in modo così sincero da contagiarla, poi, senza aggiungere una parola, la attirò in un abbraccio quasi soffocante. In quegli anni le sue capacità affettive e il suo rapporto con il contatto umano erano nettamente migliorati, tanto che non sentiva più l'istinto di allontanarsi subito quando qualcuno le stava accanto o la toccava per più di qualche secondo. Era persino arrivata al punto in cui apprezzava le dimostrazioni d'affetto più spontanee.

«Smettila di monopolizzarla. Non sei l'unico che non la vede da secoli.» Una seconda voce conosciuta risuonò alla destra della ragazza e Calum la lasciò andare nel giro di pochi secondi, rivelandole la chioma, ribelle più che mai, di Ashton.

«Ho ripetuto più volte ad ognuno di voi di venirmi a trovare a Londra, ma nessuno di voi si è mai mosso, mi pare.» lo rimbeccò lei affettuosamente, inclinando il capo con fare sarcastico, ma finendo col sorridergli di cuore.

«Sai che siamo pessimi in queste cose Moe, ci conosci da cinque anni ormai!» alzò le spalle Calum, non sforzandosi nemmeno di sembrare davvero dispiaciuto.

«Sono sette anni e, credimi, lo so.» ridacchiò lei, dandogli una leggera pacca sulla spalla.

«Tutto questo è molto carino e commuovente, ma possiamo entrare nella caffetteria? Sto congelando e Dylan pesa quanto un sacco di patate.» sbottò Jenna, inarcando le sopracciglia con fare scocciato.

«Jenna!» la rimproverò Shiver spalancando la bocca, incredula per ciò che la sua amica aveva detto.

«Non prendertela con me. Vivere con lui,» indicò Luke, che, sentendosi chiamato in causa, sorrise in modo buffo. «ha delle conseguenze.»

Calum scosse la testa e, ridendo brevemente, si avvicinò a Jenna per prendere in braccio suo figlio, che senza esitazioni sistemò le sue manine paffute sulle guance dello zio. «La mamma racconta le bugie, non pesi come un sacco di patate.» sentenziò, strappando una risata a tutti quanti.

«Beh, direi che ci siamo tutti. Andiamo?» domandò Ashton, già dirigendosi verso l'entrata della caffetteria. Tutti lo seguirono senza aggiungere una parola, tranne Shiver, che rimase esattamente dove si trovava.

«Non vieni, Canada?» Luke, che si era voltato indietro e si era accorto che lei non li stava seguendo, ora la guardava con un misto di incoraggiamento e preoccupazione.

«Voi iniziate ad andare, vi raggiungo tra qualche minuto.» sorrise lei, stringendosi ancora una volta nella sua giacca troppo leggera per la temperatura di quella giornata. Luke annuì e riprese per mano Jenna, che si era fermata a sua volta per vedere cosa stesse succedendo. Insieme si incamminarono contro voglia verso la caffetteria e la lasciarono sola, senza farle ulteriori domande, intuendo che tornare lì non doveva essere stato facile per lei, e che probabilmente aveva solo bisogno di un po' di tempo per i fatti suoi.

Non appena i suoi amici si furono allontanati, Shiver si diresse a passo svelto e deciso nel luogo che era stato il suo paradiso felice durante gli anni in cui aveva studiato lì. Voleva rivedere quel posto, anche se immaginava che i suoi amati spalti non fossero nemmeno più lì, sentiva il bisogno di ritornare dove tutto aveva avuto inizio, forse perché voleva rivivere alcuni dei momenti in cui era stata più felice, forse perché aveva bisogno di un qualche tipo di chiusura. Non lo sapeva nemmeno lei.

Raggiunse il punto in cui aveva passato così tanti pomeriggi a studiare, a mangiare cookies, ad ascoltare musica o semplicemente a chiacchierare con Michael, e quasi si commosse quando, contrariamente a quanto aveva creduto, ritrovò i vecchi spalti esattamente come li aveva lasciati. Isolati, coperti dalla tettoia disastrata, pieni di polvere. Non erano cambiati di una virgola.

Si avvicinò cautamente, come se stesse entrando in una sorta di tempio o mausoleo, ma la sua attenzione fu catturata da qualcos'altro, quando la prima goccia di pioggia cadde sulla sua mano. Alzò il viso verso il cielo e una seconda goccia le cadde sulla guancia. Le nuvole scure ormai occupavano tutto il cielo e non lasciavano presagire nulla di buono, soprattutto perché, come sempre, Shiver aveva dimenticato di portare con sé un ombrello.

Nonostante la pioggia si facesse più intensa ogni minuto che passava, lei non accelerò il passo per raggiungere la tettoia che l'avrebbe riparata più in fretta, anzi indugiò qualche istante, incerta se proseguire o rimanere semplicemente a contemplare il luogo in cui, per così tanto tempo, aveva sognato di ritornare.

E poi la pioggia cessò all'improvviso di cadere sulla sua testa.

«Non ti hanno mai detto che devi sempre uscire un ombrello in Scozia?»

Bastarono quelle semplici parole per fare tremare l'intero corpo di Shiver, che non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi le aveva pronunciate, perché quella voce l'avrebbe riconosciuta tra milioni, nonostante non la sentisse da più due anni.

«Avevi anche detto che non ci sarebbe sempre stato qualcuno pronto a salvarmi dalla pioggia, eppure eccoti qui.» replicò con voce flebile, continuando a dargli le spalle.

«Almeno questa volta non hai rischiato di finire col sedere in una pozzanghera. Stai migliorando.» rise brevemente, strappando un sorriso anche a lei.

Finalmente Shiver si decise a voltarsi e i suoi occhi trovarono immediatamente quelli di lui. Sempre così verdi. Sempre così profondi. Così complessi che nemmeno lei, che era una scrittrice, sarebbe stata in grado di descrivere. Nessuna parola, nessuna frase sarebbe mai stata in grado di racchiudere ciò che lei vedeva in quegli occhi, ciò che lei provava per l'uomo che le stava davanti. Nonostante tutti quegli anni, nonostante tutto ciò che avevano passato.

Shiver avrebbe sempre amato Michael come il primo giorno, il giorno in cui si erano scambiati quel bacio sotto la pioggia, proprio lì, dov'erano in quel momento.

«Come facevi a saperlo?» domandò, sapendo che non aveva bisogno di specificare che gli stava chiedendo come sapeva che l'avrebbe trovata lì.

«Luke.» sussurrò lui, passandosi una mano nei capelli biondi e ribelli. «Mi ha mandato un messaggio qualche settimana fa, dicendomi che saresti tornata in Scozia e che Jenna avrebbe fatto di tutto per trascinarti a questa riunione.» le spiegò. «Quanto al fatto di come sapevo che ti avrei trovata qui, beh, ti conosco, Shiver Mosey.» sorrise brevemente e lei dovette reprimere l'impulso di gettargli le braccia al collo e lasciarsi cullare come se non fosse passato nemmeno un giorno dalla loro separazione.

Shiver sorrise brevemente a sua volta, e nemmeno per un attimo spostò gli occhi dal viso di lui, ancora incredula che dopo due anni fosse davvero lì, davanti a lei.

Quando Norah era morta, due anni prima, aveva lasciato a suo figlio un nome, il nome della sua madre biologica. Per qualche mese, Michael era stato troppo sconvolto da quella perdita così improvvisa per curarsi davvero di ciò che sua madre gli aveva donato, ma più il tempo passava, più Shiver si accorgeva che, nonostante tutto il supporto che Michael riceveva da lei, dai loro amici e da suo padre, lui non avrebbe avuto pace finché non avesse trovato Julia Rollins.

All'inizio la ragazza pensava che si sarebbe trattato di una procedura semplice: avrebbero chiesto di lei al giudice che aveva approvato l'adozione, Michael l'avrebbe contattata e finalmente avrebbe iniziato a superare la morte di Norah, cosciente di aver fatto ciò che lei voleva.

Ma trovare Julia si rivelò più difficile di quanto avessero immaginato. Negli ultimi vent'anni aveva cambiato indirizzo così tante volte, che tenere il conto dei luoghi in cui era stata sarebbe stato impossibile, e le sue tracce si erano perse del tutto quando si era trasferita in Oregon, sei anni prima.

Ed era proprio da lì che il viaggio di Michael era iniziato.

Sebbene Shiver si fosse offerta di mettere da parte il lavoro per qualche tempo e di seguirlo nella sua disperata ricerca, sapeva, in fondo al suo cuore, che quello era un viaggio che Michael avrebbe dovuto fare da solo. Si erano lasciati all'aeroporto di Stansted il 3 settembre 2018, con la promessa che in un modo o nell'altro si sarebbero rivisti presto, ma piano piano le telefonate erano diventate sempre più rare e alla fine avevano smesso completamente di sentirsi, con la promessa, però, che un giorno si sarebbero ritrovati. Come avevano sempre fatto, come avrebbero sempre fatto.

Ed ora erano lì, uno di fronte all'altro. Come si erano promessi.

«L'hai trovata?» Michael scosse la testa e Shiver sentì un tuffo al cuore, consapevole di cosa quel gesto significasse. «Quando ripartirai?»

Lui le sorrise e, per la prima volta da quando erano arrivati lì, cercò un contatto diretto con lei, prendendole la mano e intrecciando le dita con le sue. «Non vado proprio da nessuna parte. Mi ci sono voluti due anni e circa settecento messaggi di Luke prima di capirlo, ma non ho bisogno di andare alla ricerca di una famiglia che non ha mai voluto nulla a che fare con me.» alle sue parole, Shiver corrugò le sopracciglia e studiò il suo sorriso alla ricerca di una qualunque traccia di insicurezza. Ma non ne trovò. «Tutta la famiglia di cui ho bisogno è proprio qui, davanti a me. Ti amo, Shiver Mosey, e non voglio più passare un singolo secondo della mia esistenza lontano da te. Se tu mi vuoi ancora.»

Fu il turno di Shiver di sorridere. Un sorriso così radioso che non si affievolì nemmeno quando, finalmente, si alzò in punta di piedi per raggiungere le labbra dell'amore della sua vita.

Era così che funzionavano Michael e Shiver: si perdevano, passavano anche lunghissimi periodi senza parlarsi, ma alla fine trovavano sempre il modo di tornare uno dall'altra. Forse, ma soltanto forse, quella sarebbe stata la svolta decisiva nella loro relazione altalenante. Forse, ma soltanto forse, avrebbero smesso di perdersi e ritrovarsi; si sarebbero ritrovati e basta.

Con tutte quelle emozioni e quelle parole da metabolizzare, nessuno dei due si era accorto che la pioggia aveva smesso di cadere intorno a loro, e le nuvole si stavano lentamente diradando. Il grigiore aveva lasciato il posto a qualche timido raggio di sole, che ora illuminava il campus e le uniche due persone che ancora non erano entrate nella caffetteria per prendere parte alla riunione, e che ora si limitavano a guardarsi negli occhi come se al mondo esistessero soltanto loro due, come se niente fosse più importante della persona che avevano di fronte. E per loro era davvero così.

«Guarda! È uscito il sole!» sorrise lei estasiata, accorgendosi finalmente del cambiamento climatico e alzando gli occhi verso al cielo con incredulità.

Michael abbassò l'ombrello che li aveva riparati fino a qualche minuto prima e sorrise a sua volta, senza mai staccare lo sguardo dal volto di lei. «Cinque secondi d'estate in un inverno perenne.»

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We have had the time of our lives
Now the page is turned
The stories we will write
We have had the time of our lives
And I will not forget
The faces left behind
It's hard to walk away
From the best of days
But if it has to end
I'm glad you have been my friend
In the time of our lives

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