𝐇𝐄𝐀𝐑𝐓𝐁𝐔𝐑𝐍, percy...

By -goosebumpss

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❛ ti fidi di me? ❜ ❛ come potrei non fidarmi? ❜ ▬▬▬▬▬▬▬▬ ⚔️ ⋆ ˚。⋆౨ৎ percy jackson and the olympians - book... More

𝐁𝐄𝐅𝐎𝐑𝐄 𝐒𝐓𝐀𝐑𝐓𝐈𝐍𝐆
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──── 𝐀𝐂𝐓 𝐎𝐍𝐄
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𝐒𝐄𝐐𝐔𝐄𝐋

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- ̥۪͙۪˚┊❛ chapter twenty-five ❜┊˚ ̥۪͙۪◌
𝙚𝙨𝙘𝙤 𝙖𝙡𝙡𝙤 𝙨𝙘𝙤𝙥𝙚𝙧𝙩𝙤

⸻ ✧ ⸻

𝐇𝐀𝐑𝐏𝐄𝐑

Esistono le feste, e poi esistono le feste pazzesche, fantasmagoriche, straordinarie. Dopodiché esistono le feste dell'Olimpo.

Se dovesse mai capitarvi di scegliere, optate per queste ultime.

Le nove muse cominciarono a suonare qualunque cosa si desiderasse. Gli dei potevano ascoltare musica classica mentre i semidei si davano all'hip-hop o a quello che preferivano: la colonna sonora era sempre la stessa. Niente discussioni. Niente liti per cambiare stazione radio. Solo richieste per darci ancora più dentro.

Dioniso faceva spuntare i banchi del rinfresco dal terreno, muovendosi in giro per la festa a braccetto con una bellissima donna: sua moglie Arianna. Era la prima volta che lo vedevo così felice. Nettare e ambrosia traboccavano da fontane d'oro, e vassoi di stuzzichini mortali gremivano i tavoli del banchetto.

C'erano calici colmi di qualunque bevanda ti saltasse in testa.

Grover se ne andava in giro con un piatto pieno di lattine ed enchiladas, e il suo calice era colmo di un caffellatte doppio, su cui continuava a borbottare come un incantesimo: «Pan! Pan!»,

Gli dei vennero a turno a congratularsi, con mia grande sorpresa. Mi fecero i complimenti, dicendomi che scegliere di propria volontà di sostenere il peso del cielo era ammirevole.

Per quanto quei complimenti provenissero dagli dei, li apprezzai.

Grazie al cielo avevano assunto dimensioni umane, perciò non calpestarono nessuno per sbaglio.

Mi venne poi incontro Apollo, sorridendo in modo ammiccante.

«Sai, bellezza, mi ha sorpreso» ammise «Will mi aveva raccontato che sei coraggiosa, ma non pensavo fino a questo punto...»

«Per caso Will le ha raccontato pure quando sono nata e a che ora? Non ne sarei sorpresa» scherzai.

«Tranquilla, quello già lo so»

«Cos-»

«Harper La Rue!» esclamò una voce femminile.

Mi girai per poi incrociare quello che era lo sguardo della dea dell'amore, Afrodite. Indossava una lunga veste bianca, aveva i capelli raccolti e, per un attimo, i suoi occhi sembrarono colorarsi dello stesso verde del mare.

«Apollo, lascia che le donne parlino da sole» aggiunse.

«Come desideri» annuì, per poi camminare in un'altra direzione.

«Divina Afrodite» salutai.

Per quanto fosse una dea che reputavo di poca importanza, era una delle poche che non mi aveva mai dato fastidio.

«Oh, Harper, che impresa è stata» esclamò «Quanto dolore, quanta paura... e quanto amore!».

Corrugai immediatamente le sopracciglia.

«Amore?» ripetei, incredula.

«Ma certo, mia cara. Ci vuole amore per compiere certi gesti» sorrise.

E, come se si chiamassero, lo sguardo mio e di Percy si incrociarono. I suoi occhi verdi si tuffarono nei miei, scuri come il terriccio bagnato. Rimanemmo interdetti a guardarci, io mentre parlavo con Afrodite, lui con Apollo.

«Dovresti dirglielo, sai» mi disse la dea.

«Di che cosa parla?» domandai, anche se conoscevo già la risposta.

«Del fatto che ti piace» concluse lei.

Strabuzzai gli occhi.

Certo, me ne ero resa conto, ma sentirlo confermare da qualcun altro - dalla dea dell'amore, poi! - era tutt'altra cosa. Lo rendeva più... reale.

«Coraggio, cara, va'» mi spinse Afrodite.

Le lanciai un ultimo sguardo, che lei ricambiò con un sorriso rassicurante.

Allora mi decisi: glielo avrei detto.

Inizia a camminare verso Percy, che intanto aveva smesso di parlare con il dio del sole. Lo notai girarsi e iniziare a venirmi incontro, anche lui con un'espressione seria sul volto.

Ma, prima che potessimo raggiungerci, entrambi venimmo intercettati dai nostri padri.

Ares, con tutta la sua possente stazza, mi si piazzò davanti, coprendomi del tutto la visuale del figlio di Poseidone. Provai a carceralo con lo sguardo alle spalle di mio padre, ma mi fu impossibile visto tutto lo spazio che occupava.

«Sei stata brava, Nanetta» mi disse.

«Non voglio parlare con te» ringhiai.

Cercai di fare qualche passo avanti, superandolo, ma lui mi afferrò per le spalle e mi tenne ancora al pavimento.

«Toglimi le mani di dosso» dissi a denti stretti.

Lui fece come aveva detto, gli occhi sempre nascosto dietro alle lenti degli occhiali da sole. Non aveva nemmeno il coraggio di guardare dritto nei miei, senza alcuno strato a proteggerlo.

«Nom credevo che saresti riuscita davvero a sostenere il peso del cielo» ammise «Mi hai sorpreso. Questo dimostra solo di più che sei proprio mia figlia».

Sorrise, con quei denti accecanti per quanto erano bianchi.

Mi sentii accapponare la pelle, mentre un formicolio fastidioso mi invadeva i palmi delle mani.

«Non significa nulla» sbuffai «Annabeth ha sostenuto quello stesso peso, nonostante sia una figlia di Atena, per più tempo di me»

«Ma tu hai scelto di sostenerlo»

«Non cambia» feci, infastidita «E poi, piuttosto che essere associata a te, preferisco buttarmi dall'Olimpo».

Lui serrò le labbra in una linea dritta e incrociò le braccia muscolose e tatuate davanti al petto.

«Sei fortunata, Nanetta. Per come ti rivolgi a me dovrei punirti»

«Fallo» lo sfidai, con il mento alto.

Ci fissammo, e questa volta lui si tirò su gli occhiali da sole. Per una volta, le due cavità non erano vuote, ma presentavano due occhi scuri; mi sentii incenerire anche senza vedere le fiamme.

«Non provocarmi» ringhiò.

«Io qui ho finito» affermai.

Gli tirai una lieve spallata, nel mentre che iniziavo a camminare via.

«Harper» mi chiamò un'ultima volta.

Sbuffai, roteando gli occhi.

«Clarisse...»

«Che le è successo?» chiesi allarmata, girandomi di nuovo verso mio padre.

«Non posso dirti tutto, ma solo che sta bene. Per ora» rispose «Ma avrà bisogno del tuo aiuto»

«Non credo ti serva sapere che per lei andrei anche in capo al mondo»

«Ci credo» annuì «Ma non so se vorrai andare dove andrà lei».

Corrugai le sopracciglia, con delle piccole rughe a dipingermi la fronte.

«Cosa-» iniziai, ma Ares non mi lasciò finire.

Mi diede la spalle e camminò verso Afrodite. Per quanto tutti sapessero che erano amanti, i due dei si ostinavano a comportarsi in maniera normale.

Scossi la testa e mi girai di nuovo, intenta a trovare Percy.

Ora o mai più, mi dissi.

Lo cercai in mezzo alla folla, fra tutte le divinità, satiri, ninfe e chiunque altro, tutti intenti a ballare, chiacchierare o sorseggiare dai propri calici. Mi sembrò impossibile riuscire a trovare Percy in mezzo a tutto quel trambusto.

C'era una tale confusione, fra risate, musica e conversazioni fatte ad alta voce.

Lanciai un soffio alla mia frangetta per darci una sistemata e poi ripresi a camminare.

Stranamente, da quando avevo messo piede sull'Olimpo, avevo smesso di avere freddo. Non c'erano più brividi ad attraversarmi la schiena, i denti non battevano più e i guanti che avevo alle mani iniziavano a darmi il prurito.

Arrivai in quella che era la pista da ballo, dove numerose coppie volteggiavano assieme sulle note di una canzone degli anni '90.

Poi, lo vidi.

Seguii la sua testa corvina mentre si muoveva in mezzo alla pista, ballando con qualcuno. Non mi resi subito conto di chi si trattava, troppo concentrata a guardare Percy e a prepararmi un discorso in testa.

Iniziai a farmi avanti, più che convinta a dirgli la verità.

C'era un detto, in latino: carpe diem; cogli l'attimo.

E proprio quando stavo per raggiungerlo, mi resi conto che stava ballando con Annabeth. I due si bloccarono non appena la canzone finì. Percy si avvicinò a lei e le sussurrò qualcosa all'orecchio, un qualcosa che la fece sorridere di gioia. Annuì numerose volte e poi lo strinse in un abbraccio, che presto Percy ricambiò.

Mi sentii morire.

Era dall'inizio di quell'impresa che avevo notato un grosso interesse da parte di Percy nei confronti di Annabeth.

E se mi fossi sbagliata? E se a lui piacesse la mia migliore amica?

Percepii l'umiliazione colarmi addosso, come una doccia d'acqua gelata.

Non so come, ma Annabeth mi intravide in mezzo alla folle e mi sorrise, facendomi un pollice alto. Sembrava felicissima. Mi chiesi cosa le avesse detto Percy di così bello.

Le feci un cenno con la mano, ma poi, proprio quando Percy stava per voltarsi, io diedi le spalle ad entrambi e camminai via.

Non ho memoria di quello che feci dopo: so solo che andai spedita il più lontano possibile da quella sala, cercando di scappare.

Forse avevo interpretato male, forse a Percy non piaceva Annabeth... e allora come mai quel pensiero mi sembrava così disperato e in cerca di rassicurazioni? Perché non mi sentivo abbastanza nemmeno quella volta? Perché, ancora, ero la seconda scelta di qualcuno?

«Harper!» esclamò la voce di Percy.

Uscii dal mio stato di trance e mi resi conto di stare percorrendo la scalinata che portava all'ascensore, lo stesso che ci avrebbe riportati giù dopo quella festa.

«Non ora, Percy» dissi.

«Aspetta, per favore».

Mi bloccai prima di compiere un altro passo. Mi girai verso di lui, che stava scendendo i gradini di corsa per raggiungermi.

«Per gli dei se sei veloce» sbuffò, quando finalmente si fermò su due gradini sopra di me.

«Che c'è, Percy?» domandai.

«Ti va di ballare?» mi rispose con una domanda.

«Che cosa?» feci.

«A Westover Hall avevo l'intenzione di chiederti di ballare, ma prima che potessi farlo, tu eri già in pista con Talia» spiegò «Perciò, ti va di ballare ora?»

«Ma la musica...»

«Anche se poco, si sente»

«Non so ballare bene» affermai.

«Nemmeno io» sorrise, protendendo una mano verso di me.

Io, titubante, l'afferrai.

«Come pensi di ballare sui gradini?» chiesi.

«Ah, non lo so» rispose.

Mi posò l'altra mano sul fianco, mentre io gliela misi dietro al collo. Ascoltando la musica che proveniva in lontananza dalla cima del monte Olimpo, iniziammo a muoverci. Sembrava un lento, ma ciò non cambiava la mia incapacità nel ballo.

Cercammo di muoverci a ritmo, pestandoci ogni tanto i piedi o scontrandoci con le teste. Scoppiammo a ridere numerose volte.

«Hai proprio un Testone» sbuffai dopo l'ennesimo colpo contro la mia fronte.

«Parla per te» rise lui «Io intanto non mi sento più il piede»

«Ti avevo avvertito che non ero capace».

Ricademmo in un breve silenzio, i miei occhi immersi nei suoi. Per la prima volta in vita mia, mi sentii in imbarazzo a mantenere il contatto visivo con qualcuno. Di solito erano gli altri a interromperlo per primi, ma questa volta, fui io. Feci cadere lo sguardo per terra, mentre mi inumidivo il labbro.

«Avevo in mente di chiederti una cosa...» cominciò Percy.

«Devi per forza fare la pausa ad effetto? Sputa il rospo» ridacchiai.

«Mi chiedevo se, magari... per Natale avessi già dei piani» fece vago.

«Perché? Tanto lo sai che a casa non ci torno» alzai le spalle.

«Ecco, volevoproportidivenireapranzodameil25dicembre» disse tutto d'un fiato.

Non afferrai nemmeno una sillaba. Disse la frase così velocemente che fui costretta a fargliela ripetere.

«Vuoi venire a mangiare da me per il pranzo di Natale?» chiese ancora, stavolta a velocità normale.

«Oh, ehm...» balbettai sorpresa «Non ho mai fatto nulla per Natale»

«Beh, c'è una prima volta a tutto»

«Allora direi di sì, Testone. Mi va di venire a mangiare da te a Natale»

«Ma Clarisse?» mi chiese poi «Può venire anche lei, se vuole...».

Era chiaro che non ci tenesse in particolare modo che venisse pure mia sorella, tanto che sorrisi. Ma presto tornai seria, ripensando a Clarisse.

«Io... io non lo so» ammisi «Mi è stato solo detto che sarebbe partita per una missione di cui non mi poteva parlare. Non la vedo da settimane, non so dove sia o se stia bene...»

«Sono sicuro di si» cercò di rassicurarmi «Tua sorella è una tosta».

Sorrisi, annuendo.

«Lo è sempre stata»

«Si vede che in questo hai preso da lei».

Risollevai lo sguardo, spalancando gli occhi per la sorpresa.

«Tu mi credi una tosta?» domandai.

«La più tosta» mi corresse il figlio di Poseidone.

«Addirittura» commentai.

«Si» confermò lui.

Sentii le gote scaldarsi.

Non ero abituata ai complimenti, o almeno, non a quelli fatti così all'improvviso. Soprattutto se si trattava di complimenti che mai nessuno mi aveva fatto prima. Mi coglievano impreparata.

«Mi dispiace per la maledizione di mio padre» ammisi «È arrivata nel momento sbagliato, stavi combattendo contro Atlante...»

«Quello è stato il mio ultimo problema» disse di getto.

«In che senso?» feci.

«Nel senso che ero più preoccupato per te, che intanto sostenevi il peso del cielo da sola. Ma che ti è saltato in mente?» aggiunse, frustrato.

«Era giusto così» ribattei.

«No» scosse la testa «Nessuno dovrebbe sopportare una cosa del genere»

«Beh, Annabeth l'ha tenuto più di me. Non c'è motivo di preoccuparsi così tanto per me»

«E invece sì»

«No, Percy»

«Si, Harper» ribatté lui «Perché non puoi capire che le persone si preoccupano per te? C'è chi ci tiene davvero»

«Perché non sono abituata!» sbuffai.

«Beh, allora sappi che io per te mi preoccupo!» esclamò Percy.

Ci dividemmo, smettendo di ballare per parlare faccia a faccia.

«Non capisco perché tu lo faccia» mormorai.

«Come puoi non capirlo?» mi chiese.

Scossi la testa, le labbra dischiuse.

«Non lo capisco perché ti sono andata contro dal primo momento in cui ti ho visto, Percy» spiegai «Non ci sopportavamo all'inizio. E non fraintendere, è un peso in meno sul cuore averti come amico e non come nemico, ma faccio sempre fatica a capire come mai, nonostante tutto, tu abbia sempre insistito per conoscermi meglio»

«Perché sei tu» sussurrò.

«Che cosa vuol dire?» scossi la testa.

«Che per quanto tu non mi sopportassi e gli altri dicessero che eri impossibile come persona, io non mi sono arreso. Non credo al fatto che esistano cose impossibili, e tantomeno persone»

«Non ho mai conosciuto qualcuno di così testardo»

«Oh, tu mi superi» annuì «Per metterti in testa l'idea di doverti sacrificare per tutti, tenendo sulle spalle il cielo... beh, non è una cosa che fanno tutti»

«Per fortuna» mormorai.

«E tu non devi farlo. Mai più» disse, quasi autoritario.

«Perché mai?»

«Perché non posso vivere sapendo che ti ho lasciata morire senza fare nulla» rispose «Non hai idea di quanto io mi sia sentito impotente, lì, senza poter fare nulla per aiutarti. E ho passato tutta l'impresa con la paura che tu morissi, che la profezia parlasse di te...»

«Avresti dovuto accettarlo» sorrisi amaramente.

«No, non avrei potuto. Non se si trattava di te»

«E questo cosa significa? Che se invece fossi tu quello a morire, io dovrei accettarlo? Dovrei starmene lì a guardare, senza muovere un dito?»

«È così che deve andare. Sai anche tu che la Grande Profezia...»

«Fanculo la Gande Profezia!» esclamai «Non dobbiamo vivere nella paura di quello che succederà ai tuoi sedici anni, Percy»

«È tutto su di me, ora. Contano tutti su di me»

«Perché si fidano» dissi.

«E tu? Tu ti fidi di me?» chiese.

Mi aveva già fatto altre volte quella domanda, eppure capivo il suo ripetersi: aveva paura che io smettessi di fidarmi di lui, che, all'improvviso, iniziassi a trattarlo come un anno prima.

«Si, Percy, ciecamente» risposi «E tu ti fidi di me?»

«Si, senza nemmeno pensarci» arrossì.

Mi sentii il cuore fremere, mentre le ginocchia minacciavano di cedere e di farmi cadere sui gradini di marmo. Non resistetti a lungo sotto il suo sguardo: li slanciai verso di lui, avvolgendogli le braccia attorno al collo e stringendolo a me.

Percepii i battiti dei nostri cuore scontrarsi assieme ai nostri petti, iniziando a battere in un ritmo tutto loro.

Percy avvolse le sua braccia attorno alla mia vita e strinse con lo stesso vigore, affondando il volto fra il mio collo e la mia spalla.

«Grazie» sussurrai.

«Per cosa?» mi chiese.

«Per non esserti fermato alle apparenze»

«Sono io che dovrei ringraziare te, Testona»

«Ah, si?»

«Si. Per avermi fatto entrare nella tua bolla».

Ci staccammo, tornando a fissarci.

Non sapevo se farlo o meno, se dirgli ciò che provavo pure no. Ma, prima ancora che potessi aprire bocca, lui mi precedette.

«Ti prego, fallo ancora» disse.

«Che cosa?»

«Abbracciarmi. Fallo ancora» pregò.

E prima ancora che potessi stringerlo di nuovo, fu lui a spingermi contro di sé. Questa volta, appoggiò il mento sopra alla mia testa, mentre io affondavo il viso nel suo petto.

Odiavo il contatto fisico, ma in quel momento ne sentivo un bisogno primordiale, eccessivo pure per me.

E poi la realtà mi colpì: Percy mi piaceva, ed era lì, ad abbracciarmi e a dirmi che ci teneva a me. Si, ma che ci teneva a me come un'amica.

Mi staccai all'improvviso, in modo brusco.

Non riuscivo a sopportarlo, quel peso. Mi schiacciava ancora di più del cielo, soffocandomi e facendomi male al cuore. Non potevo continuare a fare finta di nulla, a fare finta che per me Percy era solo un amico.

«Che hai?» mi chiese, confuso.

«Non posso continuare a fingere, Percy» scossi la testa, scendono di qualche altro gradino e allontanandomi da lui.

«Di cosa stai parlando, Harp?» fece.

Scese la stessa quantità di gradini che avevo percorso io, riavvicinandosi a me.

«Di questo!» dissi esasperata, muovendo le mani nello spazio fra me e lui.

Percy mi fissò, i suoi occhi ora scuri come il mare in burrasca. Aveva le sopracciglia aggrottate e le labbra leggermente schiuse, come se stesse cercando di capire di che cosa stavo parlando.

«Ti giuro che non capisco» ammise, in difficoltà.

«Ma come fai a non averlo capito?» .

Mi uscì come una risata carica di nervosismo. Forse mi stavo lasciando trascinare un po' troppo dalle mie emozioni, ma, a mia discolpa, non lo facevo mai. Mi ero tenuta così tante cose dentro durante quell'impresa: la preoccupazione per Clarisse e Annabeth, la mia fatica con il cibo, il rapporto burrascoso che avevo con le cacciatrici, le conversazioni avute con mio padre...

Ora stavo esplodendo. Ero peggio di un fiume straripante di parole non dette, di pensieri non espressi, di sogni nom avverati.

«DEI» urlai, coprendomi il viso.

«Perché non puoi dirmelo e basta?» domandò Percy.

«Perché è difficile dirti che mi piaci, ok?!» strillai.

Percy spalancò occhi e bocca in un colpo solo. Fu grazie a quello che mi resi conto della grossa cazzata che avevo appena fatto: non avevo controllato le parole, e mi ero lasciata sfuggire la mia confessione.

«Oh...» mormorai, portandomi una mano davanti alle labbra, come se volessi rimangiarmi tutte le parole che ne erano appena uscite.

«Che... che... io...» balbettò il ragazzo.

«Fa' finta che io non l'abbia mai detto, ok?» chiesi.

Sentivo la faccia che mi andava a fuoco, ma la cosa che mi fece andare di più nel panico fu leggere il dubbio negli occhi di Percy. Si capiva che era sorpreso, ma non mi sembrava quel genere di sorpreso in modo positivo; e c'era anche il fatto che stesse esitando.

«Io...» feci «Non posso, scusami».

Gli diedi le spalle e ricominciai a correre giù per i gradini, facendo finta di non sentire Percy alle mie spalle che chiamava il mio nome e mi pregava di tornare indietro.

Arrivai davanti alle porta dell'ascensore, schiacciai il pulsante e, non appena si aprirono, sgusciai all'interno. Quando si chiusero, appoggiai la schiena contro una delle pareti e scivolai fino al pavimento, lentamente.

Mi portai le ginocchia al petto, nascondendo il viso.

Che cosa avevo appena fatto?

⸻ ✧ ⸻

˗ˏˋ ꒰ 𝙖𝙪𝙩𝙝𝙤𝙧'𝙨 𝙣𝙤𝙩𝙚 !

Cosa posso dire...? Sto piangendo.

Ve l'aspettavate? Vi dico solo una cosa: originariamente, il bacio dove avvenire in questo capitolo... ma spero capitate che sarebbe stato un po' forzato. Vi PROMETTO che non aspetterete troppo😄

Detto ciò, il prossimo è l'ultimo capitolo e avrà il pov di Annabeth!😍 infine ci sarà un capitolo bonus, e poi arriverà il sequel <3

Ci sentiamo presto ❥ sofi

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