𝐇𝐄𝐀𝐑𝐓𝐁𝐔𝐑𝐍, percy...

By -goosebumpss

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❛ ti fidi di me? ❜ ❛ come potrei non fidarmi? ❜ ▬▬▬▬▬▬▬▬ ⚔️ ⋆ ˚。⋆౨ৎ percy jackson and the olympians - book... More

𝐁𝐄𝐅𝐎𝐑𝐄 𝐒𝐓𝐀𝐑𝐓𝐈𝐍𝐆
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──── 𝐀𝐂𝐓 𝐎𝐍𝐄
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𝐒𝐄𝐐𝐔𝐄𝐋

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By -goosebumpss

- ̥۪͙۪˚┊❛ chapter seventeen ❜┊˚ ̥۪͙۪◌
𝙛𝙖𝙘𝙘𝙞𝙖𝙢𝙤 𝙣𝙪𝙤𝙫𝙚 𝙘𝙤𝙣𝙤𝙨𝙘𝙚𝙣𝙯𝙚, 𝙖𝙡𝙘𝙪𝙣𝙚 𝙙𝙞𝙨𝙘𝙪𝙩𝙞𝙗𝙞𝙡𝙞

⸻ ✧ ⸻

𝐇𝐀𝐑𝐏𝐄𝐑

«La diga di Hoover» disse Talia «È enorme».

Eravamo sulla sponda del fiume, lo sguardo fisso sull'ampia curva di cemento che ci sovrastava. In cima alla diga c'erano delle persone che camminavano. Sembravano delle pulci.

Le Naiadi ci lasciarono, brontolando.

Non riuscii a capire cosa dicessero, ma una cosa era chiara: odiavano quella diga che bloccava il loro bel fiume.

Le nostre canoe si allontanarono con la corrente, roteando sulla scia dei condotti di scarico.

«221 metri di altezza» declamò Percy «Costruita negli anni Trenta»

«35 miliardi di metri cubi d'acqua» aggiunse Talia.

Grover sospirò.

«La più grande opera di ingegneria civile degli Stati Uniti».

Zoe li guardò sbalordita.

«Come fate a sapere tutte queste cose?»

«Annabeth» risposi, in modo malinconico.

«Aveva una passione per l'architettura» aggiunse Percy.

«Andava matta per i monumenti» confermò Talia.

«Blaterava sfilze di dati in continuazione" singhiozzò Grover «Una vera rottura»

«Mi manca» ammisi,

«Vorrei che fosse qui» annuì il figlio di Poseidone.

Gli altri lo imitarono.

Zoe ci stava ancora guardando in modo strano, ma non mi importava. Sembrava proprio un destino crudele che fossimo arrivati alla diga di Hoover, una delle costruzioni preferite di Annabeth, e lei non fosse lì per vederla.

«Dovremmo salirci per lei» propose Percy «Solo per dire che ci siamo stati»

«Tu sei matto» decise Zoe «Ma la strada passa proprio di lì».

Indicò un grosso parcheggio accanto alla diga, in alto.

«Perciò, va bene: faremo i turisti».

⸻ ✧ ⸻

Ci toccò camminare per almeno un'ora prima di trovare il sentiero giusto, che sbucava sulla sponda orientale del fiume. E una volta saliti in cima, fummo costretti a tornare indietro per raggiungere la diga.

Faceva molto freddo e tirava vento. E io, la persona più freddolosa sulla faccia della terra, stavo soffrendo al massimo. Non solo il polso mi faceva ancora male (a quanto pareva, nessuna aveva dell'ambrosia con sé; o almeno, non più), ma il freddo mi affaticava nella camminata.

Da una parte si stendeva un grande lago, contornato dalle montagne spoglie del deserto; dall'altra c'era la rampa da skateboard più pericolosa del mondo: uno strapiombo di duecentoventuno metri sul fiume, con l'acqua che spumeggiava dai condotti di scarico.

Talia camminava in mezzo alla strada, ben lontana dai bordi. Grover continuava a fiutare l'aria e sembrava nervoso. Non disse nulla, ma sapevo che aveva percepito odore di mostri.

«Quanto sono vicini?» gli chiese Percy, che probabilmente lo aveva notato come me.

Lui scosse la testa.

«Forse non tanto. Il vento sulla diga, il deserto che ci circonda... l'odore può aver viaggiato per chilometri. Ma viene da diverse direzioni. Non mi piace».

Non piaceva neanche a me. Era già mercoledì, mancavano solo due giorni al solstizio d'inverno e avevamo ancora molta strada da fare. Non avevamo bisogno di altri mostri.

Oltretutto, non sapevo dove fossero Clarisse e Annabeth; ma, soprattutto, non sapevo se stessero bene e se fossero ancora vive,

«C'è un bar al centro visitatori» disse Talia.

«Sei già stata qui?» domandò Percy.

«Una volta. Per vedere i guardiani».

Indicò l'estremità opposta della diga.

Scolpita sul fianco del dirupo c'era una piccola piazza con due statue di bronzo. Somigliavano un po' a due Oscar con le ali.

«Furono dedicate a Zeus quando la diga è stata costruita» aggiunse Talia «Un dono di Atena».

Erano circondate da una piccola folla di turisti, che sembravano concentrati sui piedi delle statue.

«Ma che fanno?» chiesi.

«Accarezzano i piedi dei guardiani» rispose lei «Pensano che porti fortuna»

«Bleah, che schifo i piedi» scossi la testa, disgustata.

«Perché?» chiese invece il figlio di Poseidone.

Lei scosse la testa.

«I mortali si fanno venire delle idee strambe, ogni tanto. Non sanno che le statue sono sacre a Zeus, però sentono che hanno qualcosa di speciale»

«Quando sei venuta a vederle, ti hanno parlato? Ti hanno dato qualche segno o roba del genere?».

L'espressione di Talia si incupì. Intuivo che fosse proprio quello il motivo per cui aveva già fatto visita alla diga: aveva sperato di ottenere un segno da suo padre. Di stabilire una connessione.

«No. Non fanno un bel nulla. Sono solo delle grosse statue di metallo»

«Sarà meglio desinare nel bar della diga» disse Zoe.

«Andiamo a cercarlo».

Grover si lasciò sfuggire un sorriso.

«Desinare?».

Zoe lo guardò senza capire.

«Sì. Che c'è, ho detto qualcosa di strano?»

«Niente» rispose Grover, cercando di restare serio «In effetti, anch'io gradirei desinare con delle patatine».

Forse era perché eravamo tutti sfiniti, fisicamente ed emotivamente, ma cominciò a prendermi la ridarella, e Percy, Talia e Grover si lasciarono contagiare, mentre Zoe ci guardava esasperata.

«Basta, io ci rinuncio!» sbottò.

Ma non sembrava offesa.

Probabilmente avrei continuato a ridere per tutto il giorno se gli altri non mi avessero tirato degli spintoni pur di farmi smettere.

«Sbaglio, o ho appena sentito una mucca?» fece Grover.

«La invitiamo a desinare con noi?» rise Talia.

Non mi trattenni, e tornai a sghignazzare con una mano davanti alle labbra.

«No» rispose Grover «Dico sul serio»

Zoe tese l'orecchio.

«Io non sento nulla»

«Nemmeno io» intervenni.

«Percy, ti senti bene?» chiese Talia.

«Sì» rispose lui «Voi andate avanti. Io vengo subito»

«C'è qualcosa che non va?» chiese Grover.

«Va tutto bene?» domandai, facendo un passo avanti.

«Niente» rispose «Va tutto bene. Datemi... datemi solo un minuto... per pensare».

E dopo qualche momento di esitazione, Percy si allontanò

«Sta bene?» chiesi «È strano da un po'»

«Non saprei» scosse la testa il satiro.

«Credo che la vicenda nel deserto l'abbia scosso» affermò Talia.

Io annuii lievemente.

«Intanto entriamo?» propose Zoe.

«Io ci sto» annuì Grover.

Io feci il pollice alzato, per poi seguire il gruppetto all'interno dell'edificio.

C'erano non pochi turisti, tutti armati di macchine fotografiche appese al collo e capellini con il frontino sui capi. C'erano anche vari bambini, che correvano in giro e urlavano.

L'ho mai detto che odio i bambini?

Individuammo il bar in poco tempo e ci sedemmo ad uno dei tavolini, mentre Talia rimaneva in piedi.

«Allora, cosa prendete?» chiese, quasi come se fosse la cameriera.

Nel mentre che Grover e Zoe comunicavano le loro "ordinazioni", io rimasi con lo sguardo fisso verso l'ingresso, in attesa di vedere Percy entrare.

Ero preoccupata, tanto.

Sentivo quasi come se mi fossero state portate via due persone importanti dalla mia vita, e non volevo che ce ne fosse una terza; ma soprattutto, non volevo che quella terza fosse Percy.

«Harp? Ci sei?» mi richiamò la figlia di Zeus.

«Cosa?» feci.

«Tu cosa prendi?»

«Oh, ehm... io sto bene così, grazie» scossi la testa, con un sorriso.

«Sicura?» insistette lei.

Annuii in maniera vigorosa, mentre lo stomaco mi brontolava in silenzio.

Non sapevo da quanto stessi digiunando; sapevo solo che non volevo cedere.

«Vado un attimo al bagno» mi scusami, alzandomi.

Camminai in giro alla ricerca dei gabinetti, senza successo. Poi, mi fermai e sbuffai, arricciando le labbra per il fastidio.

«Fermo!» sentii gridare alle mie spalle.

Tempo nemmeno mezzo secondo, che venni travolta da qualcuno. Questa persona mi afferrò per le spalle e iniziò a spingermi verso quello che era un ascensore.

Quando, leggero, mi arrivò l'odore di brezza marina, capii di chi si trattava.

«Percy, dove...?» provai.

«Zitta e corri!» esclamò lui.

E feci così: corsi e i infilai dentro mentre la porta si chiudeva, con Percy sempre attaccato alle spalle.

«Scenderemo di 221 metri» annunciò allegramente la guida.

Era una guardia forestale con i capelli lunghi e neri legati in una coda e gli occhiali scuri. Immagino non si fosse accorta che mi inseguivano.

«Non preoccupatevi, signore e signori, l'ascensore non si rompe quasi mai»

«Stiamo andando al bar?» le chiese il figlio di Poseidone.

Mi sbattei una mano in faccia.

Qualcuno dietro di noi ridacchiò.

La guida si voltò a guardarci e avvertii uno strano formicolio sulla pelle.

«Stiamo andando alle turbine, giovanotto» rispose la donna «Non hai ascoltato la mia affascinante spiegazione al piano di sopra?»

«Oh, ehm, certo. C'è un'altra uscita, giù?»

«È un vicolo cieco» rispose un turista alle nostre spalle «Per l'amor del cielo, l'unico modo per uscire è prendere l'altro ascensore».

Le porte si aprirono.

«Sempre dritti, gente!» esclamò la guida «Una guardia forestale vi sta aspettando in fondo al corridoio».

Non avemmo altra scelta che accodarci al gruppo.

«Hey, ragazzi» ci chiamò la donna.

Mi voltai. Si era tolta gli occhiali. Aveva degli inquietanti occhi grigi, come nuvole temporalesche.

«C'è sempre una via d'uscita per chi è abbastanza sveglio da trovarla».

Le porte si chiusero con la guida ancora dentro, lasciandoci là da soli

Prima che potessi riflettere troppo sulla donna nell'ascensore, udii un ding dietro l'angolo. Il secondo ascensore si stava aprendo, svelando un rumore inconfondibile: l'acciottolio di denti di scheletro.

«Percy, sbagli o...?» provai di nuovo.

«Corri!» strillò lui di nuovo.

Corremmo dietro al gruppo, attraverso un tunnel scavato nella roccia massiccia. Sembrava interminabile. Le pareti erano umide e l'aria ronzava per l'elettricità e il boato dell'acqua. Sbucai su un balcone a forma di U, affacciato su una grande area-magazzino. Una quindicina di metri sotto, giravano le turbine. Era una stanza ampia, ma non vidi nessun'altra uscita, a meno che non volessi saltare in mezzo alle turbine e trasformarmi in un frullato di energia elettrica.

E non lo volevo.

Un'altra guida stava parlando al microfono, spiegando ai turisti come funzionava il rifornimento idrico del Nevada.

Pregai che Talia, Zoe e Grover stessero bene, e che non si stessero preoccupando in modo esagerato per la mia scomparsa improvvisa.

Forse li avevano già catturati, oppure se ne stavano a mangiare, al bar, del tutto ignari che fossimo circondati.

Ci facemmo strada tra la folla, cercando di non dare troppo nell'occhio. Per non perdermi di vista, Percy mi aveva afferrato il polso - quello sano.

C'era un corridoio alla fine del balcone, forse potevamo nasconderci da qualche parte.

Quando arrivammo in fondo, avevo i nervi a pezzi. Arretrammo nel piccolo corridoio che avevamo visto da lontano e osservammo il tunnel da cui eravamo venuti.

Poi, proprio alle nostre spalle, udii un "Sssh!" acuto, come la voce di uno scheletro.

Senza ne,meno pensarci due volte, evocai Psyche e mi voltai, pronta alla attacco.

La ragazza che avevo appena cercato di affettare in due strillò e lasciò cadere il fazzoletto di carta.

«Oh, mio dio!» gridò «Ammazzate tutti quelli che si soffiano il naso?».

La prima cosa che mi passò per la testa fu che la spada non l'aveva ferita. L'aveva attraversata di netto senza farle neanche un graffio.

«Ma tu sei mortale!» esclamò Percy, che, come me, aveva evocato la sua spada.

Lei ci guardò incredula.

«E questo che vorrebbe dire? Certo che sono mortale! Come avete fatto a far passare quelle spade al metaldetector della sicurezza?»

«Io non... aspetta un momento, riesci a vedere che sono delle spade?».

La ragazza alzò gli occhi al cielo. Erano verdi, ma non belli come quelli di Percy. Aveva i capelli crespi e rossicci, e anche il naso era rosso, come se avesse il raffreddore. Indossava una grossa felpa bordeaux di Harvard e un paio di jeans coperti di segni di pennarelli e forellini, come se passasse il tempo libero a infilzarli con la forchetta.

«Beh, o è una spada, o è il più grosso stuzzicadenti del mondo» replicò.

«Mh, pure simpatica» dissi sarcastica.

«E perché non mi hanno ferito? Cioè, non che mi lamenti. Chi siete? E... cavolo, che vi siete messi? È una pelle di leone, quella?».

Ci aveva fatto tutte quelle domande talmente in fretta che mi sembrarono quasi delle sassate.

Non sapevo cosa dire.

Sapevo che avevamo ancora i guerrieri-scheletro alle calcagna. Non avevamo tempo da perdere. Ma continuai a fissare infastidita la ragazza con i capelli rossi.

Percy schioccò le dita.

«Tu non vedi una spada» disse alla ragazza «Questa è solo una penna a sfera».

Lei strizzò gli occhi.

«Ehm... no. È una spada, sciroccato»

«Oh, dei» sospirai «Sei proprio un idiota»

«Chi sei?» domandò invece lui.

La ragazza sbuffò indignata.

«Rachel Elizabeth Dare. Ora, avete intenzione di rispondere alle mie domande o devo chiamare la sicurezza?»

«Provaci» la sfidai.

«No!» replicò Percy «Cioè, andiamo un po' di fretta. Siamo nei guai»

«Nei guai, eh?»

«Già»

«Solo per colpa sua» indicai il ragazzo «Come sempre»

«Non fai ridere, Testona» si lamentò lui.

La ragazza guardò oltre le nostre spalle e sgranò gli occhi.

«Il bagno!»

«Cosa?»

«Il bagno! Dietro di me! Ora!».

Non so perché, ma Percy le diede ascolto. Si infilò nel bagno degli uomini, trascinandomi con sé, e lasciammo Rachel Elizabeth Dare fuori.

Udii l'acciottolio e i sibili degli scheletri che si avvicinavano.

Ad essere sincera, non mi fidavo di quella ragazza. Come potevo farlo? Poteva tranquillamente dire agli scheletri che eravamo nascosti nel bagno.

Afferrai uno dei miei pugnali e lo tenni stretto fra le dita, pronta ad attaccare.

«Oh, mio Dio! Avete visto quei ragazzini? Era ora che vi faceste vivi. Hanno cercato di uccidermi! Avevano delle spade, per l'amor del cielo. Ma io dico, come avete fatto a lasciare entrare dei pazzi armati di spada in un monumento nazionale? Insomma, cavolo! Sono scappati da quella parte, verso quei cosi, come si chiamano... le turbine. Hanno scavalcato, mi pare. Forse sono caduti».

Gli scheletri batterono i denti eccitati. Sentii che si allontanavano.

La ragazza aprì la porta.

«Via libera. Ma è meglio che vi sbrighiate».

Sembrava sconvolta. Aveva la faccia terrea e sudata.

Sbirciai dietro l'angolo. Tre guerrieri-scheletro stavano correndo in fondo al balcone. La strada verso l'ascensore sarebbe rimasta libera per qualche secondo.

«Ti devo un favore, Rachel Elizabeth Dare» osservò Percy.

Io sollevai gli occhi al cielo, annoiata.

Solo perché non aveva fatto la spia, le doveva un favore? Ma per piacere!

«Ma quelli cos'erano?» chiese la ragazza «Sembravano...»

«Scheletri?».

Lei annuì, imbarazzata.

«Fatti un favore» le dissi «Dimentica di averci mai visti»

«Devo scordarmi anche che avete cercato di uccidermi?»

«Sì, pure quello» rispose Percy.

«Ma voi chi siete?»

«Ma i cavoli-» iniziai, per poi essere interrotta dal figlio di Poseidone.

«Percy...» cominciò a dire.

Poi gli scheletri si voltarono.

«Dobbiamo scappare!»

«Oh merda» feci.

«Che razza di nome è Percy Dobbiamoscappare?».

Sfrecciammo verso l'uscita.

Il bar era pieno di ragazzini che si godevano la parte migliore della gita: il pranzo. Talia, Zoe e Grover erano seduti momento con i vassoi pieni.

«Dobbiamo andarcene» disse Percy col fiato grosso «Subito!»

«Ma abbiamo appena preso i burritos!» protestò Talia «Grazie agli dei, Harp, pensavamo ti fosse successo qualcosa!» esclamò poi.

Zoe si alzò in piedi, mormorando un'imprecazione in greco antico.

«Ha ragione! Guardate».

Le finestre del bar giravano tutt'attorno al piano della panoramica, offrendoci una splendida vista sull'esercito di scheletri che era venuto ad ammazzarci.

Ne contai due sul lato orientale della diga, che bloccavano la strada per l'Arizona. Altri tre erano sul lato occidentale, a guardia del Nevada. Tutti erano armati di manganelli e pistole.

Ma il nostro problema immediato era molto più vicino.

⸻ ✧ ⸻

I tre guerrieri-scheletro che ci avevano inseguiti nella sala delle turbine erano appena comparsi sulle scale. Ci videro in fondo al bar e ci fu il solito acciottolio di denti.

«L'ascensore!» suggerì Grover.

Ci slanciammo da quella parte, ma le porte si aprirono con un grazioso ding e ne uscirono altri tre scheletri. Tutti i guerrieri rispondevano all'appello, tranne quello che Bianca aveva mandato in fiamme in New Mexico.

Eravamo completamente circondati.

Poi Grover ebbe un'idea brillante, decisamente da lui.

«Battaglia al burrito!" strillò, e scagliò il suo Grand Guacamole contro lo scheletro più vicino.

Ora, se non siete mai state colpiti da un burrito volante, ritenetevi fortunati. In termini di proiettili micidiali, non ha niente da invidiare a bombe a mano e palle di cannone.

Il lancio di Grover centrò il bersaglio e gli staccò di netto la testa dalle spalle. Non so che cosa videro gli altri ragazzi del bar, ma andarono su di giri e cominciarono a lanciarsi burritos, patatine e bibite all'impazzata, strillando e gridando.

Gli scheletri cercarono di puntare le pistole, ma era inutile. C'erano corpi, cibo e bevande che volavano dappertutto.

Nel caos generale, mi lanciai contro uno scheletro e lo feci volare in mezzo al bar con un calcio.

«E adesso?» chiese Grover quando irrompemmo fuori.

Avevo paura che non ci fosse una risposta.

I guerrieri sulla strada si stavano avvicinando da entrambe le direzioni.

Corremmo verso il padiglione con le due statue alate di bronzo, ma così ci ritrovammo con le spalle contro la montagna.

Gli scheletri si fecero avanti, attorniandoci in una mezzaluna. I loro compari stavano accorrendo dal bar. Uno si stava ancora aggiustando il teschio sulle spalle. Un altro era ricoperto di ketchup e mostarda. Altri due avevano dei burritos incastrati fra le costole, e non ne sembravano molto entusiasti. Estrassero i manganelli e avanzarono.

«Quattro contro undici» mormorò Zoe «E loro non possono morire»

«Equo» commentai.

«È stato bello rischiare la pelle con voi, ragazzi» dichiarò Grover, con voce tremante.

«Cavolo» esclamò Percy, girato verso le statue «Che dita brillanti»

«Percy!» sbottò Talia «Non è il momento».

Ma lui non rispose. Rimase con lo sguardo fisso, come se stesse ragionando a qualcosa di importante.

Poi, realizzai una cosa. La guida nell'ascensore non era effettivamente una guida, ma la madre di Annabeth: Atena.

«Talia» disse il corvino «Prega tuo padre».

Lei lo fulminò con lo sguardo.

«Non risponde mai»

«Solo per questa volta» la supplicò «Chiedigli aiuto. Penso... penso che le statue possano portarci un po' di fortuna».

Sei scheletri alzarono le pistole. Gli altri cinque si fecero avanti con i manganelli.

Quindici metri.

Dodici.

«Fallo!» gridò Percy.

«No!» rispose Talia «Non mi risponderà»

«Stavolta è diverso!»

«Chi lo dice?»

«Atena» conclusi, collegando i puntini.

Percy mi lanciò uno sguardo, annuendo.

Talia aggrottò la fronte come fosse certa che stessimo impazzendo.

«Provaci» la supplicò Grover.

Alla fine Talia chiuse gli occhi, muovendo le labbra in una muta preghiera.

Ma non successe nulla.

Gli scheletri si avvicinavano sempre di più. Sollevai Psyche, pronta a difendermi. Percy alzò Vortice. Talia levò lo scudo. Zoe si spinse Grover alle spalle e puntò una freccia contro la testa di uno scheletro.

Un'ombra calò su di me.

Pensai che forse era l'ombra della morte. Poi mi resi conto che era quella di un'ala enorme.

Gli scheletri alzarono lo sguardo troppo tardi. Un lampo di bronzo, e i cinque armati di manganello furono falciati di lato.

Gli altri scheletri aprirono il fuoco.

I guardiani di bronzo si misero davanti a noi e spiegarono le ali a mo' di scudo. I proiettili ci rimbalzarono sopra come pioggia su un tetto di lamiera ondulata. Poi con un colpo d'ali fecero volare gli scheletri in fondo alla strada.

«Ah, finalmente in piedi!» esclamò il primo angelo.

La voce suonava metallica e arrugginita, come se non avesse più bevuto un goccio dal giorno in cui era stato costruito.

«Ma hai visto che piedi?» rispose l'altro «Per il divino Zeus, ma che accidenti hanno quei turisti nella zucca?».

Per quanto fossi sbigottita e sorpresa per gli angeli, gli scheletri mi preoccupavano di più. Alcuni si stavano già rialzando, ricomponendosi, le mani ossute che cercavano le armi a tentoni.

«Guai in vista!» disse Percy.

«Portateci via di qui!» gridò Talia.

Gli angeli le scoccarono un'occhiata dall'alto.

«La figlia di Zeus?»

«Sì!»

«Potrei sentire un "per favore", signorina figlia di Zeus?» chiese un angelo.

«State scherzando, spero!» strillai.

«Per favore!» esclamò invece Talia.

I due si guardarono e scrollarono le spalle.

«Non mi farà male sgranchirmi un po'» decise uno.

E un attimo dopo una statua afferrava me, Percy e Talia, l'altra acciuffava Zoe e Grover, e tutti e sette partivamo a razzo dritti verso il cielo, sopra la diga e il fiume, con i guerrieri-scheletro che rimpicciolivano sotto di noi e i colpi di pistola che riecheggiavano sui fianchi delle montagne.

⸻ ✧ ⸻

˗ˏˋ ꒰ 𝙖𝙪𝙩𝙝𝙤𝙧'𝙨 𝙣𝙤𝙩𝙚 !

Vi giuro, non aspetto altro se non scrivere il quarto e quinto atto di questa storia (quindi il sequel)!!

Intanto, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per le 22k letture🫶 vi amo, sul serio.

Ci sentiamo presto ❥ sofi

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