𝐇𝐄𝐀𝐑𝐓𝐁𝐔𝐑𝐍, percy...

By -goosebumpss

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❛ ti fidi di me? ❜ ❛ come potrei non fidarmi? ❜ ▬▬▬▬▬▬▬▬ ⚔️ ⋆ ˚。⋆౨ৎ percy jackson and the olympians - book... More

𝐁𝐄𝐅𝐎𝐑𝐄 𝐒𝐓𝐀𝐑𝐓𝐈𝐍𝐆
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──── 𝐀𝐂𝐓 𝐎𝐍𝐄
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𝐒𝐄𝐐𝐔𝐄𝐋

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- ̥۪͙۪˚┊❛ bonus chapter ❜┊˚ ̥۪͙۪◌
𝙇𝙚𝙣𝙖 𝙢𝙞 𝙝𝙖 𝙨𝙘𝙖𝙢𝙗𝙞𝙖𝙩𝙖 𝙥𝙚𝙧 𝙪𝙣 𝙩𝙚𝙨𝙩𝙚𝙧 𝙪𝙢𝙖𝙣𝙤

 

𝐇𝐀𝐑𝐏𝐄𝐑

𝑭orse ogni anno tentavo di convincermi che il campo quasi del tutto vuoto non mi faceva nessun effetto, ma non era così.

Vedere tutti quei semidei tornare a casa, dalle proprie famiglie, mi lasciava sulla pelle un senso di malinconia e di abbandono.

Non davo di certo la colpa ai ragazzi, ma li invidiavo. Li invidiavo più di quanto potessi ammettere.

Quell'anno, oltretutto, anche Annie era tornata da suo padre. E dovevo ammettere che si, la sua mancanza si sentiva.

Speravo che sarei riuscita a fare le mie solite cose, come se non fosse cambiato nulla, ma non era così.

Fortunatamente, però, Silena rimaneva al campo tutti gli anni.

Purtroppo, i giorni passavano particolarmente lenti.

L'umore di tutti i ragazzi rimasti non era alto; erano tutti ancora sotto shock per la storia di Luke, e come biasimarli. Era sempre stato un esempio per loro, e lui aveva tradito tutti.

Mi dava fastidio dire "ve l'avevo detto", quindi dovevo tenermelo per me.

Nah, scherzo, non mi dava fastidio per nulla avere ragione, però a dirlo in faccia a qualcuno risultava cattivo e di pessimo gusto, quindi evitavo.

Mi bastava sapere che, come sempre, il mio sesto senso non aveva sbagliato.

Per far passare il tempo, avevo iniziato ad allenarmi di più in arena: con mia sorella, con Henry, e quando capitava, anche con altri ragazzi.

Grazie a tutti questi allenamenti, stavo imparando a conoscere di più mio fratello, Henry.

L'avevo sempre sottovalutato, dal punto di vista caratteriale.

Tendevo sempre a tenere lontani da me tutti gli altri figli di Ares per un semplice motivo: loro andavano fieri di essere figli del dio della guerra, nonostante il casino che aveva fatto con Crono; io non riuscivo ad esserne fiera. Mio padre mi aveva rovinato la vita, tutti i miei problemi erano nati a causa sua.

E, a quanto pareva, nemmeno Henry nutriva una certa simpatia per il nostro genitore divino.

Mi aveva raccontato di come sentiva sempre delle aspettative schiacciargli la schiena, intrappolarlo nel suo stesso corpo.

Una delle ultime sere calde di settembre, stavamo passeggiando nel bosco, sotto le ombre delle chiome degli alberi.

Avevamo iniziato a farlo spesso, era diventata un'abitudine.

«Si sente che sta arrivando l'autunno: non fa più così caldo da stare in maniche corte» mi disse Henry.

Sarò onesta: a me non dispiaceva per niente.

Odiavo indossare vestiti che, a parer mio, lasciavano intravedere troppo del mio corpo. Mi sentivo esposta, messa a nudo.

«Sembra così lunga la strada fino alla prossima estate. Nonostante stia qui tutti gli anni, è triste vedere il campo vuoto» ammisi.

«È vero» confermò lui «È troppo... silenzioso».

E non potevo che concordare: mi mancavano i suoni delle risate dei semidei, delle spade che cozzano fra di loro, delle urla a causa degli scherzi dei fratelli Stoll... (anche se non avevano perso tempo a usare me come vittima di un paio di scherzi solo quella settimana).

Di colpo mi fermai, alzando lo sguardo al cielo che si stava piano piano scurendo, lasciando spazio alle stelle.

Amavo le stelle: alcune, nonostante si fossero spente, brillavano ancora, perché erano troppo distanti perché noi smettessimo di vederle.

Era strano rivedersi in una stella?

«Che succede?» mi chiese la voce di Henry, lievemente preoccupata.

«Guarda le stelle: non sono bellissime?» chiesi.

Pure lui sollevò lo sguardo, andandolo a posare sulla volta sopra di noi.

«Sai, mi fa strano sentirti parlare così»

«Così come?» chiesi.

«Così tranquillamente. Di solito sei sempre scontrosa, burbera e antipatica - senza offesa».

Risi di gusto.

«Non credere che quel lato di me sia sparito, sai»

«Ne dubito, Harper» disse lui «Però mi fa piacere»

«Che cosa?»

«Che tu ti stia aprendo con me. Sembra che tu ti stia lentamente facendo cadere quella corazza che hai sempre addosso».

Lo guardai negli occhi, consapevole che aveva sempre saputo.

«Per quanto possa sembrare una corazza, quello è il mio carattere. Lo è da anni, ormai. Non posso fare nulla per cambiarlo, ma ci sono altri lati di me. Come questo» dissi con un filo di voce.

«Hai una costellazione preferita?» mi chiese d'un tratto.

«Sai, non ci ho mai pensato. Ho sempre visto le stelle come... come singoli "individui"» confessai.

«Io ne ho una preferita, quella dell'ariete» e detto ciò, mi si avvicinò e me la indicò.

Si trattava come di un filo, che, seguendo la sua direzione, collegava varie stelle.

«Come mai ti piacciono tanto le costellazioni?» chiesi.

«Perché le stelle che ne fanno parte sembrano brillare di più» sussurrò «Tu non brilli di meno, Harper, devi solo trovare le stelle che ti servono per creare la tua costellazione».

⸻ ✧ ⸻

𝑳a mattina dopo mi svegliai con uno strano groppo in gola.

La conversazione con Henry mi aveva toccata nel profondo, più di quanto mi aspettassi.

Era per questo che stavo legando con lui: mi capiva, e sapeva sempre dirmi le parole giuste.

So che è sbagliato dirlo, ma non mi sembrava affatto un figlio di Ares. E adoravo questa cosa.

Guardandomi in giro, notai che tutti i letti erano vuoti: alcuni perché i ragazzi si erano già alzati, altri perché i ragazzi semplicemente avevano dormito nei loro veri letti.

Scostai le lenzuola e misi dei vestiti puliti, spogliandomi del pigiama.

Non mi preoccupai di andare a fare colazione, non ne avevo affatto voglia. Avevo di nuovo fatto incubi su mia madre, che mi avevano tolto l'appetito.

Così, mi diressi verso la Cabina di Afrodite.

Bussai, pronta a levarmi in caso di un'altra spruzzata - indesiderata, aggiungerei - di profumo di rose.

Fortunatamente, venne ad aprirmi Silena.

«Indovina un po'?» mi chiese elettrizzata.

«Buongiorno anche a te, fiorellino» dissi sarcastica.

«Ah, smettila. Sarà la prima volta che mi dai il buongiorno in 6 anni» ribatté, e poi mi prese per il polso, trascinandomi all'interno della cabina.

Si trattava letteralmente della cabina più pulita e ordinata di tutto il campo; batteva perfino quella dei figli di Atena, che perfettini com'erano...

C'erano i vestiti ordinati per colore negli armadi, i letti tutti fatti e tirati, non c'era un singolo granello di polvere o una cartaccia sul pavimento.

Faceva paura.

In confronto la nostra cabina era un porcile.

Nell'aria si sentiva il solito profumo aromatico, misto vaniglia e cannella.

Lena mi fece sedere sul suo letto, tutta saltellante e contenta.

«Senti un po', Beckendorf ti ha chiesto di uscire, ti sei fatta di roba pesante o stamattina hai bevuto troppi caffè?» le chiesi.

Lei mi tirò un buffetto sul braccio, roteando gli occhi.

«Sei sempre la solita» mi "sgridò" «Sono contenta perché papà mi ha spedito un pacco!»

«Un pacco?»

«Si, un pacco!»

«E perché questo pacco ti rende tanto felice?»

«Perché dentro ci sono dei trucchi nuovissimi! Stavo aspettando che questa collezione uscisse da... mesi, direi. E ora ce l'ho. Sembra un sogno»

«Secondo me ti sei fatta di qualcosa...» mormorai.

«Ma smettila» rise «Però sei arrivata nel momento giusto...».

La guardai in faccia: aveva uno strano sorriso furbo sul volto, di una che aveva in mente qualcosa. Qualcosa che non mi sarebbe piaciuto, affatto.

«Lena...» dissi.

«Si?» chiese innocente, sbattendo le ciglia.

«A cosa stai pensando...?»

«Posso provare i nuovi trucchi su di te?» chiese tutto d'un fiato.

In risposta, scoppia a ridere come una iena.

Dai, non poteva averlo detto sul serio.

«Ma che ti ridi?» fece lei.

«Stai scherzando, giusto?» chiesi.

«Ti sembra che io abbia la faccia di una scherza?».

Purtroppo, era serissima.

«Silena, sei la mia migliore amica e tutto, ma non ti lascerò mai...».

Ultime parole famose.

Due minuti dopo, mi ritrovai seduta davanti alla sua specchiera, mentre lei mi spiccicava sul viso qualunque cosa contenesse quel maledetto pacco del cazzo.

Ma io mi dico, quei trucchi non potevano uscire in un altro momento?

«Mi fai male così» mi lamentai.

«Smettila, ti sto solo mettendo il blush» sospirò lei.

«Il che cosa?»

«Lascia stare» rise lei.

Non so per quanto quella tortura andò avanti, so solo che, non appena mi guardai allo specchio, mi resi conto di star guardando un pagliaccio.

Letteralmente.

«Io spero che questo sia uno scherzo. Ci sono i fratelli Stoll nascosti da qualche parte, vero?» dissi sospettosa, cominciando a guardarmi attorno.

«Ma che scherzo e scherzo, è una cosa normale che fanno delle amiche normali» mi disse.

«Io e te non siamo amiche normali, lo sai?»

«Si, lo so. A quanto pare ho a che fare con Brontolo dei sette nani, altro che Harper La Rue...»

«Che hai detto?» chiesi, fingendomi offesa.

«Chi, io?» fece lei.

«No, scusa, chiedevo al sasso qui fuori» dissi.

«Ha-ha, non fai ridere»

«Io credo di sì».

Ci sfidammo con lo sguardo per qualche altro secondo, ma poi Silena si lanciò verso il suo letto e prese un cuscino. Mi corse incontro, colpendomi poi con la sua arma.

«Ah, quindi vuoi la guerra, eh?».

Presi dalla specchiera il piccolo cuscino che avevo sotto il sedere, e lo usai per colpirla sulla spalla, mentre lei rideva crepapelle.

Continuammo a colpirci con i cuscini e a lottare per non so quanto tempo, finché una delle sue sorelle non entrò in cabina e notò il disastro che avevamo fatto con le piume.

Beccate.

«Che cosa...?» fece confusa Hailee Stone, una biondina talmente insulsa da farmi cadere i denti.

Insulsa perché non aveva un minimo di personalità: passava il suo tempo a farsi bella e a vantarsi.

Insopportabile, parola mia.

«Tranquilla, Hailee, puliamo tutto adesso» disse Silena, nella sua voce ancora le tracce delle risa.

«O-ok» disse, e poi uscì.

Mi alzai da terra, con ancora lo stomaco che faceva male per quanto avevo riso.

«Abbiamo fatto proprio un bel casino» osservai, guardandomi in giro.

«Però ci siamo divertite. È questo l'importante» mi rispose lei.

Successivamente, ci mettemmo e ripulire tutto, facendo tornare la cabina splendente come prima.

Poi, la figlia di Afrodite mi diede una mano a togliermi quella schifezza che ancora avevo in faccia.

«Comunque direi che questo trucchi sono un vero successo» disse Silena.

«Si, a farti diventare uno zimbello» aggiunsi io.

«Andiamo, Harper, stavi benissimo» mi rimproverò lei.

«Si, come no. Stavo bene quanto un pagliaccio che deve andare a fare l'animatore alla festa di un bimbo di otto anni» sbuffai.

«Sei sempre esagerata» sospirò lei.

E poi il silenzio. Ma non un silenzio imbarazzante, bensì confortante.

«Vabbè, dovevo vedermi con Ris, quindi forse è ora che io vada» annunciai.

«Ti accompagno, tanto devo uscire pure io».

Così uscimmo entrambe, ancora discutendo sulla "qualità" di quegli acquerelli, anche chiamati trucchi.

Era una vera e propria lotta, che però dovemmo interrompere non appena arrivate all'arena.

«Grazie per avermi accompagnata, Lena»

«Ci vediamo dopo, Harp» mi salutò lei, per poi andarsene verso la Casa Grande.

«Finalmente sei qui» disse una voce alle mie spalle «Stavo davvero prendendo in considerazione che fossi stata rapita dagli alieni».

Mia sorella.

«Ris» la salutai «Scusa il ritardo, io e Silena ci siamo un po' perse in chiacchiere».

Lei mi sorrise.

«Hai mangiato stamattina?» mi chiese poi.

Ed ecco la domanda che volevo evitare. Sapevo che non potevo scamparla, ma c'era quella piccola parte di me che ci aveva sperato.

«Si, Clarisse, ho mangiato» mentii.

«Ne sei sicura?» indagò ancora.

«Si» sbuffai «Non serve che ti preoccupi»

«Sono tua sorella, è mio compito, Harp» disse lei.

Forse ero suonata un po' troppo scortese, ma quando si trattava di cibo, io mi chiudevo a riccio. Non mi piaceva parlarne, mi metteva in difficoltà. Era un concetto che non riuscivo a spiegare a parole.

«Vabbè, vogliamo allenarci?» disse lei, prendendo in mano la sua nuova lancia.

Da quando Percy le aveva rotto quella elettrificata, stava usando una normalissima lancia. Di certo, però, non era meno innocua. Potevi sempre diventare uno spiedino, se aveva la giornata storta.

Ci allenammo quasi tutta la mattina e una buona parte del pomeriggio, saltando il pranzo.

Verso le 3, ero sfinita e grondavo di sudore, ma non volevo essere io quella a chiedere di smettere.

«Direi che possiamo fermarci» disse mia sorella.

Ero sempre più convinta che potesse leggermi nel pensiero, sul serio.

«Grazie agli dei» sussurrai.

Era stato stancante, si, ma mi aiutava a non pensare. Mentre mi allenavo, ero in un altro mondo, completamente disconnesso dalla realtà. Nulla poteva distrarmi dal mio obiettivo: vincere sempre e comunque.

Peccato che era pure l'obiettivo di mia sorella, quindi la sfida si faceva sempre più divertente e competitiva.

Il resto delle giornata passò più veloce del previsto, e io lo passai seduta sul pontile, con le gambe a penzoloni e i piedi che quasi toccavano la superficie cristallina del mare.

Guardando il verde che sembrava assumere l'acqua sotto di me, non riuscii a non pensare a Percy, ai suoi occhi.

Era strano, ma la compagnia di quel ragazzino iperattivo, testardo e ottuso, mi mancava.

Eravamo partiti con l'odiarci, ma forse non era più così. Non potevo ancora considerarlo mio amico, ma comunque non mi faceva innervosire ogni volta.

Un passo avanti, no?

Presto sentii il suono della conchiglia che segnava l'ora di cena.

Mi toccò andare a mangiare, anche perché avevo già saltato due pasti, e se avessi saltato la cena, mia sorella mi avrebbe fatto venire una testa tanta.

Mi sedetti al mio solito posto, nel quale stavo particolarmente larga: siccome mancava quasi tutta la cabina, potevamo stare seduti tranquillamente larghi.

Mia sorella era come al suo solito a capotavola, con me alla sua sinistra. Un paio di posti lontani da me c'era Henry, e subito accanto a lui Bryce Avery. Accanto a Clarisse, quindi davanti a me, c'era Julia Becker, una delle amiche più strette di mia sorella, e al suo fianco Stephanie Olsen, forse l'unica altra figlia di Ares che sopportavo.

Per quanto riguarda gli altri tavoli, anche quelli erano molto vuoti, ma Chirone cercava comunque di tenere alto il morale.

Come al solito, feci la mia offerta e bruciai un pezzo di pane nel fuoco; subito l'odore di biscotti al cioccolato, magnolie e salsedine mi investì.

Chiusi gli occhi per un secondo, assaporando quei profumi.

Poi, tornai al mio posto, e mangiai quel poco che riuscii.

Dopo cena, come al solito, ci sedemmo attorno al falò e Will Solace assieme ad alcuni suoi fratelli, condusse qualche canto, per ravvivare l'atmosfera.

Quella notte feci un sogno più strano del solito, che ancora non riesco a spiegarmi.

⸻ ✧ ⸻

𝑴i trovavo in piedi in una stanza bianca; ovunque guardassi, c'era lo stesso colore, che fossero le pareti, il soffitto o il pavimento.

Provai a fare un passo, e la stanza di allungò.

Feci una faccia confusa, e tentai di nuovo, ma come prima, la stanza si allungò.

Sembrava che non volesse farmi uscire.

Guardai dietro di me, e notai che la parete alle mie spalle sembrava che si fosse avvicinata, come per compensare l'allungamento della parete davanti.

Dove mi trovavo? Cosa ci facevo lì?

Provai a parlare, ma sembrava che qualcosa mi bloccasse le labbra. Erano sigillate. Non potevo aprirle.

Provai a calmarmi, chiudendo gli occhi e ripetendomi nella testa: "è solo un sogno, è solo un sogno, è solo un sogno...".

Poi, qualcosa cambiò. Ci fu un rumore, molto lieve, ma comunque udibile.

Spalancai le palpebre di scatto. Mi guardai attorno, ma non riuscii a vedere nulla.

Puntai i piedi per terra e mi sollevai, girandomi di spalle.

Non c'era nulla, se non quell'accecante bianco.

Improvvisamente, mi sentii toccare una spalla.

Guardai, e notai una mano scheletrica appoggiata sopra.

Tentai di cacciare un urlo, ma ancora non riuscivo ad aprire la bocca.

Così mi girai velocemente, prendendo quella mano e staccandomela di dosso. Poi, guardando meglio, notai che non c'era nulla. Dove avevo lanciato la mano, era rimasta solo una nube di fumo nero, che si stava dissolvendo.

E poi, una voce. Una voce melodiosa, quasi rassicurante, ma soprattutto... calda.

Mi voltai verso la sua provenienza, e mi trovai davanti il dio Apollo.

Lo guardai confusa, continuando a non capire.

Lui mi fece un sorriso debole, e poi riprese a parlare.

«Devi stare attenta, Harper La Rue» disse.

Sembrava che la sua voce non arrivasse da lui, ma da tutto quello che mi circondava.

«La protezione che avevi, si è rotta. Sei un bersaglio facile ora. Io veglierò su di te, ma tu non distrarti mai» disse solenne.

E detto questo, sparì, e al suo posto apparì Sangue. Ma era distrutta, fatta a pezzi.

Cosa stava succedendo?

𝑴i svegliai sudata e con il fiatone.

Era da tanto che non facevo incubi del genere, che non riguardassero mia madre o un episodio del mio passato. Era strano, molto strano.

Quel sogno mi aveva lasciato addosso una brutta sensazione, che non sapevo interpretare. C'erano troppe cose che non riuscivo a spiegarmi, troppe cose che non tornavano e troppe cose insensate.

Poi, un'immagine mi balenò in testa: Sangue distrutta.

Nonostante fosse ancora buio, decisi di controllare. Avevo veramente una bruttissima sensazione.

Non appena mi scoprii le gambe, abbassai lo sguardo sui miei piedi e notai che la mia cavigliera di perle e conchiglie era distrutta: il filo tagliato, le perline sparse ovunque e le conchiglie frantumate.

«No...» sussurrai.

Provai comunque ad evocare la spada, ma quando lo feci, davanti mi si presentò solo un ammasso di pezzi di ferro.

Cos'era successo alla mia spada? Come aveva fatto a rompersi in quel modo? Ma soprattutto, cosa significava tutto quello?

Non ero sicura di volerlo scoprire.

⸻ ✧ ⸻

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