𝐇𝐄𝐀𝐑𝐓𝐁𝐔𝐑𝐍, percy...

By -goosebumpss

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❛ ti fidi di me? ❜ ❛ come potrei non fidarmi? ❜ ▬▬▬▬▬▬▬▬ ⚔️ ⋆ ˚。⋆౨ৎ percy jackson and the olympians - book... More

𝐁𝐄𝐅𝐎𝐑𝐄 𝐒𝐓𝐀𝐑𝐓𝐈𝐍𝐆
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𝐒𝐄𝐐𝐔𝐄𝐋

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By -goosebumpss

- ̥۪͙۪˚┊❛ chapter twenty-five ❜┊˚ ̥۪͙۪◌
𝙢𝙚𝙩𝙩𝙞𝙖𝙢𝙤 𝙡𝙚 𝙘𝙤𝙨𝙚 𝙞𝙣 𝙘𝙝𝙞𝙖𝙧𝙤 𝙖 𝙩𝙪𝙩𝙩𝙞

 

𝐇𝐀𝐑𝐏𝐄𝐑

𝑬' buffo come gli umani riescano a farsi una ragione delle cose adattandole alla loro versione della realtà.

Secondo i notiziari di Los Angeles, l'esplosione sulla spiaggia di Santa Monica era stata causata da un folle che aveva fatto fuoco su un'auto della polizia, colpendo accidentalmente un condotto del gas che si era danneggiato durante il terremoto.

Il folle (nonché mio padre, chi sennò) era lo stesso uomo che aveva rapito Percy e i suoi amici (noi) a New York, portandoci poi a spasso per tutta la nazione durante dieci giorni di odissea del terrore.

Il povero piccolo Percy Jackson non era un criminale internazionale, dopotutto. Aveva causato i disordini su quell'autobus del New Jersey cercando di scappare dal suo aguzzino (in seguito, dei testimoni avrebbero giurato di aver visto l'uomo vestito di pelle sull'autobus: "perché non me lo sono ricordato prima?"). Era stato il folle a causare l'esplosione sull'arco di St Louis.

Dopotutto, un ragazzino non ci sarebbe mai riuscito (a riguardo avevo delle opinioni contrastanti, ma mi era toccato mordermi la lingua per stare zitta).

Una sollecita cameriera fuori da suo ristorante, aveva fatto scattare una foto a un amico e poi aveva informato la polizia. Alla fine, il coraggioso Percy Jackson aveva sottratto una pistola al suo aguzzino a Los Angeles e si era battuto con lui in un duello sulla spiaggia. La polizia era arrivata appena in tempo. Ma nella spettacolare esplosione, cinque autopattuglie erano rimaste distrutte e il rapitore era fuggito. Non c'erano stati feriti. Percy Jackson e i suoi tre amici erano sani e salvi sotto la custodia della polizia.

Furono i giornalisti a fornirci tutta questa storia.

Gli altri si limitavano ad annuire, a sembrare piagnucolosi e stanchi, mentre io dovevo sforzarmi di non mettermi a ridere per il film che avevano costruito attorno a quello che era successo.

«Voglio soltanto» disse Percy, soffocando le lacrime di coccodrillo «Rivedere il mio amato patrigno. Ogni volta che lo vedevo in tv e sentivo che mi chiamava "piccolo delinquente", sapevo... in qualche modo... che le cose si sarebbero aggiustate. E so che vorrà ricompensare ogni singola persona di questa meravigliosa città con un elettrodomestico del suo negozio in omaggio. Ecco il numero di telefono....».

Poliziotti e giornalisti si erano così commossi che fecero una colletta, procurandoci quattro biglietti sul primo volo per New York.

Nonostante Percy non potesse tecnicamente prenderlo, era la nostra unica possibilità di arrivare in fretta in città.

Purtroppo, durante il volo ero seduta accanto a Percy.

Il decollo fu un incubo. Ogni minima turbolenza sembrava spaventarlo più di un branco di arpie che lo inseguivano.

Da quando eravamo partiti, mi aveva afferrato il braccio, piantandomi le sue unghie nella carne, ma non ero riuscita a scollarmelo di dosso.

Solo quando atterrammo, mi lasciò andare.

La stampa locale ci aspettava fuori dalla dogana, ma riuscimmo a evitarla grazie ad Annie, che con il berretto dell'invisibilità in testa depistò i giornalisti gridando: "sono laggiù, alla yogurteria! Svelti!", per poi raggiungerci al ritiro bagagli.

Ci separammo al posteggio dei taxi. Percy aveva intenzione di andare sull'Olimpo da solo, e rispedire me, Grover e Annabeth al campo.

Ovviamente la bionda si era impuntata che non poteva andare da solo, e quindi aveva proposto me come accompagnatrice. All'inizio Percy sembrò scettico, ma alla fine accettò (solo perché Annabeth era irremovibile e faceva anche un po' paura).

Così io e Percy saltammo sul taxi e partimmo in direzione di Manhattan.

⸻  ✧ ⸻

𝑻renta minuti dopo, entrammo nell'atrio dell'Empire State Building.

C'era da ammettere che sembravamo proprio due vagabondi, con i vestiti laceri, i visi sporchi e la stanchezza dipinta sul viso.

Ci avvicinammo alla reception, e Percy disse:
«Seicentesimo piano».

Il portiere stava leggendo un grosso libro con l'immagine di un mago sulla copertina.

Per i miei gusti, ci mise troppo tempo ad alzare lo sguardo e a posarlo su di noi.

«Non esiste un piano del genere, giovanotto»

«Ho bisogno di un'udienza con Zeus»

«Come hai detto, prego?»

«Lo ha sentito» ringhiai.

Mi stavo innervosendo.

Ero esausta e l'unica cosa che volevo fare era tornare nel mio letto al campo, farmi una bella dormita e non svegliarmi per mesi. E questo idiota si stava mettendo in mezzo, fra me e il mio letto.

«Ci vuole un appuntamento, ragazzini. Il Divino Zeus non riceve nessuno senza preavviso»

«Beh, io dico che questa volta gli conviene farlo, sennò buttò questo affare in un tombino» dissi, e tirai fuori la Folgore dallo zaino che avevo sulle spalle.

La guardia mi guardò e fissò quello stupido arnese per qualche secondo, non capendo cosa fosse, ma poi impallidì.

«Questa non è...»

«Si che lo è» dissi «Vuole che proviamo assieme a vedere come funziona?»

«No! No!» esclamò.

Scese scompostamente dalla sedia, frugò sul bancone alla ricerca di una scheda d'accesso e me la consegnò, con la mano che tramava.

Adoravo fare paura alla gente.

«Inserisci questa nella serratura elettronica. Assicuratevi che non ci sia nessun altro in ascensore»

«Come se già non lo sapessi» borbottai.

Io e Percy entrammo in ascensore, e non appena le porte si chiusero, infilai la scheda nella serratura. Un attimo dopo scomparve e sulla console apparve un nuovo pulsante, di colore rosso, con su scritto "600". Percy lo premette e poi aspettammo.

Si diffuse una musica di sottofondo. Raindrops keep falling on my head.

Ero sempre stata scettica a riguardo della scelte delle canzoni, ma di certo non potevo cambiare nulla.

Poi finalmente: ding. Le porte scorrevoli si aprirono.

Uscimmo, e Percy sembrò totalmente sbalordito, e potevo capirlo, in effetti: la prima volta sull'Olimpo, anche io mi ero un po' meravigliata, anche se non volevo darlo a vedere.

Ci trovavamo su uno stretto vialetto di pietra sospeso in aria. Sotto di noi c'era Manhattan, vista dall'altezza di un aeroplano. Di fronte, una candida scalinata di marmo si attorcigliava attorno a una nuvola, librandosi verso il cielo. Seguendola con lo sguardo, gli occhi si posavano su un picco decapitato di una montagna, con la sommità coperta di neve. Abbarbicate lungo i versanti c'erano dozzine di eleganti palazzi - una città di ville - tutti provvisti di portici e colonnati bianchi, terrazzi bianchi e bracieri di bronzo che scintillavano di migliaia di fuochi. Le strade si arrampicavano con un tragitto folle e tortuoso fino in cima, dove il palazzo più grande di tutti brillava sullo sfondo candido della neve. Qua e là, appollaiati precariamente, spuntavano giardini rigogliosi di ulivi e cespugli di rose. C'erano un mercato pieno di tende colorate, un anfiteatro di pietra incastonato su un fianco della montagna, un ippodromo e un colosseo eretti su quello opposto. Era una città dell'antica Grecia, solo che non era in rovina. Era nuova di zecca e piana di vita, come doveva essere Atene 2500 anni fa.

Percy era letteralmente a bocca aperta, e si guardava attorno come se si trovasse in un sogno.

Gli diedi un colpetto sotto il mento.

«Guarda che ci entrano le arpie se tieni la bocca così aperta» dissi.

Lui la chiuse di scatto, ma non sembrò sentire la mia battuta.

Il nostro viaggio attraverso l'Olimpo fu odioso, come sempre. Ninfe dei boschi ci lanciarono olive dai loro giardini, in un coro di risatine snervanti. Gli ambulanti del mercato ci offrirono le loro mercanzie: lecca lecca all'ambrosia, uno scudo nuovo e una copia originale del Vello d'Oro, scintillante di strass, "come quello visto alla Efesto tv".

Le nove muse accordavano i loro strumenti per un concerto nel parco, circondate da un capannello di spettatori: satiri, Naiadi e un gruppetto di divinità minori.

Nessuno sembrava turbato per l'imminente guerra civile. In effetti, sembravano tutti allegri, come per un giorno di festa. Molti si voltarono a guardarci, parlottando fra loro.

Iniziammo a inerpicarci su per la strada principale, verso il grande palazzo che si ergeva sulla vetta del monte: una copia inversa del palazzo degli Inferi. Mentre laggiù dominavano il nero e il bronzo, qui tutto scintillava d'argento, d'oro e di bianco.

L'ultima scalinata terminava su un cortile interno. Superato questo, eravamo nella sala del trono. Massicce colonne si levavano fino a un soffitto a volta, ornato di costellazioni dorate in movimento.

Dodici troni, concepiti per esseri delle dimensioni di Ade, erano disposti come una U capovolta, proprio come le cabine del Campo Mezzosangue. Un fuoco enorme crepitava nel braciere centrale. I troni erano vuoti, tranne per i due posti all'estremità: il trono principale a destra e quello immediatamente alla sua sinistra. Non c'era bisogno di presentazioni per capire di chi si trattasse.

Ci avvicinammo.

Gli dei erano giganti, tanto che facevo fatica a guardarli in viso. Mi davano quella sensazione di voler chinare il collo al loro cospetto, come era successo con Ade e con Percy. Era una delle cose che più mi infastidivano.

Zeus, il Padre degli Dei, indossava un completo gessato blu scuro. Era seduto su un semplice trono di platino massiccio. Aveva un barba curata, percorsa da striatura grigie e nere come una nuvola temporalesca. Il volto era fiero, bello e cupo, gli occhi di un grigio carico di pioggia.

Il dio seduto al suo fianco era senza dubbio suo fratello, ma era vestito in modo molto diverso. Indossava dei sandali di cuoio, un paio di bermuda color kaki e una camicia hawaiana straripante di pappagallini e noci di cocco. La pelle era abbronzatissima e le mani erano scorticate come quelle di un vecchio pescatore. Aveva i capelli neri e gli occhi verde mare, come quelli di Percy, che erano circondati da piccole rughe d'espressione scavate dal sole. Il trono era una sorta di sedia per la pesca d'altura. Era di quelle semplici, girevoli, con la seduta di pelle nera e una fondina incorporata per la canna da pesca. Invece di una canna, però, la fondina custodiva un tridente di bronzo, con le punte scintillanti di luce verde.

Non ci voleva un genio a capire che si trattava del padre di Percy.

Gli dei erano immobili e muti, ma si avvertiva una tensione nell'aria, come se avessero appena concluso una discussione.

Percy si avvicinò al trono del pescatore e si inginocchiò ai suoi piedi.

«Padre» disse.

Ma, al posto di Poseidone, fu Zeus a parlare.

«Non dovresti rivolgerti prima al padrone di casa, ragazzo?».

Sbuffai.

Era sempre stato un vecchio brontolone: per me era la personificazione di Brontolo dei sette nani, letteralmente.

Percy tenne la testa china e aspettò.

Io non mi degnai nemmeno di inchinarmi o dire qualcosa: non poteva interessarmi di meno.

Di poche cose ero certa, e questa era una di quelle: il rispetto viene dato solo se si riceve.

«Pace, fratello» disse Poseidone «Il ragazzo mostra deferenza a suo padre. Come è giusto che sia»

«Insisti a riconoscerlo, dunque?» chiese Zeus, minaccioso «Riconosci questo figlio che hai generato rompendo la nostra sacra promessa?»

«Almeno non è stato il primo a farlo» borbottai.

Ovviamente, non lo feci a voce abbastanza bassa da non farmi sentire.

«Ah, La Rue, quale spiacevole sorpresa. Noto che non ti sei nemmeno degnata di un inchino» mi disse il Re degli Dei.

«Perché, di solito lo faccio?» domandai scettica.

Zeus sembrò volermi fulminare sul posto.

Odiavo gli dei, li odiavo con tutta me stessa. Mi avevano rovinato la vita, tutti, a modo loro.

Poi, il Padre degli Dei tornò con l'attenzione su Percy, pur di non guardarmi in faccia.

«L'ho già risparmiato una volta» brontolò «Azzardarsi a volare nel mio dominio... bah! Avrei dovuto fulminarlo per la sua imprudenza»

«E rischiare di distruggere la tua stessa Folgore?» chiese Poseidone, calmo «Ascoltiamo ciò che ha da dire, fratello»

«Lo ascolterò» decise infine, dopo aver brontolato come un bambino per un altro po' «Poi deciderò se scaraventare lui e la sua amichetta giù dall'Olimpo»

«Perseus» lo chiamò Poseidone «Guardami».

Percy ubbidì, e alzò lo sguardo.

Si guardarono negli occhi per un tempo indefinito, come se si stessero parlando solo con lo sguardo.

«Rivolgiti al Divino Zeus, ragazzo» gli ordinò il padre «Raccontagli la vostra storia».

Così Percy spiegò tutto a Zeus, per filo e per segno, con qualche mia aggiunta durante il racconto. Nel frattempo, io tirai fuori il cilindro metallico dallo zaino, che cominciò a mandare scintille alla presenza del dio del cielo, e lo poggiai ai suoi piedi.

Ci fu un lungo silenzio, interrotto solamente dal crepitio del fuoco.

Zeus allargò la mano e la Folgore volò dal suo padrone.

Quando serrò il pugno, le punte metalliche si accesero di elettricità, finché non sembrò che stringesse in mano qualcosa di più simile alla folgore classica, un giavellotto di sibilante energia lungo sei metri.

«Sento che il ragazzo dice la verità» mormorò Zeus «Ma che Ares fosse capace di una cosa del genere... non è da lui»

«È orgoglioso e impulsivo» intervenne Poseidone, appoggiando il suo sguardo su di me, con un leggero sorriso sulle labbra «È un fattore ereditario»

«Signore?» disse Percy.

«Si?» risposero entrambi gli dei.

«Ares non ha agito da solo. Qualcun altro... qualcos'altro... ha avuto l'idea».

Percy descrisse i suoi sogni e la sensazione che aveva provato sulla spiaggia.

«In sogno» disse «La voce mi ordinava di portare la Folgore negli Inferi. Anche Ares ha accennato a dei sogni. Penso che sia stato usato, proprio come me, per scatenare una guerra»

«E così accusi Ade, dopotutto?» chiese Zeus.

Era comico il fatto che stesse cercando di ignorare la mia presenza.

«No» rispose Percy «Divino Zeus, sono stato al cospetto di Ade. Ma la sensazione che ho avuto sulla spiaggia era diversa. Era la stessa che ho provato vicino al baratro. E quello era l'ingresso del Tartaro, non è vero? Qualcosa di più potente e di malvagio si agita laggiù... qualcosa di più antico perfino degli dei».

Poseidone e Zeus si scambiarono uno sguardo. Ebbero una breve e intensa discussione in greco antico. Riuscii a cogliere poche parole, tra cui "padre".

Come pensavo.

Poseidone espresse un suggerimento, ma Zeus lo interruppe. Poseidone cercò di obiettare, ma Zeus lo fermò con gesto stizzito della mano.

«Non ne parliamo più» disse «Devo andare a purificare personalmente la mia Folgore nelle acqua di Lemno, per cancellare le tracce dell'onda mortale dal metallo».

"Beh, non c'è di che" pensai.

Il dio dei cieli si alzò in piedi e guardò Percy. La sua espressione si era addolcita impercettibilmente.

«Mi hai reso un servizio, ragazzo. Pochi eroi sarebbe riusciti nell'impresa»

«Sono stato aiutato, signore» replicò lui «Grover Underwood, Annabeth Chase e, ovviamente, Harper La Rue».

Con ciò, si girò a guardarmi e mi lanciò un sorriso, un sorriso sincero, al quale non riuscii a non ricambiare.

«Per mostrarvi la mia gratitudine, vi risparmierò la vita. Non mi fido di te, Perseus Jackson, e nemmeno della figlia di Ares qui presente. Non mi piacciono le implicazioni del tuo arrivo per il futuro dell'Olimpo. Ma per amore della pace in famiglia, vi lascerò vivere»

«Ehm.. grazie, signore»

«Ma guai a te se osi di nuovo volare. E fa' che non vi trovi qui al mio ritorno. Altrimenti assaggerete il gusto di questa folgore. E sarà la vostra ultima sensazione».

Nel mentre che parlava, mi aveva guardata negli occhi. Certo che mi odiava, e non poco.

Un tuono scosse il palazzo e Zeus scomparve con un lampo accecante.

Eravamo rimasti soli, e non riuscivo a non sentirmi di troppo in quel momento. Era la prima volta che Percy incontrava suo padre, e io stavo facendo da terza ruota del carro.

«Percy, permetti una parola?» gli chiese, ma nel mentre che glielo chiese, posò il suo sguardo tranquillo su di me.

Era come se mi stesse chiedendo gentilmente di lasciarli soli.

«Ti aspetto giù dalla scalinata» dissi al ragazzo.

«Sicura che non scapperai e non mi lascerai qui da solo?» replicò lui.

«Ci penserò» risposi ridacchiando.

E con questo, lasciai la sala del trono e scesi tutti i gradini che avevo salito prima, ritornando davanti all'ascensore per aspettare Percy.

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