𝐇𝐄𝐀𝐑𝐓𝐁𝐔𝐑𝐍, percy...

Von -goosebumpss

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❛ ti fidi di me? ❜ ❛ come potrei non fidarmi? ❜ ▬▬▬▬▬▬▬▬ ⚔️ ⋆ ˚。⋆౨ৎ percy jackson and the olympians - book... Mehr

𝐁𝐄𝐅𝐎𝐑𝐄 𝐒𝐓𝐀𝐑𝐓𝐈𝐍𝐆
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𝐒𝐄𝐐𝐔𝐄𝐋

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Von -goosebumpss

- ̥۪͙۪˚┊❛ chapter thirteen ❜┊˚ ̥۪͙۪◌
𝙛𝙖𝙘𝙘𝙞𝙤 𝙪𝙣 𝙫𝙤𝙡𝙤 𝙙𝙞 𝙦𝙪𝙖𝙨𝙞 𝟮𝟬𝟬 𝙢𝙚𝙩𝙧𝙞 𝙖𝙗𝙗𝙧𝙖𝙘𝙘𝙞𝙖𝙩𝙖 𝙖𝙙 𝙪𝙣 𝙞𝙙𝙞𝙤𝙩𝙖

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𝐇𝐀𝐑𝐏𝐄𝐑

𝑳'arco distava circa un chilometro dalla stazione. Nel tardo pomeriggio le file per entrare non erano troppo lunghe. Passammo per il museo sotterraneo, stipato di carri coperti e altra paccottiglia dell'Ottocento. Non era niente di speciale, ma Annabeth continuava a raccontarci dettagli interessanti su come l'arco fosse stato costruito. Aveva un sorriso stampato in faccia da quando eravamo arrivati. Nel frattempo, Grover e Percy facevano gli scemi e mangiavano gelatine. Strano, vero?

«Non fiuti nulla?» mormorò poco dopo Percy a Grover.

Era un po' che il ragazzo si guardava attorno, e non potevo dargli torto. Dopo l'esperienza delle Furie e di Medusa, anche io ero molto più guardinga. Non mi sarei fatta prendere alla sprovvista un'altra volta.

Grover tirò fuori il naso dalla busta delle gelatine il tempo necessario per un'annusatina.

«Siamo sottoterra» rispose disgustato «E quaggiù l'aria puzza sempre di mostri. Probabilmente non significa nulla»

«Vuoi crederci davvero?» feci io sarcastica.

«Se posso...»

«Ragazzi» ci chiamò poi Percy «Avete presente i simboli del potere degli dei?».

Annabeth era immersa nella lettura di un brano sugli strumenti utilizzati per costruire l'arco, ma alzò lo sguardo.

«Si?»

«Beh, Ade...».

Io tossicchiai.

«Siamo in un luogo pubblico, Testone. Vuoi dire il caro vicino del piano di sotto?»

«Ehm, esatto» disse «Il nostro caro vicino del piano parecchio di sotto. Non ha un cappello simile a quello di Annabeth?»

«Vuoi dire l'elmo dell'oscurità» specificò la bionda «Si, è il simbolo del suo potere. L'ho visto accanto al suo seggio durante la riunione del Consiglio nel solstizio d'inverno»

«C'era anche lui?»

«Oh, si» risposi «È l'unica volta in cui può salire sull'Olimpo. Ma si può sapere perché non sai proprio....».

Annabeth mi interruppe, prima che potessi scatenare un'altra lite.

«È il giorno più buio dell'anno. Il suo elmo è molto più potente del mio berretto dell'invisibilità, se quello che ho sentito è vero»

«Gli consente di trasformarsi nelle tenebre stesse» confermò Grover «Può diventare un'ombra o passare attraverso i muri. Nessuno può toccarlo, vederlo o sentirlo. E può irradiare una paura così intensa da indurre gli uomini alla pazzia o da fermargli il cuore. Perché credi che tutte le creature razionali abbiano paura del buio?»

«Ma allora, come facciamo a sapere che non è qui in questo momento, a tenerci d'occhio?».

Annabeth e Grover si scambiarono uno sguardo. Io rabbrividii.

«Non lo sappiamo» rispose Grover.

«Grazie, questo mi fa sentire molto meglio» commentò il figlio di Poseidone «C'è rimasta qualche gelatina azzurra?».

Arrivammo davanti alla navetta-ascensore con cui dovevamo salire in cima all'arco. Dei, odiavo gli spazi piccoli. Ci infilammo in quella scatola in compagnia di una signora grande e grossa e del suo cane, un chihuahua con un collare di strass. Il cane doveva essere una specie di chihuahua guida per non vedenti, dato che nessuna delle guardie ebbe nulla da obiettare sulla sua presenza. Cominciammo a salire, all'interno dell'arco.

«Niente genitori?» ci chiese la signora.

Aveva gli occhi piccoli e luccicanti, i denti aguzzi e macchiati di caffè, un cappello floscio di jeans e un vestito dello stesso materiale.

«Sono rimasti giù» rispose Annabeth «Soffrono di vertigini»

«Oh, poverini»

«Mia madre no di certo...» borbottai piano, per non farmi sentire.

Ovviamente, ottenni il risultato opposto. Percy mi sentì eccome e mi lanciò uno sguardo confuso, come se tentasse di capire cosa intendessi.

Il chihuahua ringhiò.

Trasalii ripensando a ciò che mi aveva detto il signor D: mi avrebbe trasformata in un piccolo cane rabbioso. Purché non avessi un collare del genere, potevo anche farci un pensierino.

«Su, su, bambina. Fai la brava» disse la donna.

Il cane aveva gli occhi piccoli come la sua padrona, luccicanti, intelligenti e maligni.

«Bambina?» feci io disgustata.

«Si chiama così?» chiese Percy.

«No» rispose la donna.

In cima all'arco, file di finestrelle si affacciavano sulla città da un lato e sul fiume dall'altro. La vista non era male, ma onestamente mi aspettavo qualcosa di più. Volevo già scendere.

Annabeth continuava a parlare di sostegni strutturali e di come lei avrebbe previsto delle finestre più grandi e progettato un pavimento trasparente. Probabilmente sarebbe rimasta lassù per ore, ma per fortuna il custode annunciò che mancavano pochi minuti alla chiusura.

Ringraziai mentalmente gli dei per questa benedizione. Non volevo rimanere ancora lassù; quel posto non mi piaceva affatto, e, oltretutto, non riuscivo a scrollarmi di dosso una brutta sensazione. Presi a grattarmi nervosamente dietro al collo, con l'impressione che qualcuno mi stesse fissando proprio lì.

Percy ci spinse tutti e tre verso l'uscita e nell'ascensore. Si vede che pure lui aveva fretta di andare via. Stava entrando pure il figlio di Poseidone quando mi accorsi della presenza di altri due turisti all'interno.

«Aspetti la prossima navetta» gli disse il custode

«Usciamo anche noi» disse Annabeth «Aspettiamo insieme a te»

«No, non c'è problema. Ci vediamo giù» replicò il ragazzo.

Annabeth e Grover sembravano ancora intenti ad uscire ed aspettare con il ragazzo, quindi decisi di uscire dalla navetta. Mi piazzai accanto a Percy, sbuffando e maledicendomi mentalmente.

«Aspetto io, voi andate» dissi.

Mi guardarono tutti e tre come se avessi 8 braccia e 4 occhi, ma cercai di fare finta di nulla. Nemmeno io ero sicura del motivo di quella scelta, ma qualcosa non quadrava, e sentivo che lasciare Percy da solo non era l'opzione migliore.

Alla fine Grover e Annabeth lasciarono che la porta si richiudesse. La navetta scomparve inghiottita dalla rampa.

Sul belvedere eravamo rimasti solo io, Percy, un bambino con i genitori, il custode e la signora con il chihuahua.

«Comunque non serviva» mi sussurrò Percy, avvicinandosi al mio orecchio.

Rabbrividii leggermente, percependo il suo respiro proprio dietro al collo, e poi risposi.

«Sia chiaro, non lo sto facendo per te, ma solo perché ho una brutta sensazione»

«Farò finta di crederci, Testona» mi rispose lui, divertito.

Sollevai gli occhi al cielo.

Sentendomi osservata, girai la testa e incrociai lo sguardo con la signora di prima. Le sorrisi imbarazzata, non sapendo bene che cosa fare, e lei ricambiò, facendo vibrare la lingua biforcuta tra i denti.

Aspetta un attimo.

Sbaglio, o...?

Oh, per tutti gli dei dell'Olimpo. Pure questa ci toccava.

Presi di scatto il polso di Percy e lo strinsi.

«Che c'è?» mi sussurrò lui.

«La signora...».

Prima che riuscissi a continuare, il chihuahua saltò a terra e prese ad abbaiare contro me e il ragazzo.

«Su, su, bambina» disse la signora «Ti sembra il momento giusto? Con tutte queste simpatiche persone intorno...»

«Cagnolino!» esclamò il bambino.

I genitori lo tirarono via.

«Merda» sussurrai «Ma perché ho deciso di rimanere qui? Maledetta me!».

Il chihuahua ci mostrò i denti, la schiuma che colava dalle labbra nere.

«Beh, figlia mia» sospirò la signora «Se proprio insisti...».

Percy afferrò la mia mano di scatto e la strinse. Aveva capito pure lui che qualcosa non andava.

«Ehm, ha appena chiamato "figlia" quel chihuahua?» chiese Percy.

«Chimera, tesoro» lo corresse la donna «Non è un chihuahua. Si sbagliano in tanti».

Si arrotolò le maniche di jeans, scoprendo la pelle verde e squamosa delle braccia. Quando sorrise, vidi che i denti erano in realtà zanne. Le pupille erano fessure sottili, come quelle di un rettile.

Il chihuahua abbaiò più forte, diventando sempre più grande ad ogni latrato. Prima raggiunse le dimensioni di un dobermann, poi di un leone. Il latrato si amplificò in un ruggito.

Il bambino gridò di paura. I suoi genitori lo tirarono verso l'uscita, andando a sbattere contro il custode, che fissava il mostro a bocca aperta, impietrito.

La Chimera adesso arrivava a sfiorare il soffitto con la schiena. Aveva la testa di un leone con la criniera incrostata di sangue, il corpo e gli zoccoli di una capra gigante e un serpente a sonagli lungo tre metri a mo' di coda, che spuntava direttamente dal suo posteriore irsuto. Aveva ancora il collare di strass al collo e sulla medaglietta, delle dimensioni di un vassoio, ora si leggeva bene:
Chimera - Idrofoba, Sputafuoco, velenosa - In caso di smarrimento, chiamare il Tartaro-Interno 954.

Evocai subito Sangue, ma Percy non fece lo stesso. Era impietrito davanti alle fauci insanguinate della Chimera. Tentai di chiamarlo per smuoverlo, ma non servì a nulla.
La donna-serpente emise un sibilo che avrebbe potuto essere una risata.

«Consideratevi onorati, Percy Jackson e Harper La Rue. Il Divino Zeus mi concede raramente di mettere alla prova un eroe con la mia progenie. Poiché io sono la Madre dei Mostri, la terribile Echidna!»

«Ma non è una specie di formichiere?» chiese Percy.

Gli tirai uno schiaffo sul collo. Mi aveva fatto ridere, lo ammetto, ma non era quello il momento giusto di fare battute.

«Ti pare il momento?» protestai.

Echidna ululò, il volto serpentino marrone e verde di rabbia.

«Odio quando me lo dicono! Odio l'Australia! Dare a quell'animale ridicolo il mio nome. Per questo, semidei, mia figlia vi distruggerà!».

La Chimera si lanciò alla carica, digrignando i denti leonini. Sia io che Percy la schiavammo, spostandoci uno da un lato, io dall'altro.

La famigliola e il custode gridavano all'unisono, cercando di forzare le porte dell'uscita di sicurezza. Ero sicura solo di una cosa: i mortali non dovevano essere coinvolti, per nessun motivo. Era una questione solo mia e di Percy.

Corsi verso di lei, sollevando la spada, pronta a colpirla. Purtroppo quel cagnaccio, prevedendo la mia mossa, alzò una zampa e me la scaraventò addosso. Fortunatamente, riuscii a schivarla, anche se per un pelo, rotolando via per terra. Non appena mia alzai, mi lanciai di nuovo all'attacco, ma prima che potessi anche solo sfiorarla, una voce richiamò l'attenzione della Chimera.

«Hey, chihuahua!» esclamò Percy.

La Chimera si voltò molto in fretta. Spalancò le fauci e tentò di bruciare Percy con una colonna di fuoco, che invece fu evitata dal ragazzo, che si buttò a terra. La moquette si incendiò; il calore era talmente intenso che per poco non mi si carbonizzarono ciglia e sopracciglia. Sulla parete dell'arco si era aperto uno squarcio.

La Chimera si voltò di nuovo e Percy tentò di attaccarla al collo, ma la lama colpì invano il collare di strass, mandando scintille.

A quel punto intervenni. Corsi verso la Chimera, passai in mezzo alla sue zampe, proprio sotto il petto e lo stomaco, e saltai sulla sua coda. Evitando la testa del serpente che tentava di mordermi, corsi sul suo dorso, attenta a non scivolare giù. La creatura tentava di afferrarmi con i denti, ma invano: il suo collo non era abbastanza lungo da prendermi. Approfittando del momento di distrazione della Chimera, Percy agì: si scagliò contro di lei e le conficcò Vortice proprio nel bel mezzo di una zampa. Quella guaì, ferita, e smise di muovere la testa verso di me. Grazie all'azione del ragazzo, saltai facilmente giù dalla sua testa e le lanciai uno dei miei pugnali nascosti in mezzo all'occhio. Atterrai accanto al figlio di Poseidone, mentre la Chimera arretrava, ferita.

«Va tutto bene?» gli chiesi.

«È stato... wow» disse lui sorpreso.

Ridacchiai, ma presto tornai a guardare il mostro, che stava avanzando di nuovo verso di noi, zoppicante e mezzo cieco. Purtroppo, non fui abbastanza attenta per notare un particolare: la sua coda; la testa di serpente con la quale culminava, si mosse ad una velocità notevole, venendoci incontro, e morse il polpaccio di Percy. Lui cercò di conficcare Vortice nella bocca della Chimera, ma il serpente gli si avvolse attorno alle caviglie, sbilanciandolo. La spada gli volò via di mano, roteando fuori dallo squarcio aperto nell'arco e piombando giù, nelle acque del Mississippi. Per dare una mano a Percy, fischiai e attirai su di me l'attenzione del mostro. Quello mollò le gambe del ragazzo e venne verso di me, la coda sibilante. Prima ancora che potessi colpire la creatura, qualcuno da dietro mi afferrò la spada e la scagliò giù dall'arco. Quando mi girai, mi ritrovai davanti la brutta faccia di Echidna.

«Tu, brutta, lurida-» ma venni interrotta dalla sua risata.

«Non fanno più gli eroi come quelli di una volta, eh, figlia mia?».

Arretrai verso Percy, che nel frattempo si era rialzato. Senza accorgermene, andai a sbattere sul suo petto e mi bloccai.

Il mostro ringhiò. Non sembrava avere fretta di farci fuori, ora che eravamo disarmati entrambi.

«Se sei figlio di Poseidone» sibilò Echidna «Non dovresti temere l'acqua. Salta, Percy Jackson, e lascia la figlia di Ares a me. Mostrami che l'acqua non ti farà del male. Salta e recupera la tua spada. Dimostra il tuo lignaggio».

Percepii il ragazzo tentennare dietro di me. Era confuso. Mi chiesi se mi avrebbe lasciata veramente da sola lassù, a vedermela con due mostri, disarmata. Saltare, però, non mi sembrava una buona idea: da quell'altezza, significava morte certa.

La bocca della Chimera si accese di un bagliore rosso, scaldandosi per un'altra fiammata.

«Non hai fede» disse Echidna a Percy «Non ti fidi degli dei. Non posso darti torto, piccolo codardo. Meglio morire subito. Gli dei sono sleali. Il veleno ti è arrivato al cuore».

Mi girai verso Percy. Sperai che la donna-serpente stesse scherzando, ma non era così. Lui stava lentamente morendo, il veleno di quella Chimera che ormai stava per raggiungere il suo cuore. Era pallido, sudato e gli tremavano leggermente le gambe. Si affacciò giù, verso il fiume, e poi fissò il suo sguardo nel mio. Mi fece un leggero occhiolino, come a segnarmi che aveva un piano.

«Morite, semidei» gracchiò Echidna con la sua voce stridula.

Il chihuahua soffiò una colonna di fuoco verso di noi. Percy mi passò un braccio attorno alla vita e strinse, portandomi ancora più vicina al suo petto. Mi sentii leggermente a disagio per tutta quella vicinanza. Le mie guance avvamparono un poco, e ringrazia il cielo che Percy si trovava alle mie spalle e non poteva vedermi. Ma che mi prendeva? Mi sentivo una stupida ragazzina in preda agli ormoni. Patetico, assolutamente patetico.

«Padre, aiutami» sentii pregare Percy.

E poi saltò, portandomi con sé. Iniziammo a precipitare verso il fiume.

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