17) LA GUARIGIONE

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Da quel giorno per lui parve veramente che tutto andasse per il meglio.

Mangiò con maggiore lena e finalmente, quasi che l'aver ritrovato un nome fosse ciò di cui aveva bisogno per reagire, il suo corpo, i suoi muscoli, tornarono ad arrotondarsi e a gonfiarsi.

Di notte dormì tranquillo e non gli capitò più di perdere il controllo. Sembrò veramente che il peggio si trovasse alle spalle. Anche il suo umore migliorò di pari passo con il suo fisico. Si pettinò a lungo i capelli che erano ridotti a un groviglio, passando ore a districarli uno alla volta quando necessitava. Le mani gli tremavano leggermente, ma poco alla volta anche quello passò. Quando si sentì abbastanza sicuro, decise che era arrivato il momento di radersi. Riuscì addirittura a far sorridere Radice per le smorfie che faceva nel toccarsi i cespugli incolti della barba che gli cresceva sulle guance. Domandò al ragazzo se poteva fornirgli il necessario per tagliarla e lui lo fece.

Sentiva che il suo passato doveva essere nascosto da qualche parte, ma ora aveva la possibilità di essere una persona nuova. Il resto poteva attendere.

Se si toccavano argomenti che parevano portarlo al passato, li cancellava dalla mente. Gli era sufficiente sorridere e tutto svaniva in un momento, aiutato da una salda amicizia con Flot, che, dopo la visita della Grande Madre, non aveva mancato momento per restargli accanto.

I due giovani passavano ore e ore insieme, spesso senza dirsi nulla. Ma al contrario dei silenzi prolungati di Radice, questi non erano causa di scarsità di argomenti, bensì dell'essere presenti l'uno all'altro.

Certamente parlavano, però, come per un tacito accordo, l'uno faceva il possibile per non mettere in imbarazzo l'altro.

E in quel modo, tra l'avvicendarsi dei due giovani al capezzale del malato e le soste prolungate di Flot al suo fianco, quello che una volta era stato Aldaberon il Varego, giovane e prezioso Sanzara per la sua gente, si preparò a diventare Walpurgis dei Mandi. Era felice e il resto poteva attendere. Seguitava a non sapere quasi nulla della gente che lo ospitava.

Per quanto sentisse una curiosità incredibile, se ne astenne sempre, certo che per ora era molto più importante che rimettersi in forze. Per il resto aveva tutto il tempo, una vita intera da passare assieme a quella gente. Solo una volta trasgredì.

Ora che aveva un nome voleva sentirlo pronunciare da qualcun altro che non fosse la sua mente. I primi giorni li aveva passati a dirselo e a ripeterselo in continuazione fino a perderne quasi il significato. Gli pareva la cosa più bella al mondo. Era felice di poterlo fare. Quel nome ancora estraneo lo disse guardandosi la mano, il braccio, le gambe e i piedi. Ogni parte del suo essere doveva conoscerlo e farlo proprio. Quel nome era lui, il suo corpo ne era il sostegno e il contenitore. Dovevano riconoscersi e condividerne il valore. Erano una cosa sola e per avere un senso comune, ogni più piccola parte di sé doveva trovare spazio in ognuna delle lettere che componevano quelle parole. E per fare questo doveva lui stesso entrare in quel nome e scinderlo fino a che ogni cellula del suo corpo non l'avesse identificato, assimilato, fagocitato e rigurgitato tutto intero. Solo quando lo ebbe fatto, solo a quel punto poté finalmente dire:

"Io sono Walpurgis dei Mandi".

Prima era soltanto un corpo, ora era una cosa sola con esso.

Finalmente poteva dire "Io sono...".

Però volle andare oltre, sentirlo dire anche da altri.

Voleva riconoscersi in quel nome, stupirsi nel sentirsi chiamare. E questo da chi, se non dalle uniche persone che gli erano sempre accanto e lo trattavano da amico?

Da giorni e giorni pensava e ripensava a come sarebbe stato meglio affrontare l'argomento, ma ogni volta non ne veniva a capo. Valutava attentamente tutte le possibilità che gli venivano in mente, poi le abbandonava dopo essersi convinto che non avrebbero potuto funzionare. In un modo o nell'altro non riusciva a decidersi.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora