13) I COMPARI

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Due giorni erano passati da quando lui e la donna s'erano lasciati in quel modo brusco e ostile, eppure non riusciva a dimenticarla. Qualcosa in quella creatura bizzarra l'aveva colpito in modo particolare, anche se non riusciva a comprendere cosa fosse. La palude sembrava lontana e anche il fango andava diminuendo. Solo il suo tanfo, impregnato nei vestiti, gli ricordava di averla attraversata.

Quella donna poteva avere un carattere infernale, ma conosceva molto meglio di lui quella foresta e i pericoli che nascondeva. Ora si pentiva di non averle domandato di più su quei Colorati di cui gli aveva parlato. Sapeva di essersi lasciato prendere troppo dal suo mutevole comportamento, comunque era tardi per tornare indietro.

Dall'alba, difatti, aveva la netta sensazione di essere seguito, anche se ogni volta che si girava non vedeva nessuno.

All'inizio aveva creduto fosse la sua immaginazione, ma con l'andar del tempo, quella sensazione non ne voleva sapere di andarsene. Anzi, aumentava di pari passo al prurito ai piedi. Era un brutto segnale, quando i piedi gli prudevano era cattivo segno, lo sapeva bene. Qualcosa attorno a lui non andava.

Evitava zone troppo fitte di felci e rami e spostava continuamente la direzione di marcia, ma era tutto inutile. Qualunque cosa tentasse, il prurito ai piedi non passava. Aveva provato a nascondersi tra le radici contorte di un albero, però nulla era successo. Era rimasto immobile a lungo, arrivando quasi alla conclusione che si era sbagliato. Riprese quindi il cammino, senza però riuscire a tranquillizzarsi. Il suo istinto di cacciatore gli diceva che era lui la preda in quel momento. Sentiva di essere osservato, anche se non avrebbe saputo dire da dove.

A un certo punto, fu sicuro di essere circondato. Ne era certo, come certo era che il fuggire non gli sarebbe servito a nulla. Si fermò e lentamente sfilò lo spadone dal fodero sulla schiena. Lo impugnò saldamente nelle mani, ruotando senza fretta su se stesso. Aveva scelto quel posto perché era un piccola radura e sopratutto era stanco di sentirsi braccato. Sperava che la vista della magnifica spada di Alfons fosse un deterrente abbastanza forte per chi lo osservava. In caso contrario, che gli Dei dei Sei Elementi non lo vogliano, invece di continuare a essere preda, da ora voleva diventare il fiero animale che attende il cacciatore.

Dopo non molto capì che aveva avuto ragione.

Un rumore gli arrivò da un folto di felci a pochi passi da lui, accompagnato da un ringhio sommesso. Si mise sulla difensiva giusto in tempo. Dalle felci sbucò un orso che si fermò rizzandosi sulle zampe posteriori.

Ringhiava, le labbra contratte su denti enormi. Due piccoli occhi arrabbiati erano fissi su di lui. Era alto quasi due volte il Varego, di pelo nero fuorché due piccole chiazze bianche sulle guance e una più grande sul petto. Aldaberon a momenti inciampò nell'arretrare di qualche passo. Tenendo lo spadone ben teso avanti a sé, vide che portava un collare di metallo attorno alla gola. Legata vi era una grossa corda che gli correva lungo la schiena prima di perdersi nelle felci.

Qualcuno dall'altro capo la teneva saldamente in pugno e ogni tanto la strattonava quando l'animale si avvicinava troppo al Varego. Qualcuno voleva spaventarlo più che aggredirlo, ma chi?

Rendendosene conto Aldaberon si rilassò un po', anche se continuava a non vedere chi comandava l'orso.

Quando il Varego udì un rumore secco, l'animale ritornò sulle quattro zampe. Dalle felci alle sue spalle comparve un uomo. Arrotolando lentamente la corda nel pugno, arrivò a fianco dell'orso e l'accarezzò delicatamente sul capo. Il suo aspetto strideva con quel gesto d'affetto per l'animale che, a sua volta, con goffa delicatezza prese per gioco la mano dell'uomo in bocca. Quanto si assomigliavano quei due esseri, rimase stupito Aldaberon.

Quell'uomo era alto quanto il Varego, con spalle ampie e un ventre prominente. Barba e capelli neri formavano una corona di peli arruffati attorno al viso, da cui spiccavano due occhi neri e stretti, fissi su Aldaberon. Portava abiti di fibre intrecciate come la donna Tumbà, tunica corta e pantaloni, sopra i quali salivano fino quasi al ginocchio degli stivali anch'essi ottenuti da fibre intrecciate. Sopra la tunica un mantello, con un cappuccio tenuto basso sulla schiena.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora