3) LA CAPANNA DEL SANZARA

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A un certo punto, poi, Alfons il Fabbro iniziò a parlare.

Non era la solita voce che Aldaberon conosceva fin dall'infanzia e gli aveva sempre infuso sicurezza e calore.

Non suonava rumorosa, esuberante come il tuono e non era scandita da sonore risate come sempre. Era lenta, spenta, consunta.

Usando meno parole possibili, quasi che il loro sapore gli fosse intollerabile, raccontò al ragazzo che sua madre se ne era andata  e che non sarebbe più tornata da loro.

Alla domanda del ragazzo di dove era andata, la risposta dell'uomo fu:

"Nella sua foresta", dopodiché non volle più parlarne.

Come se già questa notizia non fosse sufficiente, Alfons aggiunse ancora che dall'indomani lui, Aldaberon delle Farfalle, Sanzara del Villaggio dell'Arcobaleno, avrebbe iniziato il percorso che l'obbligava il suo stato di Prendi-Nome.

Mentre lo diceva, Alfons aveva abbassato lo sguardo sui calzari che portava, ma l'effetto delle sue parole colpì ugualmente Aldaberon come una mazzata sulla testa.

Le gambe gli cedettero, le ginocchia si piegarono da sole. Si ritrovò seduto sulla roccia piatta, la bocca aperta per lo stupore di quello che aveva appena sentito.

Fin dalla più tenera età tutti i bambini Vareghi sapevano dell'esistenza degli Avi e di quanta influenza avessero sulla vita degli abitanti dei villaggi. Prima ancora di camminare lui e i suoi due amici erano stati portati dagli anziani verso le nicchie riservate agli Antenati in ogni focolare.

Insieme a loro, senza nemmeno sapere quello che facevano, cantarono e pregarono affinché tutti i deceduti potessero trovare pace nella morte, offrendo doni e offerte, cibo e acqua, come se fossero ancora vivi tra loro.

Sapeva anche che di tanto in tanto qualche Avo lasciava qualche debito e che a pagarlo avrebbe pensato qualcuno della sua famiglia, ma Aldaberon aveva creduto che si trattasse di denaro. Con il tempo e la curiosità di bambino, insieme ai suoi due amici si era fatto un'idea vaga di quello che poteva essere, però gli adulti ne parlavano poco e malvolentieri. Ogni volta che lo facevano, o sentivano qualcuno farlo, si toccavano il naso come per allontanare una mosca fastidiosa, per scaramanzia e superstizione, poi se ne andavano stizziti o rabbiosi, preoccupati o sospiranti, comunque senza mai soddisfare fino in fondo le loro domande desiderose di risposte. Quindi con il tempo e l'esperienza arrivarono a capire che era un argomento da lasciare stare se si voleva vivere tranquilli.

Lui era quindi cresciuto nella consapevolezza che c'erano dei segreti in tutto ciò e solo il rispetto del culto dei morti poteva mettere sé stesso, i suoi amici e il villaggio al riparo da disgrazie immani. Ma oltre a questo non sapeva nulla di preciso, tutto restava sempre nel vago e nel misterioso, tanto che loro stessi iniziarono, come gli adulti, a esserne vaghi e misteriosi, senza nemmeno saperne il perché. Semplicemente lo facevano per essere come gli altri: erano Vareghi e come tali dovevano comportarsi.

Di certo qualcuno avrebbe pagato per i debiti del passato, si dicevano prima di tornare a giocare spensierati. La cosa finiva lì, senza che lo toccasse mai troppo da vicino.

Così almeno pensava lui. Qualcuno avrebbe pagato, ma non lui in persona. Questa possibilità non gli era mai passata nemmeno per l'anticamera del cervello. Nella sua logica di bambino c'era sempre un Sanzara che avrebbe pagato per tutti, anche se mai e poi mai avrebbe pensato che un giorno avrebbe potuto essere lui, o uno dei suoi amici, a farlo per tutti.

 Ma ora, mentre passava dalla curiosità alla consapevolezza di quello che Alfons voleva veramente intendere, la disperazione piano piano si impossessò della sua mente.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora