16a) IL SOGNO

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Ben presto cadde in un sonno pesante che gli placò la mente. L'ultima cosa di cui si rese conto fu l'allontanarsi di uno dei due giovani dalla stanza. Flot gli parve, mentre Radice restò con lui. Dopo di ché, incapace di formulare altri pensieri, si perse nella nebbia e nell'oblio del sonno fino a quando gli parve di svegliarsi.

Non avrebbe saputo dire dopo quanto, eppure qualcosa gli disse che era ora di farlo e non appena spalancò gli occhi, come se fosse la cosa più normale del mondo, scese dal letto e si mise a camminare per la stanza. Lì per lì non riuscì a crederci.

Gli parve impossibile essere nuovamente in piedi, a muovere le gambe e le braccia e spostarsi dove e come voleva. Vide il suo giaciglio finalmente vuoto e provò una gioia enorme. Al colmo della felicità si guardò attorno: voleva condividere con qualcuno quel successo, magari con Radice che gli era stato accanto per così tanto tempo, ma nella stanza non c'era nessuno. Solo lui. Dentro di sé sentì il vuoto, ne condivise il silenzio perché quello era il suo destino.

Vide la porta che dava all'esterno e volle uscirne, ma appena mosse un passo verso di essa, si trovò proiettato in quello che non tardò a riconoscere come il letto di un fiume. Era in secca, ampio e lento in momenti migliori, modesto rigagnolo ora. In distanza, tanto lontane da apparire velate da nebbie rossastre, vide le sponde ricoperte di alberi altissimi. Ma le rive piangevano e dal loro pianto rivoli di sangue scorrevano lungo quello che era stato il letto del fiume fino a congiungersi con il rigagnolo che ne era triste ricordo.

Sia a monte che a valle, tutto il letto del fiume era attraversato dalle lacrime di dolore della foresta e lui sapeva di non poterci fare nulla. Benché si guardasse attorno, vide soltanto silenzio e dolore. Non una sola presenza oltre la sua. Quanto grande poteva essere il silenzio. Quanto pesante poteva essere la solitudine. Si spaventò. Avrebbe voluto andarsene, ma non sapeva dove andare. Il vuoto, il nulla. Era la fine, la fine di tutto.

Sentì stringersi il petto a quella sensazione di tristezza e desolazione. Avrebbe gradito anche la compagnia di Radice: silenziosa, ma viva e presente nonostante tutto. Solo che anche lui non c'era più, non c'era più nulla.

Nel rendersene conto provò il desiderio di fuggire. Non voleva credere che tutto fosse veramente svanito nel nulla. Non poteva credere che oltre a lui ci fossero solamente rigagnoli di sangue che sgorgavano dalle rive del fiume. Saltando da una pietra all'altra per non bagnarsi in quei piccoli corsi di dolore, andò in una direzione qualunque.

Corse a lungo, però sempre ritrovò le medesime pietre e gli stessi rigagnoli ad attraversargli la strada. Sembrava inutile anche fuggire.

Poteva farlo perché non c'era nessuno a impedirglielo, ma da cosa fuggiva se non c'era nulla da cui farlo? Verso cosa fuggiva, se non c'era più nulla verso cui andare? Questa sensazione angosciosa lo fece fermare. Era assurdo correre a perdifiato, inutile quanto sciocco. A quel punto sentì un fruscio sovrastarlo.

Era un fruscio leggero e lontano, veniva dall'aria e si avvicinava veloce. Era delicato e gentile, pareva un segno che si era sbagliato. Se lo sentiva, qualcosa c'era ancora, dopotutto. Carico di speranza si parò gli occhi dalla luce del sole e guardò in alto, guardò e guardò, cercando la fonte di quel fruscio, ma per quanto fece non vide nulla.

Eppure quel fruscio c'era, ne era sicuro! Dopo un tempo infinito vide qualcosa muoversi a scatti nell'aria. Era lontano, non poteva distinguerne forme e colori. Con la velocità del pensiero si trovò circondato da un leggero svolazzare di centinaia e centinaia di farfalle multicolori che gli balzarono attorno. Gli sfiorarono la pelle, prima di allontanarsi appena appena un po', per poi avvicinarsi ancora. Gli fecero il solletico e solo allora si accorse di essere nudo.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora