12b) LA TUMBA'

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Quando la rivide tornare sui suoi passi, capì che era così.

Lei rispose appena con un cenno della testa. Un gesto muto a capo chino, senza entusiasmo né forza, che tolse ad Aldaberon ogni voglia di parlare ancora. A sua volta il giovane si fece largo tra le frasche e la raggiunse.

Davanti a loro, il tratto di foresta che lei aveva circoscritto, era completamente raso al suolo e stava sprofondando in una melma densa e puzzolente. Con una velocità che il Varego non avrebbe mai potuto immaginare, i giganteschi alberi cavi, o perlomeno quello che di integro ne rimaneva, scomparivano risucchiati nel fango e in un'acqua ribollente e putrida che prima nemmeno immaginava potessero esserci.

Quel tratto di foresta aveva completamente cambiato faccia.

Dove prima vi era un bosco, ora veniva alla luce una palude, maleodorante e infida.

"Sabbie mobili!" esclamò incredulo "Ma... come è possibile?" domandò alla donna immobile al suo fianco. L'aveva fatto di getto, senza aspettarsi una risposta che comunque non arrivò. Non insistette. Comprese che la donna stava soffrendo e si accontentò di restarle al fianco. Rimasero fermi finché videro scomparire le ultime tracce degli alberi cavi.

Aldaberon non seppe cosa dire. Parlò la donna, a testa china.

"Vuoi ancora andartene via da solo?" gli chiese in tono sommesso.

Lui non rispose, dalla vergogna abbassò gli occhi e arrossì. Non si sentì un grande guerriero, in quel momento. Lei se ne accorse.

"Non ti devi vergognare, giovane uomo" affermò a voce bassa, toccandogli una spalla.

Era la prima volta che lo faceva e Aldaberon provò un brivido.

"Molti altri sono finiti in queste trappole. Molti. Molti della mia gente, amici miei... anche loro erano amiche mie" disse ancora lei, indicando quel poco che restava delle piante. Aldaberon non capì. Era ancora troppo scosso per poterlo fare.

"Ma come... " riuscì a malapena balbettare.

"Come è possibile una cosa del genere? Karahì e i suoi Ka–Ranta, ecco come" si lasciò scappare, ma subito parve pentita d'averlo fatto. Scosse la testa sconsolata.

"Lascia perdere, non puoi ancora comprendere" aggiunse sospirando "Andiamocene di qua. Diventa buio" concluse.

Senza dire altro si diresse verso Sud. Aldaberon la seguì a una certa distanza. Nemmeno lui aveva molta voglia di parlare. Quella desolazione l'aveva lasciato senza parole e voleva lasciarsela alle spalle il prima possibile.

All'improvviso ci fu uno schianto, secco e improvviso. Si voltò appena in tempo per vedere l'enorme branca spezzata che li protesse  rompersi di colpo. La vide scivolare lentamente lungo il tronco, acquistare velocità fino a che, con tutto il suo enorme peso, si abbatté dove lui e la donna si erano acquattati poco prima. Se si fosse staccato subito, per loro non ci sarebbe stato scampo.

Prima di andarsene ringraziò Querculo, il Dio del Legno, per averli protetti, però non disse nulla alla donna che lo guidava.

Non camminarono a lungo, perché la luce del giorno si affievoliva in fretta e nessuno dei due ne aveva ancora voglia. Prima che facesse buio si fermarono nel primo posto asciutto che trovarono e si sistemarono per la notte. La donna Tumbà restò in disparte e il Varego era ancora troppo impressionato per andarle vicino. Lo scampato pericolo, la vergogna che provava verso la sua compagna, l'incapacità di comprendere i suoi cambiamenti d'umore, gli resero gradevole il silenzio e il desiderio di solitudine della donna.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora