13a) I COLORATI

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Durante il cammino trovò cibo e acqua. Presso un ruscello si fermò che le ombre della sera incombevano e un nuovo assillo lo assalì: continuare a muoversi o fermarsi a dormire?

Appena si pose la domanda, Aldaberon sorrise beffardo. Sia che decidesse di fermarsi, che scegliesse di camminare per tutta la notte i quattro sconosciuti avrebbero sempre saputo dove trovarlo. Se avessero deciso di aggredirlo, farlo nel sonno oppure nella veglia per lui cambiava poco. Volente o nolente si trovava in balìa di quel gruppo. A tentare di sfuggirgli ci aveva già provato, riuscire a sorprenderli nemmeno a pensarci e anche il tentativo di aprire un dialogo era fallito: veramente si poneva il problema se fosse opportuno dormire?

Si tolse la borsa a tracolla e le armi e si stese sotto le radici di un gigante caduto. Accanto c'erano molte foglie secche. Se ne ammucchiò quante poté e si mise giù a dormire. La luce era ormai fioca e i contorni delle cose venivano sbavati dai chiaro scuri dell'oscurità, ma il Varego era certo che qualcuno del gruppo lo guardasse anche allora. Non aveva idea di quale potesse essere e in quale punto delle foresta potesse nascondersi, però ugualmente gli gridò:

"Buon riposo anche a te, Tumbà! Domani ho intenzione di andare a Sud, se vuoi possiamo andarci insieme, cosa ne dici?"

Non attendendosi nessuna risposta, ritornò a distendersi. Non sapeva perché avesse detto quelle cose. Sapeva solo che farlo l'aveva fatto sentire meglio e meno impotente. A fuggire nemmeno ci pensava. Sarebbe stato inutile e avrebbe potuto trovarsi faccia a faccia con l'orso ammaestrato. Comunque sorrise, quasi quasi si sentiva protetto da quella presenza silenziosa nella notte. Lo faceva sentire meno solo. Mentre lui pensava a dormire, avrebbero potuto vegliare sul suo sonno, proteggendolo come una coperta dal freddo. Ma sia in un modo che nell'altro, era certo che non avrebbe potuto fare molto per evitarlo. Se quei quattro uomini dovevano rappresentare lo scoglio che avrebbe affondato la sua nave, tanto peggio, così sarebbe stato. Se invece così non doveva essere, l'indomani si sarebbe risvegliato e avrebbe continuato il suo cammino evitando a qualcun altro di farlo al posto suo.

Per chi aveva fede nel Rammarico e nell'Inevitabile non c'era un vero inizio e una vera fine nelle cose che succedevano. Se così doveva essere, così sarebbe stato. Tutto fluiva come un fiume del quale nessuno sapesse esattamente dove fosse la foce, badando solo a seguire la corrente nel modo più semplice e lineare possibile. Per quanto libero, un Sanzara aveva un destino segnato dalla nascita e poteva solo affrontarlo giorno per giorno.

Forse il suo era un comportamento sciocco e irresponsabile, però aveva in sé qualcosa che gli piaceva e l'affascinava. L'imprevisto era il sale della sua vita.

Nella notte sognò della donna Tumbà e della madre. Le vide arrivare separate, poi camminare sempre più vicine l'una all'altra fino a sovrapporsi. Fu un bel sogno. Riposò quietamente e il mattino dopo, al risveglio, essendo ancora vivo capì che aveva fatto la scelta giusta.

Un rapido sguardo attorno e non vide nessuno, anche se era sicuro che i quattro fossero ancora lì.

Li sentiva, erano nell'aria come l'umidità all'alba e il vapore nel fiato. I suoi piedi prudevano, la nuca formicolava.

"Salute, Tumbà. Avete dormito bene?" disse ad alta voce.

Si rendeva conto che stuzzicare quegli uomini non lo avrebbe portato a nulla, ma gli serviva per sentirsi in qualche modo partecipe a quel gioco. Fece le sue abluzioni con calma, si rase e pettinò accuratamente. Mangiò i pochi frutti che ancora aveva e partì.

Per tutta la mattinata non li vide, eppure continuavano a essere una presenza costante e invisibile. Solamente una volta udì lo schiocco delle pietre dell'uomo dell'orso, molto lontano e alle sue spalle. Poteva essere un ordine per l'animale oppure un segnale per i suoi compari. Non l'avrebbe mai saputo e a conti fatti nemmeno gli interessava.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteWhere stories live. Discover now