9d) L'INDOVINA

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Trascorse un'altra estate e arrivò l'inverno che, come il precedente, non fu particolarmente rigido, anche se più nevoso nei mesi freddi e più piovoso nei mesi del disgelo.

All'arrivo del tempo stabile Neko fece i preparativi per un lungo viaggio e invitò il ragazzo a fare altrettanto. Gli disse che sarebbero stati lontani per quasi un mese intero. Sarebbero andati a Ovest questa volta, non a Sud come le altre.

Aldaberon ne fu entusiasta. Ormai faceva fatica a restare lunghi mesi in casa durante l'inverno Varego e amava sempre più la vita dei boschi. Si sentiva sempre meno Varego nei legami e negli usi, oltre che nel cuore.

Amava la sua terra e rispettava i suoi avi, eppure era arrivato a dirsi che per lui non c'era più nulla per cui valesse la pena restare. L'unico esile legame che gli restava era Alfons, che stava sempre peggio e lo preoccupava sempre più. Era dimagrito, nell'inverno appena finito si era ammalato ai polmoni e faceva fatica a respirare. La primavera sembrava avergli portato del giovamento, si levò dal letto dove era stato per parecchie settimane e riprese a lavorare. Il caldo, il lavoro e le amorevoli cure di Jynri parevano aver sanato le sue malattie, eppure il suo sguardo rimaneva spesso perso in un orizzonte lontano, dove soltanto lui vedeva qualcosa.

Quando il figlio gli comunicò l'imminenza della sua partenza e la durata del viaggio, Alfons parve curvarsi sotto un improvviso colpo. Dovette appoggiarsi al suo banco da lavoro per non cadere in terra. Infine gli diede la sua benedizione e gli augurò di fare un buon ritorno, che lui sarebbe rimasto ad attenderlo. Volle credergli, ma nel momento in cui Aldaberon si allontanò dalla fucina, avrebbe giurato di aver sentito il padre mormorare il nome della madre scomparsa ormai da sei inverni.

Anche il semplice dubbio di aver sentito quel nome aprì nel giovane ferite che pensava sanate ormai da tempo, così preferì non tornare indietro.

Partirono che il sole era già alto. Tutti i Vareghi erano già indaffarati nelle loro faccende, ma quando fu sulla scogliera alle spalle del villaggio insieme a Neko, si accorse che nessuno era venuto a salutarli per augurargli buon viaggio.

Lui e il vecchio erano come estranei per loro, ospiti graditi da troppo tempo presenti in casa. Che fossero al villaggio oppure lontani, per loro non faceva nessuna differenza. Il pensarlo non lo ferì, non più ormai e si allontanò con passo fermo verso la foresta.

Neko gli spiegò che la ragione di quel viaggio era che voleva portarlo in una zona remota di quella foresta, perché doveva imparare a leggere le foglie secche.

Capì in seguito che il vecchio maestro voleva condurlo presso un antichissimo albero, tutto contorto e cariato, che si diceva ospitasse al suo interno un' indovina che lasciava i suoi responsi scritti sulle foglie della foresta, in modo che fossero sempre confusi e incerti. Stava al postulante decifrarli nel modo migliore.

Vedendolo incredulo, il vecchio proseguì per la strada che conosceva solo lui.

Impiegarono quasi due settimane ad arrivare al posto indicato da Neko e non diede mai l'impressione di essersi sbagliato sulla strada da scegliere. Marciò sempre spedito e sicuro, nonostante si trovassero in una zona completamente nuova per il giovane. Dopo quattro giorni non seppe più dove si trovavano e dove stessero andando. Le scorte che portarono alla partenza presto finirono. Mangiarono quello che cacciarono e si dissetarono con sorgenti e torrenti. La foresta non fu mai matrigna nei loro confronti. Camminarono dalle prime luci dell'alba al tramonto senza mai incontrare nessuno,  lo fecero con calma, senza nessuna fretta.

In alcuni momenti pareva facessero una passeggiata, durante la quale riordinare i propri dolori. Stavano sempre insieme anche se passavano lunghe ore in silenzio, immersi nei suoni della foresta. Ognuno, in quei momenti, si isolava dall'altro, perso nei propri pensieri.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora