10) LA PIASTRA DI ALFONS

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Era in avanzato stato di gravidanza. Ecco perché non era al lavoro nei campi, non avrebbe potuto risalire la scogliera. Da lì a poche settimane, probabilmente prima dell'arrivo dell'autunno, avrebbe avuto un altro figlio, ma lui non avrebbe saputo dirlo con certezza. Non era un affare da guerrieri, quello. Men che meno di un Sanzara.

La sentì chiamare a gran voce :

"Thrand, Tholle, venite qua, presto!".

Vide due bambini staccarsi riluttanti dal gruppo e andare verso di lei. Avevano il broncio, non capivano il motivo di quel richiamo. Non avevano fatto nulla di male, in fondo. Erano i due gemelli che Aldaberon aveva notato prima. Seppure con malavoglia i due andarono accanto a Vandea e le si strinsero all'ampia gonna. Certamente erano i suoi figli.

Mentre accarezzava entrambi sulle teste sporche, Vandea tenne lo sguardo fisso su di lui che si allontanava accanto al padre, poi , con un gesto, li lasciò tornare ai loro giochi. Non disse altro e rientrò in casa quando vide i due uomini arrivare alla Casa Comune.

Appena entrati nel settore dei fabbri, in due nicchie appositamente preparate nei muri, vi erano due statuette grezze di metallo, una per lato di chi entrava.

Erano le immagini di Bipenne e Ardente, Dei del Ferro e del Fuoco, protettori dei fabbri, dei metalli e dei segreti che svelarono ai Vareghi millenni prima.

Rispettosamente Alfons e Aldaberon le accarezzarono entrambe prima di entrare, poi si diressero al laboratorio di Alfons. La forgia era fredda, il fuoco spento da mesi. Gli arnesi da lavoro lasciati dove si trovavano da tempo. Non c'erano più garzoni a cui gridare, perché tutti andati a servizio da altri fabbri. La polvere si stava lentamente impossessando di ogni cosa a eccezione del bancone che restava ancora pulito.

Quando i due arrivarono, nei laboratori attorno a loro fervevano i lavori dei fabbri. I martelli erano all'opera sulle incudini, i mantici soffiavano vigorosi su bracieri da cui uscivano roventi pezzi di metallo da forgiare. Sui muscoli brillava sudore misto allo sporco del carbone, nell'aria polvere e secchi richiami ai garzoni perché facessero in fretta. Odore di sudore, di ferro, di fuoco.

Suoni e cose a lui famigliari da sempre, alle quali era sempre stato convinto di essere un giorno destinato, come suo padre prima di lui e come il padre di suo padre e così via indietro nel tempo. Invece tutto fu bruscamente interrotto. Era un Sanzara. Anche questo venne travolto dagli eventi, pensò Aldaberon, guardandosi attorno.

Sul bancone uno straccio unto era allargato a coprire qualcosa di non molto voluminoso. Tutt'attorno, lasciati in disordine, vi erano bulini di tutte le dimensioni e forme. Alfons vi si diresse.

"Ecco" disse ad Aldaberon "Questo sarà il mio regalo prima che tu parta definitivamente. Non è ancora finito, ma voglio che tu lo veda ugualmente".

Prese un lembo del canovaccio e lo scostò piano, mettendo in mostra una piastra di rame rettangolare lunga una spanna e larga due, spessa, martellata con una cura tale che la superficie risultava perfettamente liscia. Sopra si vedeva che vi erano due forme umane sbozzate, però lui era messo di traverso e non aveva una buona luce per vederle bene. Si spostò un poco e vide che si trattava di due volti i cui bordi erano già ben delineati, mentre il collo e le spalle erano appena segnati. Due farfalle svolazzanti, anche loro abbozzate ma già ben identificabili, giravano sopra le teste e parevano uscire dalla più piccola delle due.

Aldaberon fissò quella piastra a lungo, affascinato dalla precisione con cui i delicati colpi di bulino erano stati portati, uno alla volta, con cura e amore.

Il disegno complessivo era ancora ben lontano dall'essere terminato, ma già si indovinava che i soggetti erano un uomo e un bambino.

"Chi sono?" domandò al padre senza distogliere lo sguardo da quello che stava osservando.

"Tu e io" gli rispose Alfons "Ti piace?"

Aldaberon non seppe che rispondere. Il lavoro era lontano dall'essere completato e i particolari tutti da definire, come avrebbe potuto indovinarli ora?

La sua incertezza non dovette sfuggire ad Alfons, che lentamente ripose il canovaccio con attenzione sulla lastra.

"Capisco" disse piano "In fondo hai ragione, avrei dovuto fartela vedere più avanti. Ora è ancora troppo grezza. Ma ora tu sei qui e non voglio parlare di lavoro. Andiamo a casa, sarai affamato. Jynri ci preparerà qualcosa da mangiare".

Le successive due settimane le passarono praticamente sempre insieme, pescando, andando a caccia o restando attorno al focolare raccontandosi storie. Ma sopratutto passarono quel tempo parlando. Parlarono tantissimo, tanto che ad Aldaberon parve di non aver mai conosciuto il padre, prima di allora. Si dissero cose che non si erano mai dette e si chiesero cose che non avrebbero mai osato chiedere prima. Non ci fu un argomento che non toccarono in quei giorni, con la sola eccezione di Lilith. Nessuno dei due pronunciò mai il suo nome, pareva che fosse svanita dalle loro menti. O perlomeno la tenevano così gelosamente nascosta che non se la sentivano di tirarla fuori dallo scrigno in cui l'avevano riposta.

Jynri si comportò in modo molto discreto e non tentò mai di interporsi tra padre e figlio. Alla mattina usciva per andare al lavoro dei campi insieme alle altre donne e ne tornava alla sera, stanca ma felice di trovarli ancora insieme. Spesso il giovane divideva con loro anche il pasto della sera. Senza la presenza del maestro, la casa del Sanzara gli pareva troppo vuota e silenziosa. Andava bene per dormirci di notte, ma per il resto era troppo grande per lui solo.

Aldaberon scoprì così che il padre era un discreto cuoco e più di una sera cucinò lui per tutti. Cose semplici, mai troppo elaborate, però si vedeva che la donna che divideva il focolare con lui le apprezzava e lo ringraziava a modo suo. Si volevano bene, notò con piacere. Perlomeno la donna dimostrava di volerne ad Alfons e di questo il giovane gliene era grato. La considerava ancora sgraziata e opportunista, però in quel periodo si sforzò di vederla con gli occhi del padre e non con i suoi e capì che per quel guerriero stanco e provato era una buona compagnia. Forse migliore della sua. In fondo non era colpa di quella donna se sua madre se ne era andata nella foresta, lasciandoli soli. Incolparla di questo sarebbe stato ingiusto.

Ma mai glielo disse e forse fece male, perché alla fine di quelle due settimane al villaggio riapparve Neko e le cose cambiarono ancora.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteWhere stories live. Discover now