10) LA PIASTRA DI ALFONS

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Al contrario del padre, che invece pareva a suo agio in loro compagnia.

Alfons sorrideva mentre li guardava, sembrava sereno, e questo fece piacere ad Aldaberon. Pensò che anche lui si meritava un poco di pace in questa vita.

Quando vide il figlio avvicinarsi, il Varego lo salutò cordialmente e lo invitò a sedersi con lui.

Fu un momento commovente, vedere quell'uomo consumato riprendere vitalità nell'abbracciare il figlio tornato, anche se Aldaberon sentì le braccia scarne e il petto scavato. Lo schiamazzo che avevano provocato nel salutarsi fece affacciare dalla Casa un'anziana donna che accudiva i bambini di tutti. Visto di cosa si trattava, si toccò il naso per scaramanzia quando vide Aldaberon in compagnia di Alfons, poi tornò all'interno senza dire una parola.

Padre e figlio parlarono con calma, a lungo. Sereni, soli.

Aldaberon raccontò del suo viaggio e Alfons del villaggio, di chi era andato, di chi era venuto e di chi non si sapeva più nulla.

Mentre parlava e lavorava il pezzo di legno con il coltello, Alfons non perdeva di vista il gruppo dei bambini. In mezzo a loro ve ne erano due uguali, chiaramente gemelli, impolverati dalla testa ai piedi e con i capelli e gli occhi un po' più chiari degli altri. Lottavano tra loro e con altri maschietti, fingendo di essere dei grandi guerrieri. Aldaberon li notò appena e solo perché erano uguali come due gocce d'acqua.

Ogni tanto Alfons si fermava nei suoi racconti per commentare questa o quella prodezza dei bambini del gruppo. Rideva, come i bambini. Quando poi cercava di ritrovare il filo perduto nel discorso che aveva sospeso, faceva fatica. Pareva disorientato.

Aldaberon allora lo aiutava e il dialogo riprendeva. Come era cambiato, pensò il giovane, vedendo quel valoroso guerriero ridotto in poche stagioni in un vecchio smemorato. Se non fosse stato per la gente del villaggio che lo nutriva, chissà se sarebbe stato ancora vivo.

Si stava ancora chiedendo se tutto questo non fosse successo a causa sua e del suo essere un Sanzara, quando Alfons fece una delle sue uscite:

"Guardali" disse indicando il gruppo di bambini "Sono come eri tu alla loro età. Sono loro il nostro futuro".

Il giovane non capì se parlava di qualcuno in particolare o di tutti quanti, comunque accondiscese all'affermazione del padre e lasciò perdere. Vide solo che gli occhi gli brillavano per la gioia mentre fissava quei bimbi e ne fu contento.

Dopo un poco, a fatica, Alfons si levò in piedi, perché, disse, voleva mostrare ad Aldaberon quello a cui stava lavorando negli ultimi tempi:

"Dopo la tua partenza, ho iniziato un nuovo lavoro. Al banco, nel laboratorio, vieni, te lo faccio vedere " Alfons accennò un sorriso.  Anche Aldaberon sorrise. Era sempre contento quando il padre si trovava qualcosa da fare.

Aiutandolo a reggersi in piedi notò che le gambe erano malferme e i passi corti. Quanto era diverso dall'uomo che l'aveva guidato nella scorreria, tre anni prima.

Il bianco dell'inverno presto avrebbe visto i suoi occhi, pensò, e provò un brivido nella schiena.

Si allontanarono piano e mentre facevano per andare verso la Casa comune, Aldaberon si sentì chiamare da una voce di donna alle loro spalle.

Voltandosi, vide che sulla soglia della Casa dei Nasoni c'era Vandea, parzialmente nascosta dallo stipite della porta aperta. Non si aspettava più di vederla e la sua voce lo colse di sorpresa. Era ingrassata, non era più la fresca ragazza che aveva conosciuto, eppure incontrarla all'improvviso gli fece sussultare il cuore.

L'espressione che tentò di mantenere serena non corrispose a quello che sentì dentro al vederla. In fondo era così tutte le volte, c'era abituato.

La salutò cortesemente, chiedendosi cosa ci facesse al villaggio a quell'ora, poi, mentre lui e il padre si allontanavano piano dalla Casa dei Nasoni, la vide scostarsi leggermente dalla porta per chiamare due bambini tra quelli che giocavano nell'aia.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteWhere stories live. Discover now