La presenza di una di queste donne in un villaggio Varego era sempre un segno di buon auspicio per tutti, perciò era un onore potersi vantare di averne una nella propria casa.

Quando vi entrava a far parte, diventava una della famiglia del marito a tutti gli effetti e come lei il figlio che aveva generato per il guerriero a cui si era unita in matrimonio.

Alfons, padre di Aldaberon, tanti anni prima, fu uno di questi guerrieri fortunati.

Quando all'età di diciassette anni divenne guerriero, scelse di tentare la sorte. Secondogenito della sua famiglia, era un giovane ardimentoso, fiero delle sue origini e delle tradizioni che avevano reso potente e temuto il suo popolo. Era coraggioso, forte, pieno di ardimento e del vigore della sua età. Era anche ambizioso, tanto da desiderare un focolare tutto suo.

Ma sopratutto, voleva dimostrare il proprio valore alla casa a cui apparteneva.

Ebbe fortuna. Partì  dal Villaggio dell'Arcobaleno un giorno di inizio estate e ne fece ritorno tre mesi dopo, quando ormai in molti lo davano per morto.

Era accompagnato da Lilith e dal piccolo Aldaberon, nato da pochi giorni. Nessuno al villaggio chiese cosa fosse successo. Nessuno fece domande.

Tutti festeggiarono e furono felici per i genitori, augurando alla nuova famiglia una felice e prospera vita, perché per  i Vareghi i Matrimoni con la Foresta erano un mistero e facevano parte del culto dei Morti. E come ogni cosa riguardasse gli avi e gli spiriti, erano da lasciare velati da rispetto ed accettazione. Portavano nuova vita e questo era tutto.

Quando Alfons arrivò in loro compagnia, per prima cosa li presentò a suo padre, Gundar delle Farfalle.

Costui era l' anziano  a capo dei focolari della famiglia, spettava quindi a lui accoglierli nella Famiglia delle Farfalle. Il vecchio non oppose alcun divieto e li accettò di buon grado come nuora e nipote. Inoltre sorprese tutti e assegnò loro anche un nuovo focolare, cosa che rappresentava un grande onore tra i Vareghi. Sapeva che Alfons ci teneva sopra ogni altra cosa e volle fargli quel dono per l'immenso prestigio che aveva portato alla Casa. 

Così, da quel giorno, Aldaberon fu un Varego a tutti gli effetti, amato e protetto da tutto il villaggio, rispettato e rispettoso della famiglia. Gli anni dell'infanzia passarono in fretta e poi arrivarono quelli che lo portarono a una spensierata fanciullezza. Aldaberon visse e crebbe  con la convinzione che la sua felicità non avrebbe mai avuto fine.

Tutto questo, però, durò solo fino al giorno precedente, quando in poche ore tutto il suo mondo gli crollò addosso. Non aveva mai pensato di essere diverso dagli altri, viveva e pensava da Varego perché lui e sua madre appartenevano al popolo Varego.

L'aspetto fisico non aveva mai avuto  importanza per loro. Se erano  speciali lo dovevano a un legame con il popolo delle foreste e questo era tutto.

Ma adesso non era più così.

Si sentiva vuoto, solo e impaurito. Il silenzio della capanna  lo opprimeva e lo schiacciava  come un macigno; premeva talmente sulle coperte con cui si copriva  da levargli il desiderio di togliersele di dosso.

Rimase lì, immobile, nascosto per ore, incapace di prendere una decisione qualsiasi.

Il padre gli aveva detto che avrebbe avuto un maestro, un Gangi, però lui non sapeva nulla di questa persona. Non sapeva quando sarebbe arrivata e tanto meno chi sarebbe stato, ma in verità non gli interessava saperlo.

Era talmente affranto che avrebbe solo voluto restare sotto quelle coperte per tutto il resto della sua vita.

I deboli rumori che gli arrivavano dall'esterno lo infastidivano. La vita nel villaggio andava piano piano riprendendo dopo la festa della sera prima, ma gli giungevano ovattati e lontani.

Lo ferivano perché ora lui ne era escluso, non ne faceva più parte. Non ne aveva più il diritto. Era diventato un Sanzara, un Prendi-Nome, una persona che non aveva nemmeno un nome proprio da portare con orgoglio. Si sentì vuoto e perso.

Pensò alla madre che era andata via mentre lui non c'era, senza nemmeno salutarlo.

La dolce Lilith, dall'intenso profumo di erba appena tagliata che spandeva attorno a sé quando passava.  A lui piaceva così tanto annusarlo, da aver preso l'abitudine di farlo con tutte le donne che avvicinava per paragonarne l'odore a quello della madre.

Ripensò al suo sorriso rassicurante quando lo sollevava da terra dopo una caduta; alle carezze della sera prima di dormire; al delicato  massaggiargli  l'orecchio per farlo addormentare.

Pensò a tutto questo e si sentì tradito. Pensò ad Alfons e al dolore che il padre visse nel comunicargli la verità.

Rivide ogni momento, risentì le dure parole che gli disse arrivargli addosso, inesorabili e lente come una sentenza. Si sentì tradito anche da lui, perché avrebbe potuto ribellarsi a questo. Lo condannò perché avrebbero potuto fuggire insieme, andare lontano, da qualunque altra parte. Ma dove, si domandò subito dopo. Dove mai poteva andare un Varego, se non dove si trovava la sua gente, la sua vita di sempre, i suoi affetti più cari.

Non c'era scampo al suo destino, non c'era scelta per lui e per Alfons. Ora era solo e solo sarebbe rimasto per sempre.

Calde lacrime gli scesero sul viso e si rannicchiò ancor di più sotto le coperte. Aveva paura, una fottuta paura che non aveva mai provato prima.

Ogni scricchiolio della capanna lo faceva sobbalzare dal terrore, tendere l'orecchio per capire cosa l'avesse provocato e da dove arrivasse.

Giurò a se stesso che non sarebbe più sceso da quel letto.

"Preferisco morire piuttosto che diventare un Sanzara",  si ripeteva, ma a un certo momento avvertì un fruscio sull'assito della veranda che gli fece accapponare la pelle. C'era qualcuno davanti alla porta.

Tutti i suoi sensi si concentrarono facendogli dimenticare tutto il resto. Per lunghi attimi si concentrò soltanto sulla fonte di  quello scricchiolio, ma non percepì altro che il brusio del villaggio e il sibilo del vento. No, nulla, non sentiva più nulla, forse si era sbagliato.

Ma quando iniziò a pensare che anche quel rumore fosse dovuto al vento, udì un altro colpo.  Non troppo forte, pareva un bastone che avesse colpito l'assito su cui appoggiava la capanna. Nulla, più nulla, di nuovo silenzio e brusio. Poi, dopo non molto ne udì un altro, un po' più forte del primo, più deciso. Tutta la sua attenzione fu rivolta a quello.

Lentamente, un centimetro alla volta, si tolse la coperta dal volto e rimase immobile, attento a non fare il benché minimo rumore. Fissò intensamente la porta e attraverso le fessure  intravide una figura muoversi. Ebbe un tuffo al cuore e quasi non osò più respirare dalla paura. Infine un leggero cigolio, una spinta e la porta iniziò a girare sui cardini. Gli occhi  gli si sbarrarono dal terrore e la pelle della schiena vibrò dalla tensione.

Lentamente la porta si aprì del tutto, ne apparve un uomo anziano dal volto gentile, con la barba bianca che  arrivava al petto. Addosso aveva il pastrano pesante che i Vareghi usavano quando viaggiavano attraverso la foresta, con il cappuccio ancora tirato sulla testa. Sulla spalla, gettato sulla schiena, teneva uno zaino di cuoio dall'aspetto robusto e dal contenuto pesante. Nella mano stringeva un lungo bastone da viaggio, alto più di lui che già era alto quanto la porta. Non sembrava adirato.

Anzi, con i suoi occhi grigio cenere fissava divertito il ragazzo nascosto sotto le coperte nel letto e aspettava fermo sulla porta. Attese pazientemente. Dopo un po' vedendo che il ragazzo non si muoveva, alzò la mano  in un cenno di saluto.

"Buon giorno, Aldaberon" gli disse con voce serena "Mi chiamo Neko, sono il tuo Gangi. Posso entrare nella tua casa?".

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteWhere stories live. Discover now