1) I VAREGHI

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Lentamente, sbuffando vapore ad ogni passo, Aldaberon scostava i pochi rami che incontrava nella sconfinata foresta di querce e faggi che attraversava da settimane.

Nelle sue terre, molto più a Nord, era abituato alla vita nei boschi.

Anche lassù non era raro entrare in una selva, attraversarla per giorni interi e poi uscirne all'improvviso così come vi si era entrati. Ma mai avrebbe immaginato che potesse esisterne una così vasta.

Il più del tempo lo passava in una penombra umida, incapace di vedere il cielo attraverso le foglie che si chiudevano a una trentina di metri sopra la sua testa.

Tanto erano vicine le une alle altre, che spesso si rendeva conto che aveva piovuto soltanto quando il bel tempo era già tornato. Solo poche, grosse gocce esplodevano sul suolo o sui rami, alle volte schizzandogli il volto.

 A lui questo piaceva, perchè quelle gocce lo portavano lontano.

L'improvviso contatto umido gli ricordava il suo mare, freddo, sconfinato, perennemente in movimento, con gli sbuffi d'acqua salata che sbattevano sulle fiancate delle lunghe, eleganti imbarcazioni della sua gente, I Vareghi, nome che si diedero da sé e che nella loro antica lingua significava: "La Gente Strana".

Gente di mare, ma con i piedi ben piantati nelle foreste, abitavano da tempi immemorabili in una stretta e frastagliata striscia di terra rocciosa chiusa da una parte da scogliere e dall'altra dal mare. Brevi, fresche estati intervallate da lunghi e rigidi inverni era tutto ciò che quella gente conosceva fin dalla nascita. Insenature strette e profonde incidevano la costa, inoltrandosi tortuosamente verso l'interno tra pareti di roccia a strapiombo e improvvisi scogli a filo dell'acqua. Al fondo di quelle insenature, protette dai freddi venti del Nord, vi erano delle spiagge di ciottoli grigi declinanti verso pianori più o meno ampi, sui quali, nei punti più riparati dalle burrasche e più esposti al tiepido sole del Nord, sorgevano i loro villaggi. Tutti uguali, semplici e pratici, non lasciavano nulla alla fantasia. Niente era mai stato lasciato al caso, nei villaggi Vareghi. Nulla che fosse bello, piacevole o superfluo vi trovava posto. Nessun muro, recinzione o palizzata li recintava, perché nulla proteggeva meglio i loro sonni dei profondi fiordi in fondo ai quali si trovavano. Dalla scogliera un solo uomo di guardia vedeva a chilometri di distanza in ogni direzione, ma mai vennero assaliti, perché nessuno salì tanto a Nord quanto loro.

In tutto il continente di Venturia solo loro furono in grado di sopravvivere così a Nord, perché a quelle latitudini solamente chi sapeva convivere con la morte poteva prosperare ed essi vi riuscirono. Da millenni quello era il loro regno incontrastato, del quale andavano fieri e dal quale erano riusciti a trarre il meglio da ciò che vi era in abbondanza: legno, minerali ferrosi e mare.

Abitavano in semplici capanne in tronchi di legno. Solide e calde d'inverno, ospitavano sia uomini che animali, divisi tra loro solo da robusti steccati. Strette aperture orizzontali permettevano di illuminare l'interno quando il tempo lo consentiva, altrimenti venivano sigillate con doppie imposte di legno chiuse sia dall'esterno che dall'interno. Nel soffitto, alto e a falde molto inclinate, vi erano fori per il fumo e per ogni focolare, vi era un nucleo famigliare.

Queste costruzioni avevano cinque focolari ciascuna e le famiglie che le occupavano erano imparentate tra loro. Tutti avevano in comune l'antenato che l'aveva costruita con le sue mani e con i suoi denari. Quindi vi era la Casa dei Nasoni, che discendevano da Erk dal Grande Naso, oppure la Casa delle Giumente, che discendeva da Fildor Faccia da Cavalla e così via. Nemmeno le dimensioni erano lasciate al caso. Queste case erano lunghe cinquanta passi ciascuna e larghe dieci, rettangolari e a due falde di paglia. Erano rozze e fatte per durare, non per essere belle.

La costruzione di una Casa era un evento raro e tutti gli abitanti del villaggio davano una mano all'uomo che ne aveva iniziata la realizzazione. Era un evento così raro che per le generazioni che avevano avuto la fortuna di partecipare a una di esse diventava una ragione di speranza. Una cosa da tramandare e ricordare. Anche a distanza di decenni i vecchi ne raccontavano ancora la storia con la medesima meraviglia di allora e i giovani sospiravano, sognando un tale evento. Perchè ogni nuova casa era una vittoria. Una vittoria per tutti i Vareghi.

LA MASCHERA E LO SPECCHIO-Prima ParteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora