Capitolo 13: E' mio figlio.

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Rigiro la forchetta nel piatto, ma non ho tanta fame.
«Vanessa, dai! Vieni anche tu stasera!» Supplica ancora Kitty. «Ci sarà un sacco di gente.»
Non la guardo.
Rimango a fissare il mio piatto con l'insalata di pollo dentro.
«Non ho voglia.» Borbotto.
Lei sospira.

«Non puoi stare qui da sola per colpa di Max.» Dice ancora. «Sta venendo anche Priya.» Dice, mentre lei esce dalla camera tutta pronta. Indossa i suoi soliti vestiti casti e puri ma è comunque una bellezza.

«Non è per Max. Domani, dopo le lezioni, ho un impegno, vorrei riposare.»
Kitty mi guarda sospettosa.
«Che impegno?» Domanda.

Inizialmente tento di pensare ad una scusa poi rifletto.
«Una lezione di arrampicata con un amico.» Perché mentirle? A Max tanto non importa più e nemmeno a me.

Kitty solleva le spalle, trascina la sua porchette su tutto il bancone e si dirige verso la porta.
«Sicura che non vuoi che resti?» Domanda Priya, accarezzandomi la spalla.

Annuisco sorridendo. Lei ricambia il sorriso e corre svelta verso Kitty. Sono felice che si stia adattando ma vorrei fosse più sciolta.
Non c'è niente di male nel partecipare a qualche festa ogni tanto, ma lei comunque si sente in colpa.

Lavo i piatti e guardo un po' di Netflix. Ma non riesco a smettere di pensare. Pensare e ripensare.
È così difficile scendere a patti con i sentimenti. Quel ragazzo mi destabilizza la mente ed io non so che fare.

Ci siamo lasciati così male che quasi mi sento confusa. Vorrei sapere il motivo vero e proprio di questo suo distacco così da potermene fare una ragione ma pare che una ragione non ci sia. Pensando e rimuginando, non mi sono resa conto che sono quasi le due di notte.

Spengo la Tv e mi preparo per andare a letto.
Mi lavo i denti ma mentre sfrego bene lo spazzolino, sento il campanello della porta suonare. Faccio un balzo in aria talmente forte che mi vola lo spazzolino dalle mani.

Sciacquo la bocca.
Può essere mai Priya? Così presto?
Convinta di ciò, perché non può essere nessun altro, mi dirigo verso la porta, enunciando:
«Già di ritorno?»
Apro la porta e ci trovo Max.

Ha il labbro spaccato e l'occhio nero, ma di quel pestaggio fatto qualche giorno fa, non sembra fresco. Poggiato sulla cornice della porta, mi guarda fisso. Ha uno sguardo cupo e triste.

«Max? Che ti è successo?» Domando.
«Possiamo parlare?» Contraccambia con una domanda.

Lo faccio passare e chiudo la porta dietro di me.
Mi sistemo velocemente i capelli ma ciò non sistemerà la mia situazione.
Devo essere orribile in tenuta casalinga, con la mia solita maglia lunga ed i capelli legati.

È visibilmente agitato.
«Max, che hai combinato?» Domando ancora.

Lui mi guarda.
Ha gli occhi lucidi.
Non l'ho mai visto ne piangere ne star per piangere. Sono sorpresa. Mi avvicino piano.

Si siede sul bracciolo del divano, con la testa fra le mani. Mi avvicino a lui e, per la prima volta, lo abbraccio.
Quella abbraccio che funziona anche da rifugio. Lui affonda la faccia sul mio petto e si lascia andare ad un lungo pianto.
«Tutto quello che faccio, non basta. Non basterà mai. Ho reagito d'impulso e adesso lo perderò! Non me lo faranno rivedere mai più.»
Sta piangendo.

Io sono confusa. Di che parla?
Tento di prendergli il viso con le mani e di guardarlo.
«Che succede, Max?» Domando, dolcemente.
«Non potrò più vederlo..» Borbotta lui.
«Chi?»
«Thomas.» Pronuncia questo nome con un filo di voce. Lo sento farsi piccolo tra le mie mani.
«Tuo fratello?» Domando, ingenuamente.

Lui mi scansa via e butta le cose sul bancone a terra. Salto in aria e lui urla:
«Thomas non è mio fratello! È mio figlio.»

Non so quante volte ho sentito il cuore mancarmi.

Max Level. || Arón PiperWhere stories live. Discover now