Capitolo 1: Una vita diversa dalla tua.

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«Arrivata?»
Sapevo che accendendo il telefono avrei trovato per lo più suoi messaggi. La sua preoccupazione invade i miei pensieri ed io, appena giunta in America, non ho proprio il tempo per queste cose.
«Si.»
Rispondo, nella speranza che adesso mi lasci in pace.

Scorro tra i messaggi della lista e ne trovo anche uno di mio padre.
«Fammi sapere se hai bisogno che qualcuno ti venga a prendere in aeroporto.»
Ignoro il messaggio, scorro il dito verso l'app della musica, cambio canzone e infilo il telefono dentro la tasca posteriore dei jeans.

Anche mia madre risponde al messaggio ma non rispondo, lei è abituata al mio silenzio, non ne soffrirà più di tanto. Anche se adesso è una situazione diversa; adesso sono in America, a chilometri e chilometri di distanza, e non rinchiusa in una camera accanto alla sua.

Mi guardo in giro ma della mia valigia ancora niente. Io voglio solo uscire.
«Ma quanto ci vuole per una valigia? Chi devo pagare?» Sbotto.
Saranno almeno venti minuti che aspetto.
Ma quando finalmente le valige escono allo scoperto, afferro la mia con forza, sollevo il borsone in spalla e m'incammino verso l'uscita di questo stupido aeroporto.

L'aria di Washington mi pervade i polmoni, e persino la mente.
Ancora non ci credo che sono dovuta arrivare fin qui per rendermi conto e soprattutto per scappare da quel appartamento di merda. Ho sopportato Londra abbastanza, e casa mia, e mia madre.
Abbastanza.

A proposito di mia madre. Rientro nella sua chat in cerca dell'indirizzo che mi ha scritto. Rido se penso che volesse scrivermelo su un fogliettino. L'avrei perso ancora prima di uscire di casa. Finalmente trovo un taxi libero e gli comunico l'indirizzo che m'interessa raggiungere.

Fuori piove e la gente ancora raccatta la cognizione di essere giunti già in questo freddo Settembre. Poggio la testa sul sedile e guardo fuori dal finestrino.

Che estate da sballo ragazzi, non mi divertivo così da tempo. Ne sorrido al pensiero.
Con i miei amici tutte le notti a bere e ridere.
Anche se quando mi ubriaco ho proprio un bel problema: ricordo sempre tutto quello che faccio ma mai quello che dico o che mi si viene detto.
Come se fossi lucida di vista ma pecco d'udito.
O almeno, lo dimentico.

Questa città già m'innervosisce, siamo imbottigliati nel traffico.
Giro la vite del mio piercing sull'orecchio ripetutamente, farlo mi tranquillizza.

E in un attimo, arrivo a destinazione.
Bè Vanny, ci siamo. È solo una sosta, giusto per controllare che sia tutto ok e fili via.

Scuoto la testa per scacciare il mio mancato tentativo di auto-controllarmi.
Ho così tanto odio da riversare. Credo.
La porta del pianerottolo è aperta quindi entrare senza dover citofonare è stato molto facile.

Entro di nuovo nella chat di mia madre per recuperare il piano ed il numero della porta. Non salgo troppo con la chat prima di trovare il messaggio.
Io e mia madre non parliamo molto. Quasi zero.

Primo piano, porta 108.

Respiro profondo.
Salgo le scale.
Ecco la porta.
Lui potrebbe essere lì dentro.

Metto le valige accanto alla porta e lascio il borsone appeso sulla spalla.
È una buona idea?
Prendo un altro respiro profondo e busso sulla porta con poca forza. Quasi come confermassi la mia idea di non essere poi così tanto convinta.

Per un attimo il mio cervello mi suggerisce di farmi trovare qui in maniera differente, più sofferta.
Meno aspettata. Sto giocando in casa sua, sicuramente vincerà lui.
Mentre sono presa dal pentimento, la porta si apre di scatto e mi mostra una ragazza:

Biondi capelli raccolti in una coda, grandi occhi grigi, guance arrossate ed espressione confusa. Indossa una maglia nera che la copre fino a metà coscia e dei pantaloni a quadri rossi e grigi. Scalza. Decisamente come fosse a casa sua.
Questa è la Tessa di cui mi parlava mia madre?

Max Level. || Arón PiperWhere stories live. Discover now