Capitolo 19

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Ero sdraiata sul letto della cabina che condividevo con Clara, fissavo il soffitto di ferro, persa in pensieri senza un senso, pensavo a casa, a che cosa stesse facendo mia madre, a cosa pensasse Arianna, che avevo abbandonando nuovamente, solo che ora non era scontato il mio ritorno, o la mia sopravvivenza.
Presi un respiro profondo, per rimandare indietro il groppo che si era formato nella mia gola, e decisi di trovare un modo per distrarmi.
Iniziai a camminare avanti e indietro per la cabina, osservandola nel dettaglio.
Osservai il pavimento in legno, le pareti in metallo, l'armadio e la scrivania del medesimo materiale. Mi avvicinai a quest'ultima e passai la mano su tutta la sua superficie, tutte queste cose le aveva ideate lui, ne ero certa, non era solo un presentimento, lo avevo visto lavorare nel bunker 9, avevo passato ore a guardarlo saldare tra di loro pezzi di metallo, e riuscivo a riconoscere quella manualità e quella precisione che distinguevano il suo operato in modo particolare.
Sentii un vociare e un rumore di passi provenire dal ponte superiore, e così decisi di andare a dare un'occhiata, tanto per distrarmi.

Uscii dalla mia cabina e mi incamminai per il corridoio all'interno della nave, al cui fine si trovava la scala per uscire.
Le pareti erano formate da lastre di ferro collegate con dei bulloni, piccole lampade erano appese al soffitto ad intervalli regolari.

Stavo camminando, quando sentii qualcuno afferrarmi il polso, e mi ritrovai con la schiena contro la parete fredda.
Per un secondo rimasi sorpresa, incapace di fare qualsiasi cosa, ma fu solo un secondo.

"Cosa vuoi Valdez?" Chiesi infastidita
Il mio corpo era bloccato tra il suo e la parete.
Lo osservai negli occhi, ma senza perdermici, avevo sofferto troppo per caderci ancora.
"Te ne sei andata senza dire nulla" disse serio, dei riccioli castani gli ricadevano dolcemente sulla fronte.
"Non mi sembra di doverti dire niente" risposi fredda, scansandomi e riprendendo a camminare, per poi uscire sul ponte.

Mi affacciai al parapetto e osservai il mare che si estendeva sotto di noi, avevamo preso il volo poco dopo il mio arrivo.
Iniziai a guardarmi intorno, e non trovando nessuno decisi di fare un giro per la nave.
Inizia a camminare, prestando attenzione ad ogni minimo particolare, il mucchio di cordame che si trovava lungo il parapetto, la vela di riserva abbandonata lì vicino, i barili contenenti chissà cosa dal lato opposto della nave.
Continuai così finché non decisi di appoggiami all'albero maestro. Appena mi appoggiai contro la superficie di legno sentii qualcosa premere contro la schiena. Mi spostai e mi girai a guardare, si trattava di un piolo.
Alzai lo sguardo e ne trovai un altro, poi un altro ancora, facevano parte di una scaletta, che portava su, fino al posto della vedetta.
Senza pensarci decisi di arrampicarmi.
All'inizio la salita fu difficile, avevo paura di cadere, per fortuna però sentivo l'aria che mi spingeva contro la scala, quasi a formare un cuscino protettivo intorno a me, per tenermi su, e capii di essere io a farlo, anche se involontariamente.
Sorrisi a quella scoperta e acquistai più sicurezza. Inizia a salire sempre più velocemente, finché non mi sembrò quasi di volare, talmente mi muovevo istintivamente.

Arrivata in cima, mi appoggiai al bordo di legno e inspirai l'aria fresca, mi sentivo rinata, libera, senza pensieri, scoprii di avere una passione per l'alta quota, e non era un mistero il perché.
Lì mi sentivo bene, mi sembrava che l'altezza aumentasse esponenzialmente la vicinanza col sole, scacciando in un qualche modo il buio.
Chiusi gli occhi e mi abbandonai contro l'albero maestro, sospirando e lasciandomi sfuggire un mezzo sorriso.

Riaprii gli occhi quando il sole aveva superato lo zenith da tempo.
Mi ero rilassata talmente tanto da essere entrata in un piacevole stato di dormiveglia.

All'improvviso sentii un urlo.

Senza pensarci iniziai a scendere la scaletta per tornare sul ponte.
Ero quasi arrivata a metà strada, quando sentii qualcosa colpirmi il fianco e persi la presa.
Inizia a precipitare, ormai mancavano pochi metri al ponte, ma all'improvviso sentii qualcuno afferrarmi da sotto le braccia.
Lo strappo mi provocò un dolore forte alle articolazioni, che fece uscire dalla mia bocca un gemito soffocato.

A prendermi era stato Jason, se non si fosse accorto di me sarei già spiaccicata contro il legno del ponte, rabbrividii, gli dovevo la vita.

Ho sempre odiato l'idea di essere in debito con qualcuno.

I miei piedi entrarono bruscamente in contatto con la superficie dura che era il pavimento, provocandomi una fitta di dolore che mi risalii lungo la gamba, ma quasi non lo sentii, troppo concentrata ad osservare la gigantesca piovra, dai lunghi tentacoli scuri che si agitavano in ogni direzione, cercando di afferrare un qualunque membro dell'equipaggio.
Ma la cosa più spaventosa di quel mostro gigantesco erano gli occhi, gli innumerevoli occhi, che percorrevano tutti i tentacoli, al posto delle ventose.

"Oh, chissà che problema avrà con la congiuntivite!" Mormorai a Jason, cercando di sdrammatizzare la situazione. Lui mi lanciò un occhiata ammonitrice, ma riuscii a vedere un sorriso cercare di farsi strada sul suo volto.

Riportai il mio sguardo sulla creatura giusto in tempo per vedere un tentacolo che colpiva Hazel, facendola volare fuori dalla nave. Subito Jason corse in quella direzione, evitando a malapena i tentacoli che sembravano essere ovunque.
Sentii dei passi e un brusio, mi girai in tempo per incrociare lo sguardo di Leo che, insieme ad Annabeth, Percy, Clara, Frank e Piper, stava uscendo da sottocoperta.
Riportai lo sguardo sulla piovra e sentii un tentacolo avvolgermi la vita, per poi venire scaraventata fuori dalla nave.

DAUGHTER OF ZEUSWhere stories live. Discover now