CAPITOLO VENTISEI

316 23 7
                                    

Con un sospiro, mi sedetti sul bordo del letto di James. Dall'oblò penetravano i primi raggi di luna, che si scontravano proprio con il suo viso, avvolgendone i lineamenti e dandogli una parvenza al tempo stesso regale e surreale. Pareva una creatura mitologica avvolta dalla magia, un elfo, forse?
Distolsi lo sguardo. Il sole, fuori dall'oblò, era stato ormai risucchiato dai flutti del mare, lasciando dietro di sè nient'altro se non una debole sfumatura purpurea nel cielo sempre più scuro.
All'improvviso udii un lungo respiro affannoso, come quello di chi riemerge dal mare dopo un lungo tempo senza ossigeno.
James si rizzò a sedere di scatto, boccheggiando come per riprendere fiato
— Luna? — ansimò quando mi vide, e il suo petto parve calmarsi. — Cosa... dove? — balbettò.
Io scattai in piedi, lisciandomi i vestiti.
— Sei nella tua cabina, sulla nave. Va tutto bene. Le Sirene se ne sono andate. Tu, ecco... — Mi schiarii la gola. — Ti ricordi, uhm, qualcosa?
Il suo sguardo blu scintillava nell'oscurità. Ma all'improvviso s'incupì, divenendo vacuo.
— Ricordo il canto delle Sirene, il ponte della nave, delle urla... — Aggrottò le sopracciglia con una smorfia, scuotendo la testa. — E poi nulla, buio e freddo.
Non se lo ricordava. Non se lo ricordava.
Una parte di me ne era felice, ma un'altra si sentiva stranamente... delusa? No. Impossibile.
Scacciai quell'eventualità dalla mia mente, come con una mosca particolarmente fastidiosa.
— Nient'altro? — lo incalzai.
— Be'... — James esitò, il suo sguardo si incatenò al mio. — Potresti sederti qui, Luna?
Tentennai nel buio, combattendo con il desiderio di fuggire da quell'aria soffocante e con il bisogno di stare assieme a James. Alla fine feci come mi aveva chiesto e mi sedetti a gambe incrociate in fondo al letto, di fronte a lui.
Il figlio di Apollo mi guardò di nuovo, a lungo, ma io non seppi sostenere il suo sguardo e abbassai il mio sulla catenina dorata appesa al suo collo, che si stava rigirando tra le dita. Ad essa era attaccato un semplice ciondolo ovale, che brillava dolcemente nel buio come un minuscolo sole.
— Ho visto mia madre. — disse James all'improvviso. — E mia sorella.
— Oh. E loro sono...
— Non ci sono più. Da... cinque anni ormai. — Il suo tono di voce era piatto, neutro per un orecchio superficiale, ma non abbastanza da impedire alle acuminate schegge di dolore che le sue parole trasudavano di attraversarmi. Avvertii una fitta al cuore e provai il desiderio impellente di stringerlo in un abbraccio, di affondare le dita nei suoi capelli, di ispirare il suo profumo.
E invece strinsi le mani fra di loro e non osai nemmeno alzare lo sguardo, come se quel dolore non mio fosse una forza oscura che mi opprimeva, impedendomi di affrontarla, di sollevare il capo.
— Mi dispiace — mormorai.
Riuscii a percepire il suo sorriso nel buio. — E di cosa? Non è mica colpa tua.
Finalmente riuscii a guardarlo. I suoi occhi brillavano come zaffiri e perle lucenti scivolavano sul suo volto.
— Come? — sussurrai con voce roca.
James sorrise di nuovo, come se quel sorriso fosse uno scudo contro tutto il male del mondo.
— Erano nel posto sbagliato al momento sbagliato, immagino. — Scosse la testa. — Io non lo so, io... io ero a scuola e quando sono tornato c'era la polizia, l'ambulanza, e loro erano... - La sua voce si spezzò e ora le perle sgorgavano dai suoi occhi come rigagnoli di pioggia sulla terra arsa.
E allora abbandonai tutto, qualunque stupida corazza, qualunque inutile armatura e lo strinsi a me. Piano, delicatamente per paura di romperlo, ma con tutta l'intensità di cui ero capace, e lui si aggrappò alla mia schiena come un naufrago a una scialuppa.
— Uccise da una freccia, Luna — sussurrò contro la mia spalla. — È stato allora che ho capito che c'era qualcosa di più in questo mondo, e me ne sono andato. Ho lasciato tutto alle mie spalle, ho abbandonato la mia casa e ripudiato qualunque parvenza di normalità. E poi Grover mi ha trovato e mi ha guidato al Campo Mezzosangue.
James alzò il volto e si sciolse delicatamente dalla mia stretta. Prese il ciondolo che portava al collo e lo aprì con cautela, tirò fuori la foto al suo interno e la accarezzò con i polpastrelli. Poi volse di nuovo lo sguardo verso di me ed io mi perdetti nelle cupe nubi in tempesta.
— Ho provato a dimenticare, ho provato a lasciarmi quella vita alle spalle. Ma è tutto inutile. — I due volti nella foto sorridevano. Entrambe le figure avevano gli stessi occhi e gli stessi capelli di James, con l'unica differenza che nessun'ombra oscurava il loro sguardo. Il loro ritratto sembrava quasi emanare una fioca luce dorata che infrangeva il buio crescente.
— Tua sorella... era come noi? — chiesi, sperando di non essere troppo invadente.
James scosse la testa. — Quando avevo due anni, mia madre si sposò con un uomo mortale. Si amavano, e dopo un anno nacque mia sorella, Amy. Lei era bellissima, pura, innocente. Non c'entrava nulla con tutto questo. — Io rimasi in silenzio, senza sapere cosa dire. Mi era parso di avvertire una nota di rabbia, di desiderio di vendetta nelle sue parole.
— Non se lo meritava.
— E noi? — domandai a fior di labbra. James mi fissò. — Noi ce lo meritiamo? C'è qualcuno in questo dannato pianeta che si merita quello che gli accade?
L'ombra di un sorriso apparve sul volto di James. — Le Parche sono delle stronze.
— Si divertiranno a ingarbugliare le vite dei miseri mortali — ribattei.
Questa volta un vero sorriso rischiarò il suo volto. Chissà perché, poi: non c'era assolutamente nulla da ridere.
Allungò un braccio per aprire l'oblò e lasciò che il sospiro della brezza salmastra invadesse la stanza. Poi si sedette a gambe incrociate e rimase in silenzio, lasciando che il suo sguardo blu si confondesse con il buio paesaggio.
— Guarda! — disse all'improvviso — La luna. — E la indicò come se non l'avesse mai vista prima. — La luna è grande, stupenda, luminosa.
Seguii il suo sguardo puntato sul bianco occhio che dimorava nel cielo. Non mi sembrò né grande, né stupendo, né luminoso. Solo lontano, triste, pallido.
— La luna è sola. — affermai.
James mi guardò, corrucciando le sopracciglia. — Non è vero. — disse — Ci sono le stelle con lei.
Scossi la testa, ma sorrisi. Mi avvicinai a lui, che mi passò un braccio intorno alle spalle, e posai la testa sul suo petto.
Rimanemmo così, immobili, ad ascoltare i nostri respiri che si mescolavano a quello del vento, a guardare il cielo puntellato di diamanti fuori dal piccolo oblò.
— Sai, — bisbigliò James dopo un po' — in effetti tu le assomigli.



Mi piacciono troppo i capitoli inutili.
Forse è per questo che non riuscirò mai a finire una storia...

You've reached the end of published parts.

⏰ Last updated: Jul 18, 2019 ⏰

Add this story to your Library to get notified about new parts!

𝕷𝖆 𝕱𝖎𝖌𝖑𝖎𝖆 𝕻𝖗𝖔𝖎𝖇𝖎𝖙𝖆Where stories live. Discover now