CAPITOLO OTTO

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La cabina di Ermes era decisamente molto disordinata e caotica.
Le brandine erano tutte occupate, così mi dovetti sistemare per terra con un sacco a pelo preso in prestito. E una volta era ancora peggio, mi  raccontarono, prima che Percy Jackson facesse promettere agli dei di riconoscere tutti i loro figli.
I capi cabina erano due fratelli praticamente identici, che in molti scambiavano per gemelli. Connor e Travis Stoll. Non avevo idea di quale fosse Connor e quale fosse Travis. Avevano un' aria scaltra e malandrina, con il loro naso appuntito, gli occhi  che luccicavano furbi e un sorrisetto da combinaguai stampato sulla faccia. Insomma, decisi di starci alla larga.

Trascinai il mio sacco a pelo in un angolo della parte femminile e gli buttai sopra i vestiti di ricambio che mi avevano procurato. Per lo più jeans, lunghi e corti, magliette a maniche corte del campo e qualche felpa col cappuccio.
Chiesi ad una ragazza di indicarmi il bagno ed entrai.
Mi sciacquai la faccia con le mani e mi sciolsi la treccia. L'immagine riflessa sullo specchio catturò la mia attenzione. Una ragazza di quasi sedici anni ricambiò il mio sguardo.
I capelli castani scuri e ondulati lunghi fino alle scapole, gli occhi ambrati leggermente a mandorla, i lineamenti delicati. Piccola, mingherlina.
Non mi sono mai lamentata del mio corpo, non mi è mai interessato, ma ora, guardandomi allo specchio, mi sembrava di avere un aspetto debole. Non che non avessi neanche un po' di muscoli, dopo tutti gli alberi su cui mi ero arrampicata, dopo tutte le frecce che avevo tirato con un arco contro un bersaglio. Ma in confronto a gente come Annabeth, o Percy, o la ragazza super robusta che avevo visto nel campetto di basket, Clarisse la Rue, be'... apparivo come una bambina indifesa. E non mi piaceva. Non mi piaceva dover dipendere da qualcuno.
Sospirai, poi uscii dal bagno legandomi i capelli in una coda. Feci un passo fuori dalla soglia, ma andai a sbattere contro qualcuno con una maglietta arancione.

E facevano due.
C'era qualcun'altro con una maglietta arancione che voleva che gli sbattessi contro? Evidentemente le magliette arancioni erano come una calamita.
La distanza ravvicinata con i suoi pettorali mi disse che era un ragazzo.
Deglutii e indietreggiai di scatto.
—Scu... scusa.
—Fa niente, colpa mia. Tu devi essere Luna, giusto? — Mi porse la mano dalle dita affusolate — piacere, mi chiamo James Anderson, figlio di Apollo.
— Mmh-mmh — feci, e gli strinsi la mano, decisa a ignorare il brivido che mi percorse la schiena a quel tocco.
Lui mi sorrise dall' alto di una quindicina di centimetri in più di me, e i suoi occhi di un blu intenso si illuminarono. Aveva i capelli castano chiaro tagliati corti, con delle striature di verde. Doveva avere circa la mia età, forse un anno di più.
—Mi ha mandato Annabeth, mi ha detto di farti fare un giro più dettagliato del campo e di farti scegliere un' arma. Magari riesco a presentarti un po' in giro. Un consiglio, prima di andare, evita Clarisse la Rue: anche se da quando sta con Chris si è in qualche modo... — abbassò la voce, come se avesse paura di essere sentito — leggermente addolcita, rischieresti di finire con la faccia nel water.
— La eviterò. — conclusi io.

Perché davanti alla cabina numero 9 c'era un ragazzo in fiamme – letteralmente – che saltellava in giro tentando di spegnersi con le mani? E perché quella ragazza dai capelli color caramello lo guardava ridendo in un misto tra l'esasperato e il divertito invece di prendere, che so, un estintore? E perché...
— OH, CAZZO MA QUELLO È UN DRAGO? — forse l'ultima frase l'avevo detta ad alta voce.
Il ragazzo che prima era in fiamme, si avvicinò ridendo e spargendo goccioline d'acqua dappertutto. La ragazza posò l'innaffiatoio e lo raggiunse. Da vicino potei notare che era molto carina, con i suoi lineamenti delicati, il fisico perfetto, i capelli color caramello sciolti sulle spalle e gli occhi leggermente a mandorla, come i miei.
— Oh, yeah, baby, puoi scommetterci che è un drago! — fece il ragazzo, con un sorriso spavaldo stampato sul volto. Aveva una massa disordinata di riccioli scuri sulla testa e le orecchie un po' a punta, da elfo. Indossava una salopette militare macchiata di olio per motori sopra la maglietta del Campo Mezzosangue e in vita aveva una di quelle cinturone da meccanico con le tasche. —È di bronzo. Sai, l'ho riparato io. Si chiama Festus. Saluta, Festus!
L'enorme drago metallico era accucciato a terra, a occhi chiusi, e sbuffava fumo dalle narici a intervalli regolari. Alla chiamata del padrone non si mosse di un millimetro.
Il ragazzo riccioluto gli lanciò un' occhiataccia. — Che drago pigro.
James intervenne per fare le presentazioni.
— Luna, lui è Leo Valdez...
— Il super figaccione deluxe al vostro servizio, baby — l
oo interruppe Leo — E lei è Calipso, la mia fantastica ragazza, direttamente da Ogigia!
Calipso... Calipso... mi diceva qualcosa... ma certo! Era quella ninfa immortale dell'Odissea intrappolata nell' isola deserta! Ma che ci faceva qui? Pensavo che non potesse essere liberata. Evidentemente mi sbagliavo.
—Tu sei quella Calipso? La Calipso immortale? La Calipso dell' Odissea?
Lei fece un sorriso triste. —Proprio quella. Ma non più immortale, da quando Leo mi ha liberata da Ogigia.
— Prego, Raggio di Sole. — Nonostante il solito tono scherzoso, l'occhiata che Leo le lanciò era dolce. Si vedeva che la amava. E non era una semplice cotta di quelle che ti passano dopo un po'.
Aspetta... ma da quando ero un' esperta in amore?
Rivolsi la mia attenzione a Leo.
— Perché non sei morto?— chiesi, diretta come sempre.
— Oh, vedo che ti hanno raccontato del fantastico eroe che per sconfiggere Gea ha sacrificato la sua vita! Sono commosso — finse di asciugarsi una lacrima invisibile — Allora, vedi: io ero morto, ma avevo programmato Festus per iniettarmi la cura di Esculapio e così...
Evidentemente Calipso notò la mia espressione smarrita, perché interruppe il monologo di Leo.
—Leo, penso che si riferisse a prima, quando eri in fiamme.
—Oh.
La ragazza si rivolse poi a me.
—Leo è figlio di Efesto e ha il raro dono del fuoco.
—Forte.
Sentii la mano forte di James posarsi sulla mia spalla.
Ancora una volta, ignorai i brividi che mi percorsero la spina dorsale.
—Dovrei portarti in armeria.
Andammo in armeria.

𝕷𝖆 𝕱𝖎𝖌𝖑𝖎𝖆 𝕻𝖗𝖔𝖎𝖇𝖎𝖙𝖆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora