CAPITOLO QUATTRO

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Già il fatto delle corna non era normale. Non era assolutamente normale. Poi Grover si tolse i pantaloni.
Ero così stordita che a questo punto non pensai nemmeno di fermarlo.
Poi vidi cosa nascondeva sotto.
Due... zampe. Pelose.
Togliendosi i pantaloni gli si erano sfilate anche le scarpe, mostrando un bel paio di zoccoli caprini.
Daccordo Luna, niente panico. È un sogno. Stai sognando. Tutto qui. Tanto vale stare al gioco.
— Sei per metà... asino? — mi lasciai sfuggire.
— Cosa? No, ti prego, non di nuovo. — Grover sembrava davvero esasperato per la mia affermazione.
— Capra! — sbraitò nella mia direzione.
Agrottai le sopracciglia. — Dovrei offendermi?
— No, voglio dire. Sono per metà capra.
Zampe, zoccoli, corna. Per metà capra.
Satiro.
La parola aleggiò nella mia mente, spiccando sulla marea disordinata di pensieri. Non ero certa del suo significato, ma era abbastanza intuitivo.
— Sei un satiro. — mormorai.
— Grazie! Sì, sono un satiro. Questo ti ha convinto, spero.
Deglutii. — Io...
Non sapevo cosa fare. Era un sogno. Solo un sogno. Giusto?
Avevo già fatto sogni strani. Ma questo era così reale. Anche più delle altre volte.
E, soprattutto, durante i sogni non mi rendevo mai conto di stare dormendo.
Dovevo fidarmi? Ormai ero quasi sicura che non mi stessero prendendo in giro, ma...
Non avevo ancora risposto, quando arrivarono.
Una folata di vento improvvisa fece sbattere la porta alle mie spalle. Mi voltai di scatto e mi resi conto di non avere le chiavi.
Fantastico. Ero chiusa fuori, al buio rischiarato solo dal bagliore lunare e dal lampione in fondo alla via a un centinaio di metri di distanza, in compagnia di due perfetti sconosciuti estremamente strani, misteriosi e inquietanti.
Imprecai a denti stretti.
Poi si udì un ringhio basso, diverso da quello di qualsiasi animale avessi mai visto prima.
Dall'ombra uscì un segugio nero, enorme, grande come un cucciolo di elefante, gli occhi rossi che luccicavano malvagi nella notte, le zanne scoperte affilate come coltelli.
Il mostro emise un altro ringhio e dall'oscurità emerse una mezza dozzina di altre creature come lui.
Un brivido mi corse lungo la schiena. Volevo scappare, rinchiudermi in casa, svegliarmi da quell'incubo assurdo.
Ma non riuscivo a muovermi. Ero come pietrificata dalla vista di quegli... esseri che ero certa, almeno fino a qualche minuto prima, non potessero esistere nella realtà.
Sentii Nico imprecare in una strana lingua... forse arabo? No, greco.
— Segugi infernali — esclamò Grover, una strozzata nota di panico nella voce.
I segugi fecero un balzo avanti. Alcuni attaccarono Nico, che li infilzò abilmente con una spada.
Altri andarono verso Grover, che tirò fuori un flauto di Pan e cominciò a suonare. In principio non capii l'utilità di quel gesto, ma dopo vidi le radici emergere dal terreno spaccando l'asfalto e avvolgersi intorno alle zampe e al muso dei segugi infernali.
Uno di loro invece venne diretto verso di me a grandi balzi. Ero abbastanza sicura che fosse il primo che avevamo visto.
Allungai istintivamente la mano sopra la spalla per prendere una freccia dalla faretra, per poi ricordarmi che le aveva mio padre.
Cercai di arretrare verso la porta, che era a circa tre metri alle mie spalle. Non pensai che, se anche l'avessi raggiunta, non avrei potuto aprirla.
Inciampai e caddi all'indietro, sbattendo violentemente la testa sul gradino della soglia. Con la vista appannata, vidi il segugio infernale balzare su di me.
Era la fine. Sarei morta così, distesa sulla strada, il petto squarciato dagli artigli di una creatura surreale.
Mi veniva quasi da ridere.
Poi, un attimo prima che gli artigli del mostro mi affondassero nella carne, attraverso il velo di nebbia che avevo sugli occhi, vidi la punta di una spada spuntare dal petto peloso del segugio infernale, che si dissolse immediatamente.
Una mano gelata mi afferrò il braccio.
Dopodiché, il mondo si dissolse in un gelido vortice di oscurità.

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