CAPITOLO VENTITRÉ

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— Che succede? — urlai per sovrastare il frastuono.
Gli altri si erano precipitati in coperta e ora si guardavano attorno all'erta, le mani alle armi.
Non riuscii a farne a meno: il mio sguardo si posò subito su James. Aveva gli occhi arrossati e i capelli più arruffati del solito. Il suo volto era segnato dalla stanchezza, come se non fosse riuscito a dormire. Abbassò lo sguardo, evitando di incrociare il mio.
— Ci attaccano. — disse Alyx, e ancora una volta mi stupii di come fosse in grado di mantenere la calma in ogni situazione. La trovavo irritante, eppure, mio malgrado, per qualche motivo non riuscivo a fare a meno di ammirarla.
— Sappiamo che mostri sono? —  chiese Jazmine. Impugnava due sottili pugnali a doppia lama, uno per mano.
Alyx tacque, in ascolto.
Il fischio si fermò, e per un attimo la nave fu avvolta da un silenzio innaturale.
Poi, un debole canto iniziò ad aleggiare nell'aria, come portato dal vento. Si avvicinava sempre di più, diventando a mano a mano più forte e intenso.
Ma non era un semplice canto. Penetrava nelle viscere, avvolgeva la mente, inebriava i sensi.
Non aveva parole, ma tutto nella sua dolce e suadente melodia sembrava dire: “Vieni da me, sono tutto ciò di cui hai bisogno.”
Prometteva una vita normale, una famiglia che mi volesse bene. Riuscivo quasi a vedere, come in un miraggio in lontananza, mio padre che mi sorrideva e mi porgeva la mano.
Mi dispiace. Ti voglio bene.” Erano così reali, quelle parole, che le sentii invadere la mia mente, e non riuscii più a pensare ad altro.
Il mondo attorno a me era sparito. I suoni ovattati, le immagini sfuocate. Esisteva solo quel canto meraviglioso, dolce e ricco di promesse.
Era meglio così, mi dissi. Se quel mondo in cui avevo vissuto nell'ultima settimana fosse sparito, sarei riuscita di nuovo ad avere una vita normale.
Sentii a malapena qualcuno afferrarmi il braccio, ma i miei sensi erano confusi e distanti, ammaliati da quella melodia tanto bella quanto invadente.
Mi sentivo leggera, come se stessi galleggiando nell'aria, le preoccupazioni che abbandonavano il mio cuore. Senza nemmeno accorgermene, avevo mosso un passo in avanti, verso il parapetto, verso l'origine della musica.
Slam.
Un dolore acuto attraversò la mia guancia sinistra.
Sbattei le palpebre, e notai Alyx in piedi di fronte a me.
Mi ha appena... mollato uno schiaffo? Sentivo la mente come intorpidita e faticavo a elaborare ciò che accadeva intorno a me.
Alyx stava muovendo le labbra, ma avevo le orecchie invase da quel canto tanto delicato quanto assordante e non riuscivo a sentire le sue parole.
Mi afferrò per le spalle, facendomi male, e mi scosse con forza. I suoi occhi incrociarono i miei con così tanta potenza da farmi sussultare. Ambra nell'ambra. Ancora una volta.
Fu come se mi avesse risvegliato da un sogno. Finalmente riuscii a captare le sue parole.
— ...sirene... tappatevi le orecchie!
Mi voltai, vedendo che anche gli altri avevano un aria confusa e leggermente sognante.
Il canto continuava, insistente. Le sue mani invisibili afferravano la mia coscienza e tentavano di trascinarla con loro per annegarla in un mare di illusioni.
Non riuscivo a fare un pensiero concreto, venendo continuamente distratta dalle promesse della melodia.
Una vita normale...
Una famiglia che mi volesse bene...
Niente dei, niente imprese pericolose. Solo io, il mio arco e il bosco, come ai vecchi tempi.
Mi chiesi come facesse Alyx a rimanere così imperturbabile. Era come se fosse morta. Davvero non aveva nessun desiderio, nessuna emozione?
— Ehi, tu! Figlia di Ecate! — urlò — Usa la tua magia!
Jazmine la guardò con occhi vacui, sbattendo le palpebre come se stesse cercando di svegliarsi.
Poi scosse con decisone la testa e parve tornare in sé. Ci riuscì da sola, e non potei fare a meno di invidiare la sua forza d'animo.
Le sue mani vennero circondate da fumose spirali di luce viola, che si espansero e avvolsero il suo corpo in un turbine.
Quando sciamarono, inizialmente non notai alcun cambiamento. Poi scorsi che attorno al suo capo pareva essersi formata una specie di bolla d'aria, simile a quella di un astronauta.
Jaz toccò la fronte di Max e subito la bolla si formò anche attorno alla testa del figlio di Ares. Il ragazzo sbattè le palpebre, confuso, e si guardò attorno come per capire dove si trovasse.
Jazmine venne verso di noi e ripeté l'incantesimo, il volto una maschera di concentrazione.
Subito la melodia svanì e abbandonò la mia mente e la mia anima, lasciandola pesante come un macigno. Nonostante questo, mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo.
— Sirene? — domandai con un filo di voce.
— Non devi ascoltare ciò che dicono. — Alyx parlò con durezza. — Sono creature subdole, manipolatrici. Attraggono i marinai in mare e li trascinano con loro negli abissi, facendoli annegare.
— Ma... — Aggrottai la fronte. Alla parola sirene, non riuscivo a non pensare a delle graziose fanciulle con una coda di pesce dalle squame lucenti e un reggiseno di conchiglie.
— Le sirene della mitologia greca non sono quelle che pensi tu. — disse Alyx, come se mi avesse letto nel pensiero. — Spera solo di non incontrarle per scoprirlo.
La voce di Jazmine mi distrasse di nuovo. — James! A- aspetta!
Non riuscivo a farci niente. Ogni volta che sentivo il suo nome, era come se una scarica elettrica mi risalisse lungo la spina dorsale. E mi odiavo, cavolo se mi odiavo per questo.
Mi girai, appena in tempo per vedere James allontanarsi bruscamente dalla figlia di Ecate. — Lasciami andare! — biascicò. Aveva un tono che non gli avevo mai udito prima, al tempo stesso arrabbiato e confuso, come quello di un ubriaco.
Jaz barcollò leggermente all'indietro, spiazzata dallo strano comportamento del figlio di Apollo.
Max allora si fece avanti, mettendosi davanti alla propria ragazza. Tese le mani in avanti, i palmi rivolti verso l'esterno. — Ehi, amico. Si può sapere che diavolo ti prend...
Quando James si voltò, riuscii per la prima volta a vedere i suoi occhi. Non erano più azzurri come un cielo sereno, e nemmeno blu come un mare in tempesta. Erano opachi, spenti, privi di qualsiasi emozione. E nel momento in cui scattò, vennero attraversati da un lampo di follia e per un attimo divennero lo sguardo di chi non sa ciò che fa, di un ubriaco inconsapevole delle proprie azioni. Ed era proprio ciò che era James in quel momento: ubriaco di quel vino sonoro che inebriava la mente e il cuore.
Quando il pugno raggiunse il volto di Max, si sentì il crack delle ossa che si infrangevano.
Il figlio di Ares indietreggiò reggendosi il naso sanguinante e bofonchiando alcune imprecazioni soffocate.
Non riuscivo a staccare gli occhi da quelli di James. Il suo sguardo brillava di follia, brillava di una rabbia mai sfogata, e mi resi conto con un brivido che il canto delle sirene non l'aveva creata, ma era stata semplicemente la chiave di quella gabbia che prima la imprigionava. E che James Anderson stesso aveva costruito.
Da quel momento in poi, quando i miei occhi incrociarono i suoi per una frazione di secondo, tutto si fece confuso.
Lo vidi voltarsi e correre verso il parapetto. Vidi i suoi capelli striati di azzurro muoversi nel vento come le onde del mare. Vidi, mentre saltava, la sua maglietta nera alzarsi leggermente, lasciandomi scorgere un lembo della pelle abbronzata della sua schiena. Vidi gli schizzi di acqua salata, preceduti dallo splash di un corpo che infrange la superficie del mare.
Sentivo la voce di Jazmine che urlava prima il nome di James e poi il mio, e mi chiesi perchè.
Fu solo quando sentii il terreno mancarmi da sotto i piedi, il vuoto trascinarmi verso il basso e l'ossigeno abbandonare i polmoni, che capii.
Ma era troppo tardi, perchè le mani del mare mi avevano già stretta nella loro gelida morsa.

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