CAPITOLO VENTI

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Spalancai gli occhi sulle assi di legno che mi sovrastavano.
Sentivo i polmoni in fiamme, e dovetti prendere diverse boccate d'aria prima di tornare a respirare. Il cuore mi batteva talmente forte che temetti sarebbe potuto schizzarmi fuori dal petto da un momento all'altro.
Quando ero piccola, mi capitava molto spesso di avere incubi.
A volte mi svegliavo, nel cuore della notte, e nel buio della mia stanza mi sembrava di soffocare. Mi pareva di vedere le pareti rimpicciolirsi intorno a me, fino a circondarmi completamente, stritolandomi, schiacciandomi, opprimendomi, per poi trascinarmi nell'oscurità.
Ero sempre stata un po' claustrofobica, per questo mi sentivo molto più a mio agio nei boschi, all'aria aperta, senza mura che mi imprigionassero.
Ricordo che, da piccola, riuscivo a trovare sollievo dopo un incubo solo raggiungendo la finestra e spalancandola, nella speranza di trovare la luna a vegliare su di me con il suo grande occhio luminoso. Mi infondeva speranza, mi rassicurava, mi faceva sentire come se ci fosse sempre qualcuno a proteggermi dall'alto.
Ora che avevo scoperto che quel qualcuno esisteva davvero, però, non ero più sicura che fosse lì a proteggermi; invece di rassicurarmi, la cosa mi infondeva ancora più terrore.
L'ironia della sorte, giusto?
Continuai a sforzarmi di fare piccoli respiri.
Nella mia cabina nella nave non c'erano finestre.
Era tutto buio, e quell'oscurità, in effetti, mi ricordava molto come mi sentivo dentro.
Non c'erano finestre spalancate, non c'erano porte aperte per scappare dal destino.
Non c'era nessuno a proteggermi dall'alto.
I miei amici contavano su di me, i semidei al Campo contavano su di me, vite innocenti contavano su di me. Perfino mia madre, che era una dea immortale, contava su di me.
Mi portai le ginocchia al petto e le abbracciai, affondandovi il volto.
Non volevo piangere, non mi piaceva. Era una cosa che mi faceva sentire debole.
Ma era difficile.
Avrei voluto urlarlo in faccia a tutte quelle divinità immortali, lassù nell'Olimpo: la loro realtà era troppo complicata per me.
Come facevano tutti quei semidei al Campo Mezzosangue? Come facevano ad accettare... ad accettare tutto questo senza dare di matto? Come ci riuscivano? Come riuscivano ad essere degli eroi?
No, io non ero come loro.
Non ero come Percy, come Annabeth, come Leo.
Non ero come Alyx. Non ero come Jaz, non ero come Max.
Non ero come James.
Sollevai lentamente il viso dalle ginocchia, strofinandomi con rabbia gli occhi lucidi. Gettai di lato le coperte, e buttai le gambe giù dalla brandina.
Mi alzai in piedi, cercando a tentoni la porta della mia cabina, e, quando trovai la maniglia, uscii nel corridoio buio.
Avanzai tastando le pareti per cercare di non cadere, e, forse, lo ammetto, anche per assicurarmi che non si restringessero al mio passaggio.
Il percorso mi parve infinito.
Immaginai di percorrere i tunnel bui dentro di me, per arrivare a una risposta.
Forse, uscendo all'aria aperta, sarei riuscita a schiarirmi le idee. Speravo di sì, ma sapevo anche che un po' di aria fresca non era in grado di fare miracoli.
Fu solo quando finalmente sollevai la botola che conduceva sul ponte, e l'aria profumata di salsedine mi colmò le narici, che mi resi conto di aver smesso di respirare durante tutto il tragitto dalla mia camera.
Alzai lo sguardo al cielo, e la luna era lì.
La stessa luna che la me di dieci anni prima vedeva dalla finestra della sua cameretta.
Forse era l'unica cosa della mia vita a non essere cambiata.
Un soffio leggero di vento mi spostò un ciuffo di capelli sugli occhi, e io respirai a pieni polmoni quell'aria salmastra, un sorriso che piano piano mi incurvava le labbra.
Le onde lambivano dolcemente i fianchi della nave in un movimento quasi ipnotico, come una danza, mentre questa avanzava lentamente sulle acque buie. Andava da sola, senza bisogno di nessuno a timonarla, proprio come un vascello fantasma.
Feci un paio di passi sul ponte, quando dei singhiozzi soffocati mi giunsero alle orecchie.
C'era qualcun'altro sveglio, quella notte.
Una figura di spalle, appoggiata al parapetto della nave, i capelli castani le cui ciocche rosso sangue spiccavano nell'oscurità come ferite aperte.
All'improvviso, tutti i miei pensieri, tutte le preoccupazioni che mi affliggevano, svanirono.
Mi avvicinai trattenendo il fiato, posando come in trance un piede nudo dopo l'altro sulle assi di legno del ponte.
Arrivai a un paio di metri alle sue spalle, e lui non si era ancora accorto di me.
Non so perché non feci nulla per richiamare la sua attenzione.
Forse avevo paura della sua reazione, o forse ero semplicemente incantata dalle sue spalle larghe, che tremavano leggermente scosse dai singhiozzi soffocati, o dal modo in cui i muscoli della sua schiena si tendevano sotto la maglietta bianca, o da come i suoi capelli danzavano accompagnati dalla brezza, adagiandosi sulla sua nuca in un modo tanto disordinatamente perfetto da sembrare studiato.
E, sì, mi sarei volentieri presa a schiaffi per aver avuto quei pensieri.
Un luccichio catturò la mia attenzione. Proveniva dalla sua mano, nella quale stringeva quello che sembrava un medaglione d'oro. Era aperto, mostrando la foto di una donna e di una ragazza al suo interno. Non riuscii a scorgere molto, ma avevano entrambe gli stessi capelli dorati e lo stesso sorriso luminoso di James.
Una perla scintillante cadde dal suo volto, e si infranse sul dorso della sua mano, proprio accanto al medaglione.
Non riuscii a trattenermi.
James... — sussurrai.
Si irrigidì, come se fosse stato pietrificato, e richiuse di scatto il ciondolo. I volti della donna e della ragazza scomparvero dietro la superficie metallica.
Si girò verso di me, mostrandomi i suoi occhi blu che annegavano in un mare di rosso, cerchiati com'erano dalle profonde occhiaie.
Mi lanciò lo sguardo fugace di un cervo in trappola, per poi nascondere il volto dietro un braccio, come se non volesse farsi vedere in quelle condizioni.
— Io... — Non mi lasciò finire la frase. Mi passò accanto velocemente, lasciandosi dietro una lieve folata di vento, e scomparve sottocoperta.
All'orizzonte, le tenebre cominciavano a dissiparsi, e il cielo si tingeva del viola soffuso dell'alba.
— Aspetta... — mormorai.
Lanciai un'ultima occhiata al punto in cui il mare si scontrava col cielo, e poi mi decisi a seguirlo.
Ero sempre stata una persona solitaria. Non avevo mai avuto bisogno degli altri. Solo ora che stavo per tornare ad essere sola, mi rendevo conto di quanto in realtà avessi bisogno di qualcuno, in quel momento, e nella mia vita.
— Ehi, James... — Tentai di mantenere basso il mio tono di voce mentre lo seguivo barcollando nel corridoio, per non svegliare gli altri. — Perché non mi parli? — La mia voce si incrinò, e mi sentii una stupida. Cosa me ne fregava di un ragazzo che conoscevo a malapena?
Lui si fermò sulla soglia della sua cabina.
— Senti, Luna. — Si voltò lentamente verso di me. Non l'avevo mai visto così. Stanco, arrabbiato, distrutto, come se fosse sul punto di andare in mille pezzi da un momento all'altro. Il cielo limpido nei suoi occhi era stato inghiottito dagli abissi marini. — Perché tu non ti fai gli affari tuoi, invece?
Quelle parole mi colpirono come uno schiaffo.
— Ti ho mai chiesto qualcosa che tu non volessi dirmi?
Indietreggiai sotto la spinta di quella barriera che si stava ergendo tra di noi.
— Perché non lasci perdere? — Il suo tono di voce era più stanco che arrabbiato, ma per me era come se stesse urlando. — Ti prego, lasciami da solo. — Una lacrima silenziosa solcò la sua guancia. — Non fare domande. Non ti chiedo altro. Per favore, Luna.
I nostri sguardi si agganciarono e poi si lasciarono andare, e lui scomparve nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle.
Mi avvicinai, posando la fronte sulla superficie in legno, e lasciandomi scivolare per terra.
Dall'altro lato, mi parve di sentire il respiro di James. Eravamo così vicini, eppure non eravamo mai stati così lontani.
Finalmente, permisi alle lacrime di cadere.

𝕷𝖆 𝕱𝖎𝖌𝖑𝖎𝖆 𝕻𝖗𝖔𝖎𝖇𝖎𝖙𝖆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora