CAPITOLO DICIOTTO

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- Un avvertimento, dici? - Jaz serrò le braccia al petto, assumendo il solito tono ostile che utilizzava quando parlava con la Cacciatrice. - E da parte di chi, sentiamo?
- Questo non lo so. - rispose l'altra, senza scomporsi.
- Potrebbe avere ragione. - mi intromisi io, afferrando la mano che James mi porgeva per rialzarmi in piedi. - O, almeno, è quello che mi ha detto l'arpia...
- Ti ha parlato? - fece James, sorpreso. - E cosa ti ha detto?
- Non molto, in realtà. - Cominciai a rigirarmi distrattamente attorno a un dito un ciuffo di capelli, sfuggiti dalla coda. - Ha detto qualcosa di un "suo signore"... - esitai - E... mi ha riconosciuta. Penso che chiunque sia questo "signore", sia lo stesso che tiene prigioniera mia ma... voglio dire, Artemide. - Tirai fuori, da sotto il colletto della maglietta, il ciondolo a forma di mezzaluna e lo strinsi tra le dita, come se, in questo modo, sarei riuscita a proteggerlo. - Voleva il Diadema. - conclusi, buttando fuori il fiato.
- Quindi - ricapitolò Max gesticolando animatamente. - Quello che stai cercando di dire è che tutti quei fottuti uccellacci sono stati mandati dallo stesso tizio - di cui, tra l'altro, non sappiamo neanche il nome - che tiene prigioniera la dea che dobbiamo andare a salvare.
- Una cosa del genere. - risposi.
- E li ha mandati per fregarti il ciondolo.
- Si direbbe di sì.
- E per avvisarci.
- Di cosa succederà se tentiamo di salvare Artemide. - conclusi, annuendo stancamente.
Max socchiuse gli occhi, un'espressione di profonda concentrazione che gli si formava sul volto. Ci fu una pausa, prima che parlasse di nuovo.
- Ho fame. - dichiarò.

Sbattei le palpebre, come mi avessero appena trascinata fuori da un sogno. - Cosa?
Jazmine si sbatté con forza il palmo della mano contro la fronte, esalando un teatrale sospiro esasperato.
Max la guardò con tanto d'occhi, come se non capisse il motivo della sua reazione. - Che c'è? - sbottò, mettendo il broncio. - È vero!
La sua ragazza provò a ribattere: - D'accordo, ma non mi sembra il momen...
- In effetti Maximilian ha ragione. - la interruppe James. Diede una pacca sulla spalla possente dell'amico, che nel frattempo stava protestando a denti stretti: - Ti ho detto migliaia di volte di non chiamarmi così...
- Anch'io ho un certo languorino. - affermò James, ignorando bellamente la sua ultima frase. - Andiamo a mangiare qualcosa! - Concluse allegramente, facendo illuminare il figlio di Ares. I due si diressero verso la cucina parlottando tra loro.
Jaz rimase a guardarli con aria affranta, prima di decidersi, con un ultimo sospiro, a seguirli.
Alyx scosse il capo, guardando con disappunto nella loro direzione. - Maschi. - borbottò in tono sprezzante, come se fosse l'insulto peggiore del mondo. Poi, senza aggiungere altro, si voltò nella direzione opposta, scomparendo sottocoperta.
Mi ritrovai sola sul ponte della nave.
Non ero certa del motivo, ma sentii le mie labbra piegarsi in un sorriso.
Scossi a mia volta la testa, prima di raggiungere gli altri in cucina.
Lo stomaco mi brontolò dalla fame.
Aveva davvero ragione Max, in effetti.

Non subimmo altri attacchi, nel pomeriggio.
Sarebbe quasi sembrata una normale vacanza tra amici, se non fosse stato per quel sottile velo di preoccupazione che ci avvolgeva tutti, e che ognuno di noi tentava invano di nascondere dietro un sorriso stentato, dietro una risata forzata.
Dopotutto, era normale essere tesi, mi dissi più volte durante il pomeriggio; per James, Max, Jaz e, ovviamente, me quella era la prima missione. E il fatto di essere appena stati attaccati da dei mostri di certo non aiutava.
Dopo cena, ci sedemmo tutti sul ponte della nave, e, non ero nemmeno sicura del perché, a un certo punto cominciammo a parlare della nostra vita.
Immaginai che, in effetti, per stringere amicizia con qualcuno, conoscersi meglio fosse un buon punto d'inizio.
E, perché no, probabilmente anche combattere contro uno stormo di arpie avrebbe potuto esserlo.
Non ero molto pratica in questo campo.
- Mio padre vive in Giappone. A Osaka. - Jazmine tese le mani sopra il piccolo falò attorno al quale eravamo radunati. Le sue dita emanarono sottili volute di nebbia rossa, e le fiamme sprizzarono scintille viola, verdi e scarlatte. - Ci ho vissuto anch'io, fino a quando non è venuto un satiro del Campo Mezzosangue a prendermi, circa un anno fa. Devono aver fatto un po' di fatica a trovarmi, immagino; per questo sono arrivata al Campo così tardi. Il Campo Mezzosangue è fantastico, davvero... però mio padre mi manca. - ammise la ragazza, una punta di nostalgica malinconia nella voce. - Mi piacerebbe molto tornare a casa... - sospirò, gettando la testa all'indietro, verso il cielo stellato sopra di noi. - ma è così lontano. Un giorno ci tornerò, comunque. - Sorrise, e i suoi occhi scintillarono come mica nel buio. - Anzi, no. - Batté le mani una volta, con espressione determinata. - Ci verrete anche voi. Ci andremo tutti insieme!
- Oh, ma sì certo! - commentò Alyx con una finta vocina smielata. - Andremo tutti insieme in Giappone, e i mostri non ci attaccheranno mai più, e noi vivremo per sempre felici e contenti! Evviva l'amicizia! - esclamò con sarcasmo. Sbuffò, attirandosi le lunghe gambe flessuose al petto e circondandole con le braccia. - Disgustoso. E soprattutto falso.
Fui tentata di chiederle se si fosse unita a noi solo per criticare, ma quello era un avvenimento talmente raro che decisi di lasciar perdere.
Per un momento sul volto di Jaz, seminascosto nell'ombra, apparve un'espressione ferita. Questa volta la Cacciatrice aveva decisamente esagerato.
A volte non capivo che problemi avesse. Insomma, lo sapevamo tutti. Sapevamo di essere semidei, sapevamo che non c'era via di fuga a questo. Non c'era alcun bisogno che ce lo ricordasse.
La figlia di Ecate si affrettò a ribattere:- Non dovresti avere una vita immortale, Miss Simpatia? - la provocò. Era seduta alla mia destra, mentre Alyx sedeva tra le ombre emanate dalle fiamme alla mia sinistra, così dovette sporgersi davanti alla mia spalla per guardare la Cacciatrice. - Perché dici di aver vissuto a lungo, ma in tutto questo tempo nessuno ti ha mai insegnato qualcosa sull'essere amabile con il resto del mondo?
Alyx non rispose, si limitò a fissare la danza della fiamme colorate, che si riflettevano nei suoi occhi ambrati. Le donavano. Davano al suo sguardo una vitalità altrimenti assente.
- Tornando al discorso di prima. - ricominciò Jaz, senza riuscire a cancellare del tutto dalla faccia un'espressione gongolante per la presunta vittoria verbale. - Max, invece, torna a casa durante l'anno. Vive in Texas, con sua madre e... quanti fratelli?
- Quattro. - borbottò Max in risposta.
- Tutti semidei? - mi sorpresi.
- No. Solo io. - Max pareva riluttante a toccare quell'argomento. - Prima di conoscere... il suo attuale marito, mia madre era nell'esercito. È lì che ha conosciuto Ares. I dettagli li lascio alla vostra immaginazione. - concluse con un ghigno sarcastico.
- Uhm... sono a posto così, grazie. - borbottai.
Per un istante, provai un inspiegabile moto di rabbia nei confronti degli dei, di queste potenti e immortali creature che parevano provare gusto nell'infiltrarsi nelle vite dei poveri mortali, e scovolgerle del tutto, in modo irreparabile. Come quando rompi un vaso di ceramica. Magari alla fine riuscirai a rimetterlo a posto, ma le crepe rimarranno, e resteranno lì per sempre, a ricordarti del tuo errore. A ricordarti che quel vaso non sarà mai più come prima.
I miei pensieri si rivolsero a mio padre, per la prima volta dopo giorni in cui avevo tentato con tutta me stessa di tenere chiusa quella porta nella mia mente.
Mi resi conto di averlo sempre criticato, senza mai provare a mettermi nei suoi panni.
Forse lui voleva solo una vita normale. Continuare a essere un mortale qualunque, sposarsi, forse; avere una vera famiglia. Dei figli normali.
Con una morsa dolorosa al petto, come se una mano mi avesse afferrato il cuore e lo stesse stritolando, capii di essere l'unico ostacolo alla sua vita perfetta.
Non era una benedizione, quel sangue divino che ci scorreva nelle vene. Era un veleno mortale.
- E tu, Luna? - la voce di Jazmine mi richiamò dai miei pensieri.
Sbattei le palpebre nel buio, confusa. - Io, be'... - Esitai, incespicando con le parole. - Immagino sappiate che vengo dall'Italia...
- E sai fare la pizza? - si interessò Max.
- Più o meno...
- Mi sono sempre chiesta... - intervenne Jaz. - Il tuo cognome non è Wolfson?
- Sì, infatti mio padre è nato dagli Stati Uniti. Anch'io, in realtà. Non so molto della sua vita passata, ma dalle varie cartoline che conserva ancora, ho capito che era uno che viaggiava. Ed è così che ha conosciuto Artemide, credo, ma non so nemmeno dove, di preciso. Poi si è trasferito nel nord Italia, assieme a me, e da allora non si è più mosso, se non per andare da casa al lavoro.
Seguì un lungo silenzio. Le fiamme magiche non emettevano alcun rumore. Lo scrosciare delle onde continuava, inesorabile, accompagnato dal vento che sibilava lieve contro le vele.
Immaginai gli altri pensare le stesse cose che stavo pensando io, e cioè che le nostre vite, per quanto diverse, avevano tutte un punto in comune: gli dei.
Per una volta, fui io a spezzare il silenzio; una cosa non da me, in effetti. In un secondo momento mi chiesi perché l'avessi fatto, ma ormai era troppo tardi. - James? - lo chiamai. Non aveva ancora parlato fin'ora, il che era decisamente strano. Era rimasto a fissare le fiamme, l'espressione cupa alimentata dalle ombre che danzavano sul suo viso.
Lui ebbe un attimo di esitazione, prima di rispondere. Sollevò lo sguardo. - Sì?
- E... be', la tua famiglia?
Un secondo dopo che quelle parole mi uscirono dalla bocca, avrei voluto tapparmela con le mani.
Non avrei dovuto chiederlo, tantomeno in maniera così indelicata.
Ero stata una stupida, mi ripetei mentalmente, una stupida.
Non riuscivo a vederlo, ma lo sentii trattenere bruscamente il fiato nell'ombra.
Si alzò in piedi di scatto, e la sua figura scura si stagliò contro i raggi argentati della luna.
- Mi... mi dispiace. - borbottò frettolosamente. - Io... ho sonno. Vado a dormire. - E, attraversato il ponte a grandi passi, svanì sottocoperta.
Mi alzai anch'io, la voglia di colpirmi con qualcosa che si faceva sempre più forte.
- Ecco... ci risiamo. - sospirò Max. - Il secondo lato di Anderson torna in azione.
- Ehi. - Jazmine mi afferrò il braccio, parlando con dolcezza. - Fa così con tutti, tranquilla. Lascia perdere. Vedrai che non ce l'ha con te. Si comporta così anche con noi, quando proviamo ad accennare al passato.
- Io... mi dispiace. - mormorai. - Non lo sapevo.
- Non preoccuparti. - ripeté.
Liberai il braccio dalla sua presa. Le sue parole non erano riuscite a farmi sentire meno stupida. Avevo parlato senza pensare, ecco tutto. Era colpa mia.
Accennai un debole sorriso, ma non ero sicura che gli altri riuscissero a vederlo nel buio. - Penso che andrò a dormire anch'io. Buona notte.
E, senza aspettare risposte, seguii le orme di James all'interno della nave.
Alle mie spalle, le fiamme magiche si spensero, e anche il ponte della nave venne inghiottito dalle ombre.

Il corridoio era silenzioso e buio, tanto che dovetti farmi strada tastando le pareti con le mani.
Quando arrivai davanti alla stanza di James, mi fermai, trattenendo il fiato.
Dall'interno della sua cabina non proveniva nessun rumore.
- Buona notte... - sussurrai.
Nessuna risposta.
Sentendomi come se mi stessero rigirando un pugnale nel petto, proseguii verso la mia stanza.

Mi lasciai cadere di peso sul letto, facendo gemere le doghe.
Sospirai, mettendomi distesa, e fissai le assi di legno sopra di me.
Mi piaceva James? Questa era la domanda che spiccava nella mia testa tra l'intrico di pensieri. E più mi ripetevo che non era il momento adatto per certi pensieri da ragazzina alle prese con la prima cotta, più tentavo di seppellirlo, ecco che questo tornava a galla, come un pezzo di legno nel mare, più insistente di prima.
Forse dovevo semplicemente ammetterlo, e poi se ne sarebbe andato.
Sì.
Sì, forse mi piaceva.
E avrebbe dovuto essere una cosa bella, no? "L'amore", non era il sentimento tanto decantato per la sua bellezza?
E allora perché stavo così male?
Forse perché ero una stupida, ricordai a me stessa.
Sì, probabilmente era per questo.
Scossi la testa nel buio, per poi raggomitolarmi tra le lenzuola.
Sono proprio una stupida, pensai prima di chiudere gli occhi.

Ho finito gli esamiiiih!!!
Non so perché ve l'ho detto, dato che non vedo come potrebbe interessarvi, comunque ora cercherò di pubblicare un po' più spesso.
Almeno ci proverò, insomma.
Non potete pretendere tanto.
Okeh, ciao!

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