CAPITOLO VENTIQUATTRO

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All'inizio non sentii altro che freddo.
Freddo. Buio.
Annaspai in cerca d'aria, ma l'ossigeno non arrivò ai polmoni. Al suo posto, solo gelida acqua salata che intasò ogni mia via respiratoria.
Mi guardai disperatamente intorno, ma l'unica cosa che riuscivo a vedere era il buio. La luce sopra di me era sempre più flebile, la volta lontana di un pozzo infinito.
Cercai di agitare le braccia e le gambe, mi sforzai di raggiungere di nuovo la superficie, ma l'acqua scura mi scivolava invano tra le dita, il buio mi trascinava giù, sempre più giù.
Chiusi gli occhi.
L'acqua salata bruciava nei polmoni.
Cosa stava succedendo?
Mani invisibili mi afferravano e mi tiravano verso il fondo.
Cosa stavo facendo?
Perchè ero lì?
Mi abbandonai, inerme, a quelle gelide mani, mentre il silenzio mi avvolgeva come una pellicola e tutti i rumori esterni scivolavano via, verso l'alto, sostituiti da un senso di calma irreale. E i polmoni non mi facevano più male, e io sprofondavo verso l'ignoto, mi lasciavo cadere, giù, giù, sempre più giù.
E, d'accordo, andava bene così. Perchè sarebbe dovuta andare diversamente, dopotutto? Non aveva senso. Niente aveva più senso. La mia vita, tutto quello in cui credevo. Nessuno avrebbe sentito la mia mancanza. Che motivo avevo di...
Poi ricordai, e fu come se Alyx mi avesse appena tirato uno schiaffo.
Ricordai perché mi ero tuffata, e l'adrenalina tornò a scorrere nelle vene come se avessi appena messo il dito nella presa della corrente.
James.
Avvertii una scossa alla spina dorsale e un calore soffuso nel petto.
Spalancai gli occhi mentre boccheggiavo di nuovo. Ma questa volta, non fu acqua salata a invadere i miei polmoni.
Aria. Respiravo di nuovo. Il sollievo mi sbocciò nel petto e per un momento non riuscii a pensare ad altro se non che, cavolo, ero ancora viva.
Ma com'era possibile?
E poi, James, una vocina nella mia testa continuava a sussurrare il suo nome con un ritmo martellante, ancora, James, e ancora. James. James.
Risalivo verso la luce, abbandonando velocemente le tenebre sotto di me. L'acqua mi scivolava addosso senza toccarmi, assieme al gelo che prima mi invadeva le membra, sostituito da un dolce tepore che mi sbocciava nel petto. No, non nel petto. Sopra. Toccai con le dita il medaglione e lo sentii bollente. L'oscurità intorno a me tremolò e forse era solo un frutto della mia mente, ma davanti a me apparve un'argentea figura. La ragazza mi guardò, il diadema che portava sulla fronte luccicò nel buio. Mi sorrise.

La luce mi invase la vista e la pellicola di silenzio scoppiò. Lo scrosciare delle onde e le urla in lontananza mi esplosero intorno.

Un'onda mi arrivò dritta in volto, mi sommerse e bevvi acqua salata. Tornai in superficie, tossii. Un'altra onda mi fece affondare di nuovo e annaspai per tornare in superficie.
Non mi sentivo a mio agio; l'acqua non era la mia casa, e le sue braccia sembravano volermi intrappolare lì con loro, e trascinarmi giù, e legarmi con gelide funi all'oscurità degli abissi.
Chiusi gli occhi. Non avevo intenzione di arrendermi. Lì, da qualche parte in mezzo a quei vortici di tentacoli, c'era James, e aveva bisogno di me.
Mi concentrai. Pensai di alzarmi in volo, di allontanarmi da quell'abisso sconosciuto e da quelle correnti nemiche, e avvertii l'ormai familiare calore sul petto.

Volare era così bello.
Mi sentivo libera, senza freni, senza la costrizione della gravità.
Sbattei una volta le ali e poi planai, tentando di avvicinarmi il più possibile alla spuma delle onde, perlustrando le acque alla ricerca di una testa castana.
Non avevo bisogno degli occhi di un falco per trovarlo.
Eccolo, scompariva e appariva nel vortice delle onde. Ma la loro violenza pareva non turbarlo: nuotava avanti imperterrito, come se la forza dell'oceano fosse meno di una misera distrazione dal suo obiettivo. Nuotava avanti, tentando con tutto se stesso di raggiungerlo, come se la sua intera esistenza dipendesse da questo.
Nuotava avanti, verso l'isola delle sirene.

Mi avvicinai ancora, fino a sentire gli spruzzi delle onde bagnarmi le piume.
Davanti a me, l'Isola delle Sirene si ergeva sul mare come un grosso masso grigio. E, sopra ad essa, due figure alate volteggiavano nel cielo come avvoltoi affamati. Una delle due si voltò verso di me, lasciandomi intravedere un viso di donna. Un viso dai lineamenti straordinariamente delicati, così in contrasto con le piume grigie e arruffate del corpo e gli artigli acuminati delle zampe.
Ormai James era giunto alla riva e si era alzato in piedi. Avanzava come un sonnambulo, con l'acqua alla vita, seguendo un desiderio che lo tirava come una fune.
Mi lasciai cadere accanto a lui e atterrai in ginocchio tra gli spruzzi salmastri.
— James! — gridai.
Niente da fare, il fragore delle onde e il canto delle sirene coprivano il suono della mia voce.
— James!
La bolla di magia che mi proteggeva dalla voce letale delle sirene sembrava indebolirsi più mi avvicinavo alla fonte della melodia.
Un canto ovattato e flebile mi arrivava alle orecchie come da molto lontano, ma si faceva sempre più forte a ogni passo che facevo verso la costa, e resistergli era sempre più difficile.
La mia vista era intervallata a tratti dalle immagini dei miei desideri più profondi: eccolo, mio padre, a braccia aperte davanti alla soglia della nostra casa, un sorriso a illuminargli il volto. E dentro, seduta davanti al focolare, c'era mia madre che mi lanciava uno sguardo colmo di orgoglio e affetto. Muoveva le labbra per parlare, ma io sentivo le sue parole dentro la mia testa.
Concentrati, Luna. Non perdere di vista l'obiettivo.
L'obiettivo, giusto.
— James! — lo chiamai ancora, ma lui era sordo alla mia voce.
E allora iniziai a correre. Corsi, ignorando gli spruzzi dal sapore di sale che mi bagnavano il volto, ignorando il mare che tentava di trattenermi a sè.
E, quando ormai l'acqua mi arrivava alle ginocchia, saltai, afferrandolo da dietro per le spalle.
Per la sorpresa, James perse l'equilibro e cadde tra la spuma salmastra e gli spruzzi salati, ed io sopra di lui.
Lo afferrai per le spalle, sentendo la sua pelle separata dalle mia dita solo dal tessuto bagnato che si incollava al suo corpo. Incrociai il suo sguardo, aspettandomi un cielo sereno, ma incontrai solo un mare in tempesta. Il blu dei suoi occhi era vacuo, perso in desideri remoti. Mi fissava senza vedermi.
Sentii le sue dita serrarsi attorno ai miei polsi, tentando di liberarsi, e stringere tanto forte da farmi male.
E poi, di colpo, davanti a me apparvero due figure tremolanti.
Una ragazza e una donna, entrambe con gli stessi occhi del colore del cielo e gli stessi capelli dorati.
Avevo la sensazione di averle già viste, ma non riuscivo a ricordare dove, per quanto mi sforzassi.
Sorridevano, e tendevano la mano verso di noi mentre indietreggiavano verso la riva.
Le vedevo, e sapevo che anche James le vedeva, perchè un'ombra di desiderio gli attraversò lo sguardo, e la sua presa si fece più forte, nel tentativo ora disperato di divincolarsi.
— Amy... — mormorò James in un soffio, l'espressione vacua.
— James. — Serrai la presa attorno alle sue spalle, affondando i polpastrelli nel tessuto fradicio.
— James, sono io! Ti prego, guardami.
Tentai di incrociare il suo sguardo, ma lui voltò la testa nella direzione in cui erano scomparse le due figure, senza smettere di divincolarsi.
— Amy... aspetta! Mamma! — gridò.
I polsi mi facevano male a causa della presa delle sue dita, e i denti mi battevano per il vento freddo che mi mordeva la pelle. Ma il dolore più grande era quello che provai nel petto al vedere le lacrime che gli solcavano le guance.
Sopra le nostre teste, le due sirene volteggiavano in cerchio come famelici avvoltoi, e il loro canto si faceva sempre più forte e distinto.
Tolsi con uno strattone il polso dalla presa di James e posai le mani sul suo volto, costringendolo a guardarmi.
L'ambra calda si scontrò con il vuoto mare in tempesta, e allora feci l'unica cosa che mi passò per la mente.
Le mie labbra si posarono sulle sue.


Dovrei dire qualcosa? (Sempre che qualcuno, per qualche motivo a me ignoto, segua ancora questa storia.)
Dovrei spiegare perché non ho aggiornato per così tanto tempo che avrebbero fatto in tempo a morire sia Silente che la Regina Elisabetta?
Nah, sono una brutta persona.


Okay, dai. La farò breve.
Le persone cambiano: cambiano scuola, cambiano gusti, cambiano stile.
E sì, questa storia mi faceva abbastanza schifino, soprattutto i primi capitoli.
Quindi ero indecisa se eliminarla o continuarla e alla fine ho deciso che la userò per esercitarmi a scrivere, che non fa mai male.

Ergo, cari lettori (sempre che esistiate) non aspettatevi aggiornamenti costanti etcetera.

Ciao.




Uhm... troppo brusca?

𝕷𝖆 𝕱𝖎𝖌𝖑𝖎𝖆 𝕻𝖗𝖔𝖎𝖇𝖎𝖙𝖆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora