CAPITOLO SEI

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La ragazza bionda e il ragazzo moro mi condussero fuori dall'infermeria.
Quando giungemmo davanti a uno degli ultimi letti, vidi un ragazzo biondo con un camice da dottore, indossato sopra un paio di bermuda beige al ginocchio, una maglietta arancione come la mia e con delle infradito ai piedi – non ero certa che fosse proprio la tradizionale divisa da medico – che discuteva con uno seduto sul letto. Il biondino doveva avere circa diciassette anni, era molto alto e smilzo, la pelle di un'abbronzatura perfetta, gli occhi del colore del cielo. Insomma, l'esatto contrario del ragazzo seduto sul letto. Perché l'avevo riconosciuto, con i suoi vestiti neri, i capelli scuri un po' troppo lunghi e arruffati, gli occhi color pece contornati da profonde occhiaie scure, la pelle di un pallore quasi spettrale. Nico di Angelo.

— Sto bene, per Ade! Solace, lasciami andare. — si lamentó Nico esasperato.
— No, tu non stai bene! Hai fatto un viaggio ombra, nonostante io te l'avessi proibito, ora devi restare in infermeria! — sbraitò il biondino.
— Uffa! Ho detto che sto bene!
— Non mi sembrava che stessi molto bene, quando ti hanno portato qui svenuto.
— D'accordo, ma ora sto bene!
D'accordo un cavolo, di Angelo! Non stai bene!!! Devi riposare. Non puoi fare sforzi. Dovrai rimanere in infermeria tutto il giorno!
— Ma...
Ma un cavolo, di Angelo! Zitto e obbedisci al tuo dottore.
— Non sei il mio dottore!
— Sì che lo sono! Ora stai zitto e fai quello che ti dico, ordini del dottore!
— Questa storia dell' ordini del dottore dovrebbe proprio finire...— borbottò Nico tra i denti.
Il biondo assunse un espressione trionfante.
Nico distolse lo sguardo dal ragazzo con un'espressione sempre più  esasperata, e solo allora sembrò notarmi.
— Ehi, Will perché non ti occupi dei tuoi altri pazienti invece di assillarmi con le tue raccomandazioni da dottore possessivo?— chiese Nico al biondo, alzando un sopracciglio.
A quel punto anche il ragazzo di nome Will mi vide.
— Oh, ciao! — mi salutò — Mi chiamo Will Solace, sono il ragazzo di Nico.
— Il rompiscatole significativo di Nico...— precisó Nico sarcastico.
All'inizio non capii. Poi però realizzai. Quindi loro erano...ah.
— Ah. — feci. Piuttosto stupido, eh? Vabbè, dai. Avevo sbattuto la testa, dopotutto...

Will mi fece un rapido controllo e, dopo aver constatato in modo molto professionale – piuttosto in contrasto con le ciabatte che aveva ai piedi – che “stavo bene era tutto a posto potevo pure andare”, ignorando le proteste da parte di Nico, ci sbattè fuori dall'infermeria. Chissà perché aveva tanta fretta. Dopotutto, ora che me n'ero andata io, erano rimasti in infermeria solo lui e Nico...oh.

Appena prima di uscire, la ragazza bionda si rivolse a me.
— Non mi sono neanche presentata. Mi chiamo Annabeth Chase e lui è il mio ragazzo...
— Percy Jackson — si presentò il ragazzo moro porgendomi la mano con fare esageratamente formale. — E tu sei...
Ridacchiai, divertita.
— Luna. Luna Wolfson. — risposi, e gli strinsi la mano, stando al gioco
Poi tornai seria. Perché c'era un piccolo dettaglio.
Non avevo idea di dove fossi.
Non avevo idea di come avessi fatto per arrivare qui.
Non avevo idea di chi fossero quei due, anche se sapevo i loro nomi.
Non avevo idea di cosa fosse... come l'aveva chiamato Will? Ah, sì, un viaggio ombra.
Stavo per cominciare a bersagliarli di domande, quando Annabeth mi parlò di nuovo.
— Be', Luna... benvenuta al Campo Mezzosangue.
Spalancò le porte, e venni avvolta dal tiepido calore del sole estivo del primo pomeriggio. La prima cosa che mi venne in mente, chissà perché, fu che, se era pomeriggio, voleva dire che non era mattina, e, se non era mattina, voleva dire che avevo saltato il pranzo. E ora avevo fame.
Poi però mi guardai intorno e mi dimenticai ogni cosa.

Un dolce aroma di fragole era diffuso nell'aria. File di casupole segnate da un numero si ergevano in uno schema ordinato. Confuse macchie arancioni e viola di ragazzi si muovevano fra le capanne.
In lontananza scorsi una baia sabbiosa, con le onde che lambivano dolcemente le coste.
Rivolsi la mia attenzione ai boschi che circondavano il campo. Immensi. Folti. Verdi.
Un luccichio attirò il mio sguardo. In cima a una collina, un' enorme statua d'oro dominava la valle, brillando sotto i raggi del sole.
Perché c'è una statua gigantesca su quella collina? — domandai stranita indicandola col dito.
—Oh, quella è mia madre. — fece Annabeth scrollando le spalle come se nulla fosse.
Tranquilla Annabeth, un' affermazione del genere non richiede spiegazioni, continuiamo pure a scambiare occhiatine dolci con il nostro ragazzo...nessun problema...
— Tua madre? — chiesi sempre più incredula, domandandomi se stesse scherzando.
—Già - si intromise Percy — sapessi cos'ha passato Annie per recuperarla...
Il ragazzo esitò e si incupì improvvisamente. Per un momento il suo sguardo color del mare si perse nel vuoto, come se stesse scrutando nel passato, in brutti ricordi. Un velo di tristezza gli apparve sugli occhi.
Con la coda dell'occhio vidi le sue dita cercare disperatamente quelle di Annabeth che si intrecciarono con le sue e strinsero forte.
La sua espressione si rilassò e gli rispuntò il sorriso.
Io però non riuscivo a smettere di chiedermi cosa avessero passato quei due.
Annabeth cambiò frettolosamente discorso.
—Percy, hai detto che Chirone le voleva parlare, giusto? Andiamo alla Casa Grande, allora, così ti faccio anche fare un giro del Campo, Luna.
Detto ciò si avviò, non lasciandomi altra scelta che seguirla.
Mi guidò per le stradine sassose, fermandosi ogni tanto per indicarmi i vari luoghi.
—Quella è l'arena, dove ci alleniamo con la spada.
Da quel poco che mi aveva spiegato, mi trovavo in una specie di campo estivo un po'... speciale, per ragazzi...speciali. Giustificava le sue risposte vaghe dicendo che mi avrebbe spiegato tutto Chirone, che a quanto pareva era il direttore delle attività.
Passammo accanto ad alcuni ragazzi che giocavano in un piccolo campetto da basket tirandosi il pallone e insultandosi gli uni contro gli altri. Una ragazza in particolare sembrava disporre di un vasto vocabolario composto solamente da imprecazioni e insulti di vario tipo. Aveva capelli castani dritti come spaghetti, una corporatura molto robusta, troppo per i miei gusti, che le donava questa espressione da vorrei-spaccarti-la-faccia-con-un-pugno. Ah, e aveva una lancia che sembrava emanare energia elettrica appesa a tracolla.
Del tutto normale.
Certo, assolutamente normale.
In effetti notai che molti ragazzi portavano delle armi con loro. Anche Annabeth, che aveva un pugnale appeso alla cintura.
Forse dovevo preoccuparmi.
Altri ragazzi si stavano allenando a scalare una parete per l'arrampicata, che però non era una normale parete per l'arrampicata, infatti...
Emisi un' esclamazione di sorpresa.
—Ma... cola lava?
Percy seguì il mio sguardo e un sorriso divertito gli spuntò sul volto.
—Già, per rendere l'arrampicata più...emozionante.
A me più che emozionante sembrava assolutamente terrorizzante, ma decisi di non fare commenti.

Alla fine, dopo aver superato varie file di quelle strane capanne – che erano ognuna diversa dall'altra, con un particolare che la caratterizzava, da quella con i vasi di fiori sui davanzali a quella circondata da filo spinato – arrivammo alla Casa Grande.
Un uomo con barba e capelli lunghi, folti e marroni seduto su una sedia a rotelle stava giocando a carte con un altro tizio che, anche da una prima occhiata, a causa del grosso naso arrossato, era evidente che avesse esagerato col vino. Indossava una camicia hawaiana a motivo leopardato sopra la pancia particolarmente in rilievo e in mano stringeva lattina di diet coke.
Mi lanciò un occhiata malevola.
—Oh fantastico, un'altra ragazzina. Come se non ce ne fossero già abbastanza... — Decisi che mi stava antipatico. — Be' ragazzina, io sono il signor D, il direttore di questo campo di ragazzini. Purtroppo.
Cavoli, se metteva i nervi...
—Luna. — borbottai a denti stretti.
—Sì, vabbè, come vuoi... Lara... o quello che è... allora,  suppongo che debba darti il benvenuto o roba del genere — sospirò — be', benvenuta al Campo Mezzosangue e bla bla bla.
Mi morsi la lingua per trattenermi dal rispondergli a tono. Ma lo faceva apposta a farmi innervosire?
L'uomo sulla sedia a rotelle mi fece un sorriso amichevole, scrutandomi con quegli occhi che sembravano nascondere secoli di saggezza.
—Ciao, Luna. Io sono Chirone, il direttore delle attività. So che hai molte domande da fare, per cui comincia pure.
Feci un respiro profondo. Mi sembrava di potermi fidare, e dopotutto non avevo scelta. Cosa dovevo chiedere per prima?
Alla fine le mie labbra si mossero da sole.
—Dove mi trovo?
—La risposta più ovvia sarebbe “al Campo Mezzosangue” ma non credo tu intenda questo.
Scossi la testa.
—Ti trovi negli Stati Uniti, più precisamente a Long Island, nello stato di New York.
—Ma... ma... è impossibile! Io ero in Italia! Non posso essere in America!
—È difficile da spiegare, ma il ragazzo che è venuto a prenderti ha dei...poteri, tra i quali quello di saper viaggiare nell'ombra. È spossante per lui, ma visto che è rimasto a riposo per un bel po' di tempo e tu eri il suo unico passeggero è riuscito a compiere un viaggio così lungo.
Io mi ero fermata alla parola poteri.
Feci una debole risata incredula.
—Cos'è, un supereroe? — feci sarcastica, senza curarmi del fatto che forse avrei dovuto portare più rispetto.
Rimasi spiazzata dalla serietà della sua risposta.
-No. — rispose Chirone —Un semidio. Come te.

𝕷𝖆 𝕱𝖎𝖌𝖑𝖎𝖆 𝕻𝖗𝖔𝖎𝖇𝖎𝖙𝖆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora