CAPITOLO CINQUE

821 58 4
                                    

Il sole filtrava attraverso le persiane socchiuse, riscaldandomi il viso con i suoi tiepidi raggi.
Lo sapevo. Era tutto un sogno. Ora mi sarei alzata e sarei andata a fare colazione. Di sicuro mio padre sarebbe già stato fuori casa. Ma per me la scuola era finita. Io sarei rimasta a casa. Avrei cercato l'arco. Poi sarei andata nel bosco. Ci sarei rimasta tutto il pomeriggio. Prima che mio padre fosse tornato, sarei rientrata a casa. Non si sarebbe accorto di nulla...
A interrompere i miei piani ci pensò un raggio di sole che mi colpì le palpebre abbassate. Infastidita, strizzai gli occhi con una smorfia, e li aprii.
E mi resi conto di non essere nella mia stanza.

L'odore che mi sembrava di aver percepito quando mi ero svegliata, mi resi conto, era disinfettante.
Io ero distesa su una brandina circondata da delle tendine. Ai miei lati e di fronte a me ce n'erano altre uguali.
Ero in un' infermeria.
Mi misi a sedere lentamente, ignorando il male alla testa.
Cercai di alzarmi, ma la testa mi pulsava dolorosamente.
— Fossi in te rimarrei seduta.— disse una voce femminile accanto a me.
Mi voltai e due occhi grigi, che ricordavano le nuvole che oscurano il cielo prima di un temporale, incontrarono i miei.
La ragazza doveva avere circa vent'anni. Era molto carina, con i lunghi riccioli biondi che le ricadevano sciolti sulla schiena, la carnagione abbronzata e il fisico slanciato. Eppure incuteva un certo timore. Soprattutto gli occhi. Sembrava che tentasse di scrutarmi dentro, forse per capire se potesse fidarsi di me.
— Tieni. — mi porse un bicchiere con una cannuccia, colmo di un liquido dorato — Bevi questo.
Non feci domande. Cominciai a sorseggiare la bevanda dorata, e subito mi sentii pervadere da una sensazione di calore che si diffuse in tutto il corpo. La bibita sapeva di lamponi. Quelli freschi, che crescevano ai margini della radura dove andavo a tirare con l'arco, quelli che raccoglievo ogni volta che andavo nel bosco. Quelli che una volta, qualche anno fa, portai a mio padre. E lui li lanciò dalla finestra, perché ero tornata tardi. Quelli che da allora mangiai sempre da sola, seduta sulla roccia davanti al cespuglio.
— Buono? — chiese la ragazza.
Mi sforzai di sorridere, ignorando il nodo che mi si era formato in gola.
— Sì, molto.
Alle sue spalle comparve un altro ragazzo sui vent'anni. Alto, atletico, i capelli nerissimi una massa informe e disordinata, gli occhi bellissimi, del verde delle onde del mare. Emanava un profumo di salsedine, di oceano, che al suo arrivo si diffuse per la stanza.
Diede alla bionda un bacio a sorpresa sulla guancia. Dallo spavento lei quasi cadde dalla sedia.
— Testa d'Alghe! — lo apostrofò, infastidita. Se fossi stata il ragazzo sarei scappata di fronte alla sua occhiataccia, invece lui scoppiò in una sonora risata, e riuscì a strapparle un sorriso esasperato.
— Finito il turno in infermeria? Sei qui quasi da ieri notte! — fece il ragazzo.
— Quasi. Si è svegliata.
Capii che alludeva a me.
Il ragazzo distolse per la prima volta lo sguardo da quella che, evidentemente, doveva essere la sua fidanzata e mi guardó con i suoi occhi del colore del mare.
— Ehi! — mi salutò allegramente. — Pensi di riuscire ad alzarti?
Annuii lentamente. Dopo aver bevuto quella strana bevanda dorata mi sentivo molto meglio. La testa non mi faceva quasi più male.
— Allora vieni. Chirone vuole parlarti.

La ragazza bionda mi portó dei vestiti puliti e mi disse di cambiarmi.
Io chiusi le tendine intorno al letto e indossai i vestiti senza neanche guardarli. Prima di uscire però mi diedi un occhiata. Mi resi conto di portare la stessa maglietta arancione che aveva la ragazza bionda. E anche il ragazzo dagli occhi smeraldo. E il satiro di nome Grover... del mio sogno, certo. Perché era tutto un sogno. Solo un sogno. Ignorai la fastidiosa vocina nella mia mente che chiedeva come mai allora fossi lì e non nella mia camera. Forse stavo ancora sognando...
Comunque ero completamente sicura che fosse la stessa, ci ero andata a sbattere contro, dopotutto. Allora era buio e non avevo fatto caso a ciò che c'era scritto sopra, ma ora riuscii a leggerlo chiaramente. Campo Mezzosangue. E sotto, a caratteri più piccoli, Long Island, NY.
Aspetta...questo non voleva dire che fossi nello stato di New York, vero? No, era impossibile. Non ci si può trasportare così velocemente dall'Italia all'America. Feci un respiro profondo. Era impossibile. Oppure solo un sogno. Le mie dita armeggiarono sotto il colletto della maglietta, finché non si strinsero intorno al ciondolo d'argento a forma di mezza luna. L'unico regalo di mia madre, assieme dall'arco e alle frecce. Che avevo lasciato a casa. Strinsi forte la mezza luna, in cerca di rassicurazione, in cerca di conforto. In cerca di risposte. Perché una parte di me lo sapeva. Sapeva che non poteva essere un sogno.
Nei sogni non si può provare dolore. Nei sogni non ci si può chiedere se in realtà si stia dormendo.
Sciolsi la presa dal ciondolo e lo riposi sotto alla maglietta. Aprii le tende e azzardai un mezzo sorriso timido.
— Okay, sono pronta.

𝕷𝖆 𝕱𝖎𝖌𝖑𝖎𝖆 𝕻𝖗𝖔𝖎𝖇𝖎𝖙𝖆Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora