Capitolo 57

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Il mio ruolo non è stato benvisto da molti, ma questo l'avevo messo in conto, eppure ho imparato a farmi scivolare addosso tutte le malelingue. Ho questa responsabilità perché me la merito e Visconti ha riacquisito fiducia in me, non deve importarmi di altro. Non permetterò che qualcuno possa intralciare qualcosa di bello che sono riuscita a conquistare. La mia mole di lavoro è aumentata, in quanto ho anche un gruppo di specializzandi al primo anno da gestire e non sempre è facile come si può pensare. Bisogna saper ponderare le situazioni, riuscire a mettere d'accordo più modi di fare e di pensare, ma non mancano i momenti di brio. Ho conosciuto questi giovani medici da poco, eppure sento che si sia instaurata tra noi già una bella sintonia: siamo una squadra e mi sento profondamente orgogliosa di aver intrapreso con loro questo percorso tanto fondamentale per la nostra figura di medico. Quando ho iniziato la mia specializzazione, ormai cinque anni fa, avevo una visione della vita ospedaliera diversa. Negli anni del tirocinio mi ero limitata ad assistere, eseguire ordini, turni più o meno massacranti, vagante tra più reparti e avevo già avuto modo di approcciarmi a quella che fosse la sofferenza intrisa tra le pareti bianche e asettiche. Non erano mancati i momenti di sconforto, sarei ipocrita se dichiarassi il contrario. C'erano stati momenti in cui mi ero accorta che tutto quel dolore potesse sopraffarmi e desideravo solo una via d'uscita. Poi mi ero laureata, e dopo alcuni mesi in cui avevo lavorato come guardia medica, ero riuscita a superare brillantemente i test per la specializzazione. Pediatria era una delle più ambite e difficili, ma ce l'avevo fatta. Quando avevo incominciato, mi ero resa conto subito che fosse quello il mio posto nel mondo. Perché non mi sentivo più solo una figura di passaggio, ma potevo davvero contribuire affinché quelle piccole vite innocenti potessero trovare beneficio.
Il dottor Visconti, nonostante il suo carattere burbero e altezzoso, era stato per me una guida, e io avevo appreso fin da subito da lui, facendone il mio esempio e spero che quegli specializzandi che mi sono stati affidati, possano fare lo stesso e che il nostro lavoro insieme sia uno scambio comune di crescita professionale.

"Ouch" si lamenta Arianna, stiracchiandosi i muscoli delle braccia, mentre camminiamo fianco a fianco. "Oggi è stata una giornata infernale..." ammette, aprendosi in un sonoro sbadiglio.

Annuisco, scrutandola comprensiva, mentre le appoggio una mano sulla spalla. Non abbiamo avuto modo di fermarci un attimo, oggi, e sento davvero i piedi doloranti. Ormai, però, ci ho fatto il callo a giornate del genere: la mia professione di medico è anche questo.
"Vai a casa e riposati. Ne hai bisogno" le consiglio, accennando a un sorriso.

Arianna, però, sopprime un risolino. "Naah" ammette, con un gesto della mano come a voler archiviare la questione. "Ho solo bisogno di alcool, tanto alcool" sussurra, lasciando trapelare eccitazione dalle sue parole.

Scuoto il capo, portandomi una mano alla fronte, senza speranza. "Stai delirando" la prendo in giro.

Ma lei non appare voler demordere. "Nono, sono super seria, anzi, perché adesso che stacchiamo, non ci andiamo a bere qualcosa io e te?" mi domanda su di giri, come colta da un'illuminazione.

Incrocio il suo sguardo supplichevole e mi gratto la nuca a disagio.
"Non posso..."

"Uffa!" protesta lei, mettendo il broncio "Hai da fare con il tuo dottorino tanto carino?"

Rido davanti alla sua espressione buffa, quando lei si sporge verso di me per farmi una linguaccia.

"A dire il vero no, sono fuori a cena con i miei amici" le confesso. "Ma se vuoi, puoi unirti a noi. Sono sicura che non avranno nulla da dire in contrario" le propongo poi.

Arianna sembra pensarci su, portandosi un dito alle labbra, poi annuisce, facendo spallucce.
"Ok" mi concede. "Ci sarà da bere?"

Spalanco le braccia, stringendomi nelle spalle. "Non lo so, credo di sì..."

Ricominciamo da qui (COMPLETA)Where stories live. Discover now