Capitolo 17

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Il portone del palazzo è stranamente aperto, ma non ci bado più di tanto, sono sicura che qualcuno l'abbia lasciato così.
Al momento mi importa solo di andare a casa ed infilarmi sotto le coperte. Non so specificare adesso cosa provi o come mi senta. 
Ricordo che, alle elementari, facevamo una sorta di gioco: si chiamava l'appello emotivo. Proprio quando la maestra ci chiamava per constatare che fossimo presenti, noi dovevamo associare il nostro stato d'animo ad un numero da una scala da 1 a 10, e motivare la nostra risposta.
Probabilmente, adesso, direi che mi sento 5 e mezzo. Un numero in bilico tra il 5 e il 6, un po' come mi sento io, in bilico tra due stati d'animo completamenti opposti. Quel pizzico di felicità che non posso fare a meno di nascondere per quello che è successo che si mischia, poi, alla tristezza.

Mentre sto per avvicinarmi all'appartamento, mi accorgo della porta socchiusa e mi sembra di scorgere qualcuno che sbirci per vedere chi sia. Un brivido mi attraversa la schiena e, impaurita, arresto i miei passi, fino a quando mi salta in mente che le ragazze erano a casa prima che me ne andassi. Che siano rimaste qui per tutto questo tempo?
Improvvisamente, mi sento così in colpa per averle fatte stare in pensiero, ma al momento scappare mi era sembrata la cosa più giusta da fare.

Mi scappa un sorriso a sentirle discutere per chi debba controllare o uscire a vedere chi sia, e quando tutte e tre compaiono sull'uscio spalleggiandosi, mi copro il viso, trattenendo le risate. Sembrano volermi incenerire solo con lo sguardo, ma non mi sfugge il sospiro di sollievo che tirano tutte alla mia vista, molto più rilassate di vedermi tornare.
Nonostante io sia stata la causa della loro preoccupazione e ne sia consapevole, non voglio lasciarglielo trapelare e quando, cauta, arrivo al loro fianco, sostengo i loro sguardi ferma.

"Ma dove ti eri cacciata?! Siamo state così in pensiero per te"mi ammonisce Giulia con un tono che non le ho mai sentito utilizzare in questi anni. Non rispondo.

"Anita...stai bene?"tenta Carlotta, appoggiandomi una mano sulla spalla. 

Cristina, dietro di loro, non dice niente, ma il suo sguardo vale più di mille parole e, alla fine, io, impotente davanti a loro, mi arrendo.

Rilascio un lungo sospiro, passandomi le mani sul viso, soffocando quasi le parole.
"Non significa che...vi abbia perdonate, m-ma adesso abbracciatemi...ne ho bisogno".

E nel momento in cui lo fanno, mi sembra di ritrovare tutta la forza di cui necessito, e che non ci siano mai stati litigi o bugie tra noi. È bello sapere che, nonostante tutto, non ci sia niente che possa scalfire questa nostra, bella, amicizia. È come se ci fosse un filo invisibile, un legame viscerale, che non ci permetta di star lontane.

Per i prossimi trenta minuti, non fanno altro che riempirmi di attenzioni, e ammetto che sentirmi così coccolata da loro, mi piace.
Mi soffermo a guardarle notandole scherzare tra loro, e un sorriso nasce spontaneo sul mio viso. Ci metto un po' a parlare e mi assicuro di avere la voce più ferma possibile.
"Voglio che adesso non ci nascondiamo più nulla. Ci diremo sempre la verità" dico, appoggiando la tazza di tè, che mi hanno preparato, sul tavolino in vetro.

Loro si lanciano degli sguardi, annuendo successivamente.

Giulia si muove irriquieta sul posto, battendo successivamente le mani sulle cosce. "Inizio io" ammette, con enfasi.
Prima di iniziare a parlare, però, si assicura di aver attirato l'attenzione di tutte noi."Ho litigato con Emiliano" sputa fuori parlando talmente veloce che mi risulta difficile capirla.

Ognuna di noi le lancia uno sguardo interrogativo e la prima a parlare è Carlotta. "Emiliano è un ragazzo timido, sarà successo qualcosa di grave per farlo arrabbiare!"esclama sorpresa.

Giulia inarca un sopracciglio, portandosi una mano al petto. "Ma tu da che parte stai?!"

Non do il tempo alla mia amica di replicare che spingo Giulia a raccontarci cosa sia successo. La verità è che un Emiliano arrabbiato sconvolge anche me.

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