Capitolo 25

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Mi sveglio e la giornata è splendida, questo dovrebbe incoraggiarmi ad alzarmi, ma non lo fa. Sento la testa pesante e piena di pensieri, che potrebbe scoppiarmi.
Il sole entra in un bagliore, illuminando la stanza, ma io non voglio lasciare il mio letto.

Ho riflettuto a lungo, penso di essermi addormentata sul tardi senza badare che dovessi andare al lavoro  la mattina dopo.
Luca ha invaso i miei pensieri, ininterrotamente: quello che c'è stato tra di noi o quello che ci sarebbe stato, se lui non fosse corso via, mi ha torturato a lungo. Odio che lui mi tratti in quel modo, è bipolare e confuso e odio che faccia sentire me nel medesimo modo.
Un minuto prima, sono pronta a respingerlo, ma, quello dopo, a reclamare un suo bacio.

Ho sempre creduto che non avessi lasciato ad un uomo che mi trattasse così, a suo piacimento, perché andava contro ogni mio principio morale e, invece, sto lasciando che Luca mi usi. Che mi plasmi in una donna insicura e confusa. Vederlo, per me, è come combattere un conflitto interiore ogni giorno, lo odio o lo amo?

Stendo le braccia e le gambe, cercando di acquistare forza e, a fatica, mi alzo. Mi sento apatica.
Schiocco il pollice e il medio davanti al mio viso. Svegliati Anita, tu non sei così.
Mi sciacquo il viso una, due volte, e me lo asciugo con forza, quasi come se potessi cambiare l'espressione che aleggia su di esso, e alla fine mi rassegno.

Preparo un caffè e ticchetto le dita sul bancone della cucina, aspettando che sia pronto. Nel frattempo, il mio sguardo vaga oltre la finestra della stanza. Sarebbe la giornata ideale per uscire a fare una passeggiata, ma mi tocca andare al lavoro. L'unica nota positiva che riesco a trovare è quella di rivedere Lucia. Ma è possibile che ogni volta io torni a casa lei mi manchi così tanto? Sì, lo è.

Con questo pensiero riesco ad iniziare la giornata con uno spirito diverso, ma non in grado di cambiare il mio umore del tutto, e finisco di prepararmi. Bevo il mio caffè rigenerante e scappo a vestirmi.

Non appena fuori dal mio appartamento, un brivido di freddo oltrepassa il montgmery che indosso e mi raggela anche le ossa. C'è il sole, eppure, il freddo incombe sulla città. Stamattina, come l'aria, anche il mio cuore è un po' più freddo.

Arrivo a lavoro e sembrano tutti più felici a mio confronto, ma ci faccio poco caso, qualche collega mi saluta, ma ricambio a stento. Che maleducata.

Preparo tutto l'occorrente per il mio giro di visite e prendo un bel respiro profondo. Il pensiero di rivedere Luca si insinua, di nuovo, nella mia mente e io scuoto la testa per cacciarlo, ma lui rimane lì; mi rassegno.
Insomma, è normale che io possa vederlo, lavoriamo sotto lo stesso ospedale, abbiamo gli stessi turni e, per uno scherzo del destino, lui passa i tre/quarti della sua giornata nel mio reparto, quindi è inutile sperare di non rivederlo. Si insinua anche il pensiero di nascondermi, ma sarebbe praticamente impossibile.
Dovrei parlare con le mie amiche di questa opprimente situazione, sono sicura che loro possano aiutarmi a fare un po' pace con me stessa.

"Ciao!" mi saluta Arianna, non appena sono in corridoio.

Ricambio il suo sorriso con molta meno enfasi e alzo una mano a mo' di saluto.

Arianna è una mia compagna di specializzazione, ricordo che all'università l'avevo intravista, di sfuggita, perché non frequentavamo gli stessi corsi. Ho avuto modo di conoscerla di persona solo quando il professore Visconti ci ha presentato il nuovo gruppo di specializzandi.
Probabilmente, se dovessi indicare un tratto che mi ricordo in particolare di lei, credo sia la logorrea, e non vorrei, adesso, trovarmi nella situazione di doverla zittire.

Ma lei non si arrende. "Come stai? Il professore Visconti mi ha detto che posso fare il giro delle visite con te e sono elettrizzata. Aspettavo questo giorno da sempre, il mio sogno nel cassetto è quello di poter tenere tra le braccia un neonato. Dimmi, è così fantastico come penso?"

Ricominciamo da qui (COMPLETA)Where stories live. Discover now