52. Dove tutto ha avuto inizio

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Esistono due tipologie di viaggi.

Ci sono viaggi che ti fanno capire quanto certe volte allontanarsi dalla monotonia e dal grigiore della quotidianità e andare altrove - poco importa che si tratti di un giorno solo, di un mese, di un anno, di due, di tre, di quattro o magari di partire senza tornare più, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che sappia portare luce e tingere quel grigio spento, inespressivo, di un qualsiasi altro colore, più vivace - non sia altro se non una liberazione, la scelta più giusta da prendere.

Ci sono viaggi, invece, che riescono a farti capire come non ci sia nessun altro posto come quello che chiami da tutta una vita casa, che nessuna altra città, per quanto bella e affascinante possa risultare davanti ai tuoi occhi, saprà mai esserlo altrettanto davanti al tuo cuore, nessun tramonto sarà mai speciale come quello che guardi dal balcone di casa tua, per le strade di nessuna altra città sarai in grado di camminare con la disinvoltura e la sicurezza che hai quando lo fai per le tue, perché tanto sai che non sarai mai e poi mai in grado di perderti, sarai sempre e comunque in grado di trovare quella giusta che ti porterà a casa.

E l'avventura di Federico alla Juventus questo era stata, un lungo e straordinario viaggio durato quattro anni che era riuscito a fargli capire che nessun posto sarebbe mai stato come casa sua né gli avrebbe mai fatto provare ciò che quella città, a cui sentiva di appartenere completamente, era capace di fargli provare.

Sarebbe rimasto eternamente grato a quella società per il modo in cui lo aveva accolto, per averlo fatto migliorare tanto, sia a livello calcistico sia a livello umano, e per avergli regalato infinite nuove esperienze ed emozioni, come quella, indescrivibile, di giocare la Champions League.
Sarebbe stato sempre grato nei confronti di quei tifosi che lo avevano accolto con un calore che non si era aspettato minimamente, nei confronti dei suoi compagni che non lo avevano mai fatto sentire un estraneo ma che, al contrario, lo avevano trattato come un membro di quella grande famiglia sin dal primo giorno, ma il motivo principale per cui non avrebbe mai smesso di ringraziare abbastanza la Juve era l'opportunità che gli avevano dato - pur se inconsciamente - di conoscere un amico straordinario come si era rivelato Andrea Barzagli.
Era stato non solo un amico, ma anche un fratello e, a volte, persino un padre per lui e non riusciva ad immaginare come se la sarebbe potuta cavare senza di lui, senza averlo al suo fianco.

Continuavano a sentirsi ogni giorno, un po' per messaggio e spesso e volentieri anche per telefonate, che non duravano mai meno di mezz'ora.
Quando gli aveva parlato della sua decisione di tornare alla Fiorentina, l'oramai ex difensore bianconero aveva risposto che l'aveva capito sin da quando era venuto a conoscenza del motivo che lo aveva spinto a trasferirsi a Torino che quella esperienza non era destinata a durare per sempre e, aveva aggiunto, sapeva che lui stesso, in fondo, ne era consapevole.

Era questo quello a cui stava pensando mentre era nel tunnel - aspettando insieme a compagni e avversari di entrare in campo per la prima partita di quella stagione -, che quella città e quello stadio erano la sua casa, ma soprattutto casa sua era quella magnifica donna seduta sugli spalti che attendeva agitata - perché, ne era sicuro, quello era il suo stato d'animo in quel momento - di vederlo.

Ogni volta che giocava cercava di estraniarsi il più possibile, di dimenticare per novanta minuti tutto quello che riguardava il mondo esterno, concentrandosi solo ed esclusivamente sulla partita per dare il meglio di sé.
Ma quel giorno sembrava impossibile farlo, era una giornata particolare e dominare tutto il mare di emozioni che gli facevano battere forte il cuore contro il petto si stava dimostrando tutt'altro che fattibile.

Non con quel dieci che pesava come un macigno sulle sue spalle e che sembrava bruciargli contro la schiena, neanche fosse stato fatto di lava.
Non con quei colori che era tornato ad indossare e che voleva onorare, 'sta volta per davvero.
Non con lo stadio gremito di tifosi che, lo sapeva molto bene, lo avrebbero accolto a suon di fischi.
Se li meritava, se li meritava tutti quanti e spettava a lui trasformarli in applausi, ci sarebbe voluto del tempo, ma sperava di farli innamorare una seconda volta perché, ora che non aveva più alcun motivo per lasciare Firenze, avrebbe mantenuto tutte quelle promesse che aveva fatto anni prima.
Non era facile, non con quella fascia stretta attorno al suo braccio, cedutagli in modo del tutto inaspettato da German Pezzella nemmeno cinque minuti prima.
Federico aveva rifiutato, aveva scosso la testa, non se la meritava, ma il compagno di squadra non aveva voluto sentire ragioni e gliela aveva praticamente incollata addosso con la forza, prima di dire una frase che gli aveva fatto venire le lacrime agli occhi e un groppo in gola: «Tienila, lui avrebbe voluto così.»

Potremmo ritornareWhere stories live. Discover now