47. Quando tutto torna alla normalità

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Federico aveva ragione: Alice non era mai stata al Catullo, ne aveva sentito parlare, questo sì, ma era la primissima volta che ci metteva piede.
Erano appena entrati dentro e ad una prima veloce occhiata la ragazza aveva già deciso che le piaceva - o forse era semplicemente che avendo lui accanto a sé qualsiasi posto andava più che bene.

L'ampia sala era illuminata da luci soffuse, bianche e gialle, il risultato di quell'unione contribuiva a rendere tutto l'ambiente più elegante e romantico, quasi magico.

I colori che primeggiavano erano il grigio delle pareti e il bianco, in tutte le sue varie tonalità: dal bianco avorio delle tovaglie al bianco di titanio delle sedie fino al bianco panna del pavimento.

Non c'erano molte persone - trattandosi di un giorno feriale la cosa non la sorprese -, ma tutte quelle che erano presenti fecero la stessa identica cosa quando lei e Federico attraversarono la sala seguendo il cameriere che li stava accompagnando verso il loro tavolo: si girarono nella loro direzione, guardandoli con evidente curiosità.
Alice si sentì un tantino a disagio nel sentirsi al centro dell'attenzione, con tutte quelle paia di occhi puntati addosso.
Li vedeva e li sentiva parlottare, sicuramente si stavano chiedendo se quello fosse veramente Federico Bernardeschi e chi invece fosse la ragazza sconosciuta accanto a lui.
Si era scordata cosa volesse dire essere la fidanzata di un calciatore e gli ospiti di quel ristorante erano riusciti a farglielo ricordare in tempo record.

Strinse la mano del ragazzo, istintivamente.

«Tutto bene?» le chiese lui.

Alice annuì, rassicurandolo con un sorriso.

Si era abituata già una volta a tutto quello, poteva benissimo tornare a farlo.

Il tavolo che aveva prenotato Federico era in fondo; quando aveva chiamato ne aveva chiesto uno il più distante possibile dal resto degli altri tavoli - proprio perché si era immaginato cosa sarebbe successo - e il più vicino possibile alle enormi finestre che davano sul fiume e sul Ponte Isabella.
Era stato Andrea a suggerirgli quel posto e, sempre lui, gli aveva suggerito di prendere un tavolo vicino alle finestre.
Sua moglie lo amava da impazzire, aveva spiegato a Federico, ed era sicuro che anche ad Alice sarebbe piaciuto cenare lì.

La osservò mentre era assorta a guardare lo spettacolo che regalavano le luci del ponte che si riflettevano sul corso d'acqua e, dalla sua espressione, capì che ancora una volta il suo compagno di squadra aveva avuto ragione.

«Te l'avevo detto che era un posto in cui non eri mai stata» esordì.

«Già - annuì lei - È bellissimo. Tu ci sei già stato?»

«No. È stato Andrea a consigliarmelo.»

«Chi altri se non lui.»

Lo juventino la guardò, non capendo.
«State perennemente assieme, non mi sorprende che sia stato lui. Anzi, mi sarei stupita se fosse stato qualcun altro a consigliartelo» si spiegò.

Lui sorrise, perfettamente conscio che quella era la semplice verità.
Tra tutti Andrea era quello con cui si era trovato meglio sin dall'inizio, probabilmente perché avevano un carattere molto simile.
Era la prima persona che Federico cercava con lo sguardo non appena arrivava ad allenamento o quando entrava in mensa; gli piaceva passare il tempo con lui, non era sempre necessario usare tante parole perché Andrea riusciva a capirlo da uno semplice sguardo e questa era una delle qualità che più gli piaceva.
«È una brava persona, e un ottimo amico - era difficile riuscire a contare tutti le dritte che gli aveva dato, sia in campo calcistico che non, o tutte le volte che gli aveva chiesto se stesse bene, se avesse voglia di parlare -, ed è simpatico.»

Potremmo ritornareWhere stories live. Discover now