17. Fortunata al gioco, sfortunata in amore

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Il terreno di gioco era impraticabile: quando il pallone cadeva per terra, invece di rimbalzare come faceva di solito, rimaneva a galleggiare sulla superficie di una delle pozzanghere di cui era pieno il campo.

Il terreno scivoloso rendeva quasi impossibile controllare la palla e, per di più, Federico e i suoi compagni erano bagnati fradici: le divise da allenamento erano attaccate ai loro corpi, quasi fossero una seconda pelle, così come i loro capelli, appiccicati alle loro fronti.

Per non parlare del fatto che le gocce di pioggia tra le ciglia rendevano impossibile vedere, si passavano la mano sui volti, inutilmente, perché qualche secondo dopo la situazione tornava invariata.

Nonostante questo il mister non sembrava ancora intenzionato a sospendere l'allenamento.

Era da tutta la settimana che pioveva ed era tutta la settimana che loro si erano allenati sotto la pioggia, ma quel giorno sembrava essere il principio del giudizio universale.

Stavano facendo una partita, ancora sullo zero a zero, perché era fisicamente impossibile riuscire ad eseguire più di un dribbling di seguito o un tiro in porta senza che il piede d'appoggio non rimanesse nel fango e ti facesse perdere l'equilibrio.

Cosa che accadde in quel momento a Gonzalo.

«Que carajo!» esclamò furibondo battendo i pugni per terra.

Lanciò uno sguardo di traverso a Paulo che in quel momento se la stava ridendo, e poi si girò verso Allegri.

«Mister! - esclamò per ottenere la sua attenzione - No se puede jugar en estas condiciones!»

Lui alzò il viso verso l'alto, come se solo in quel momento si rendesse conto della quantità di pioggia che stava scendendo dal cielo.

Si consultò con il suo vice, Landucci, che si trovava lì al suo fianco a seguire la partita insieme a lui.

Si confrontarono tra di loro per qualche secondo e poi i ragazzi videro Allegri annuire.

«Va bene, per oggi può bastare così.»

Un unico pensiero attraversò la testa della squadra: Landucci in quell'occasione aveva dimostrato senza ombra di dubbio di avere più buonsenso del loro allenatore.

Gonzalo, da seduto, si distese sfinito sul campo.

Paulo si avvicinò e gli allungò una mano per aiutarlo ad alzarsi.

«Continua a lamentarti, Gonzalo - gli disse Allegri quando i due gli passarono accanto - e la prossima partita stai in panchina.»

«Certo» mormorò lui con una punta di ironia nella voce; sapeva bene che l'unica cosa che avrebbe mai potuto frenare il suo allenatore dal non metterlo titolare era un possibile infortunio e nient'altro.

Federico si chinò in avanti, appoggiandosi con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato.

Gli facevano tremendamente male i polpacci, si augurava che la doccia calda che stava per fare lo aiutasse a sentirsi meglio.

Seguì i suoi compagni verso gli spogliatoi.

«Penso di avere pioggia anche nelle mutande» sbuffò Stefano, affiancandosi a lui.

Federico rise, passandosi una mano sui capelli.

Quel tempo non gli piaceva, non gli piaceva affatto.

La pioggia gli faceva tornare in mente la sera in cui Alice l'aveva lasciato.

Quel tempo gli ricordava tutto il dolore che aveva provato quella sera e tutto il dolore che aveva letto negli occhi di lei e nelle lacrime che si confondevano alle gocce di pioggia sulle sue guance.

Potremmo ritornareTahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon