51. In famiglia

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Il sole di Carrara colpiva direttamente il volto di Alice, costringendola a strizzare gli occhi e allo stesso tempo avvolgendola in quel tepore che tanto le era mancato e che solamente un sole di inizio giugno, che preannuncia l'arrivo imminente della stagione estiva, riesce a regalare.
Colpiva anche le sue spalle, lasciate pressoché nude, a coprirle ci pensavano solo quelle inutili sottile spalline della canottiera che aveva addosso, e colpiva anche le sue braccia mentre era intenta a dare una sistemata ai capelli, portandoseli dietro le orecchie per cercare di dar loro una piega quantomeno decente.

Quel giorno aveva scelto di indossare una minigonna di jeans a vita alta in cui aveva infilato la canottiera rossa e ai piedi un paio di Converse alte, dello stesso colore vivace.
Quando si era guardata allo specchio, prima di partire, era quasi scoppiata a ridere fissando il suo riflesso: chiunque non la conosceva e la vedeva per la prima volta non avrebbe fatto molta fatica a scambiarla per una diciassettenne, al massimo per una diciottenne, ma poco importava.

Amava il sole, amava il caldo, l'estate e trovava semplicemente meraviglioso poter dimenticare e mettere da parte per qualche mese i maglioni, le giacche, i giubbotti, le sciarpe di lana, i pantaloni lunghi, le calze, gli stivali, per fare spazio ad outfit colorati, ad abiti corti e leggeri, shorts, magliette a mezze maniche, canotte.

Era così di buonumore - sarà stato per via del caldo, sarà stato il pensiero di essere in ferie, sarà stato l'essere ritornata nella sua amata Toscana, per di più assieme a Federico, o sarà stato un mix di tutte quelle cose - che nemmeno l'ansia che la corrodeva dentro per l'imminente incontro con i genitori del suo ragazzo riusciva a toglierle il sorriso dalle labbra, sembrava quasi fosse incollato lì.

Si girò verso di lui, trovandolo intento a guardarla, un po' come se la stesse studiando, poggiato contro il cofano della macchina, le braccia conserte al petto.

«Andiamo?» le chiese, un largo sorriso dipinto in volto.
Anche lui come Alice era contento di essere a casa, nella sua amata Carrara, e di poter passare del tempo assieme ai suoi genitori e a sua sorella.

Alice era così bella, pensò.
Essere lì con lei non faceva altro che ricordargli tutte le volte che ci erano venuti nei due anni in cui erano stati insieme, a partire dalla primissima volta che l'aveva portata lì per farle conoscere i suoi genitori - ancora rideva se ripensava a quanto era stata in ansia lei, preoccupandosi ben oltre il dovuto; l'aveva inondato di messaggi per chiedergli cosa doveva mettersi, cosa doveva dire, come doveva comportarsi e lui, come sempre, si era divertito a prenderla in giro prima di prenderla sul serio e risponderle che qualsiasi cosa si fosse messa andava bene e che doveva solamente essere se stessa.

Alice annuì e gli strinse la mano che le aveva porto, mentre nell'altra aveva la borsa e la busta rosa con dentro il peluche di Minnie che aveva comprato per Olivia giorni prima.
Era in giro per il centro quando aveva visto quel pupazzetto in una vetrina dei tanti negozi di giocattoli presenti, e non ci aveva pensato su molto prima di entrare a comprarglielo, sicura che le sarebbe piaciuto.

I suoi genitori non chiudevano mai durante la giornata il cancello di casa, Federico lo sapeva bene, era un'abitudine che avevano trasmesso anche a lui.
Attraversò il vialetto, continuando a stringere la mano di Alice nella sua, sentiva che nonostante in apparenza sembrasse completamente a suo agio c'era una parte di lei che era nervosa, tesa.

«Sei tranquilla?» le domandò, guardandola, prendendo del tempo prima di suonare al campanello.

Alice si voltò a guardarlo: alla luce del sole gli occhi di Federico apparivano ancora più chiari e intensi di quanto non lo fossero di solito, sembravano sprizzare scintille.
Gli sorrise e annuì con un gesto del capo, sebbene ora che si trovava ad un passo dall'entrare in casa aveva iniziato a sentire un mare di inquietudine agitarsele dentro.

Potremmo ritornareWhere stories live. Discover now