13. A pranzo con Higuain e Dybala

5.2K 162 9
                                    

Tirò un sospiro di sollievo quando poté finalmente chiudersi la porta del suo nuovo e provvisorio ufficio alle spalle, per poi appoggiarcisi contro con la schiena per qualche secondo.

Appena chiudeva gli occhi rivedeva Dybala e l'occhiolino con cui l'aveva salutata prima di tornare dai suoi compagni: che cos'era tutta quella confidenza?

E rivedeva anche Federico, fermo in campo assieme agli altri, mente continuava a guardarli.

Si liberò di borsa e giubbotto e si accomodò dietro la scrivania, era ora di mettersi a lavorare e lasciar perdere il resto.

Aveva tante di quelle cose da fare che non sapeva nemmeno da dove incominciare.

Tirò fuori il fascicolo sul caso che le aveva consegnato Cortesi.

Rispetto alla prima volta che l'aveva aperto per darci un'occhiata ora era pieno di sottolineature e appunti ai lati e tra le righe.

Prese una penna dal portapenne e stilò sull'ultima pagina una scaletta con le cose da fare e i documenti che aveva bisogno di consultare: le servivano tutte le fatture degli ultimi sei anni relative alla vendita dei biglietti, i bilanci di fine anno della società e tutti gli altri documenti che registravano movimenti di denaro.

Michela le aveva detto che poteva partire dai documenti che erano contenuti nei faldoni presenti nelle due librerie del suo ufficio, in attesa che le venisse consegnato un computer con accesso all'archivio elettronico della società.

Cominciò dal primo in alto a sinistra, con la scritta 2011 al lato.

Chissà quanti fogli conteneva al suo interno, visto il peso consistente.

Quando lo posò sul tavolo una piccola nuvola di polvere si elevò nell'aria.

Come squadra, pensò tra sé e sé, erano imbattibili negli ultimi anni, ma per quel poco che aveva visto fino a quel momento, come società non erano gran ché: era del tutto obsoleto non aver archiviato nemmeno i documenti degli ultimi anni e decisamente scomodo per chi, come lei, aveva bisogno di averli tutti nello stesso formato.

Sospirò sconsolata prima di aprire il faldone e perdersi tra i dati al suo interno.

Come sempre quando si trattava di lavoro perse coscienza del tempo, tanto era impegnata a leggere e prendere appunti delle cose che le risultavano più rilevanti per il caso e, solo quando bussarono alla porta, si rese conto di non aver staccato gli occhi da quei fogli nemmeno per un momento, così come non aveva staccato la mente e non aveva pensato neanche per un secondo a cos'era successo al suo arrivo lì.

«Avanti» disse, domandandosi chi potesse essere.

Era Michela.

«Ciao, Alice, perdonami se ti ho interrotta.»

«Ma figurati.»

«Che cosa fai per pranzo?»

Era già ora di pranzo?

Sapeva benissimo quale sarebbe stato il commento della sua migliore amica quando glielo avrebbe detto: Sei un caso perso.

«Sinceramente non ci avevo pensato» ammise stringendosi nelle spalle.

«Io di solito mangio giù con i ragazzi, se vuoi unirti a me mi farebbe più che piacere avere finalmente la compagnia di una donna.»

Si maledì mentalmente per non essere mai in grado di dire di no, specialmente quando qualcuno le chiedeva qualcosa col tono gentile che aveva appena usato Michela.

«Okay, perché no?»

«Perfetto allora» sorrise, francamente contenta.

Alice afferrò la borsa e il cellulare e uscì chiudendosi la porta alle spalle.

Potremmo ritornareWhere stories live. Discover now