23. La quiete prima della tempesta

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Alice ricontrollò per la seconda volta quello che aveva appena annotato sulla sua agenda nera, per essere sicura di non aver omesso qualche dettaglio riguardo all'appuntamento con il nuovo cliente con cui aveva da poco terminato di parlare al telefono.

Afferrò l'evidenziatore Stabilo che si trovava lì sulla scrivania e sottolineò con una riga decisa e regolare il nome e il cognome dell'imprenditore.

Tra nuovi clienti che l'avevano chiamata per fissare un colloquio e qualche cliente vecchio che aveva telefonato per richiedere aggiornamenti sul suo caso, Alice aveva passato pressoché tutta la mattinata al cellulare e non aveva avuto nemmeno l'occasione di andare avanti per leggere oltre la quindicesima riga del file che il suo capo le aveva mandato per mail.

L'autunno sembrava la stagione in cui le persone avevano più bisogno di consulenza legale.

Prima di richiudere l'agenda aveva buttato un'occhiata al calendario che si era preparata sulla pagina bianca che precedeva la data del primo di novembre e non vedeva l'ora di segnare con una bella croce rossa il giorno in meno che la separava dal suo ritorno a Firenze.

Non aveva ancora detto niente né ai suo genitori né a Giulia, anzi, ora che ci pensava bene non ne aveva parlato proprio con nessuno, nemmeno con i suoi amici del bar.
Ci avrebbe pensato venerdì ad aggiornarli e non appena uno tra sua madre e sua padre l'avesse chiamata glielo avrebbe detto.
Per quanto riguardava la sua migliore amica, invece, il piano era quello di non dirle niente e presentarsi sotto casa per farle una sorpresa.

Un brontolio del suo stomaco interruppe il silenzio che regnava in quella stanza.
Guardò l'ora sull'orologio al polso: era mezzogiorno passato ed era più che normale che il suo stomaco cominciasse a brontolare visto che non metteva niente sotto i denti dalla sera prima.

Strano, pensò lasciando l'ufficio, che Michela non fosse ancora andata a chiamarla.

Andò a bussare alla porta del suo ufficio e quando sentì la sua voce entrò.

«Non scendi giù per pranzo?» le chiese.

La segretaria aveva gli occhiali inforcati sul naso, una matita nella mano destra e una calcolatrice in quella sinistra, mentre tutt'attorno a lei regnava il caos più totale: una marea di fogli erano sparsi qua e là sopra la scrivania - qualcuno era anche finito per terra - e diversi raccoglitori erano impilati disordinatamente uno sopra l'altro.

Michela si tolse gli occhiali e si massaggiò con indice e pollice gli occhi.

«Ho perso la cognizione del tempo - mormorò scuotendo la testa e Alice sorrise, capendo perfettamente cosa intendesse - Ti dispiace se ti lascio andare da sola? Ho un sacco di pratiche da controllare ancora e per le tre devo essere in riunione.»

La ragazza si strinse nelle spalle, «No, figurati. Vuoi che dopo ti porto qualcosa da mangiare?»

«No, ti ringrazio, sono a posto così.»

Quando scese giù Paulo e Gonzalo erano già arrivati.

«Ciao, ragazzi - li salutò - Che c'è da mangiare oggi?» si informò mentre allontanava la sedia dal tavolo per prendere posto accanto a quest'ultimo.

«Pesce e riso» rispose lui e sul volto della ragazza si disegnò automaticamente una smorfia.
Il pesce le piaceva, il riso un po' meno, ma in quel momento non aveva voglia né di uno né dell'altro, l'unica cosa che desiderava avere davanti a sé era un bel piatto di pasta fumante con sopra del Parmigiano.

«Non ti piace?» le domandò Paulo.

«Insomma - rispose, posando lo sguardo nelle iridi del ragazzo, pensando ancora una volta che aveva degli occhi meravigliosi - Allora, sei riuscito a fare almeno un goal o no?» gli chiese, inarcando le sopracciglia.

Potremmo ritornareWhere stories live. Discover now