27. Sotto la stessa luna

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Era pieno pomeriggio quando il treno raggiunse la destinazione finale della sua corsa: la stazione di Santa Maria Novella, a Firenze.
Era gremito di persone, ognuna avvolta nella propria esistenza.
C'era chi andava di fretta, con il timore di perdere la coincidenza e dover aspettare di conseguenza quella dopo; c'era invece chi era appena sceso dal treno, di ritorno dal lavoro, dalle lezioni o, perché no, da una vacanza e si godeva con calma il ritorno a casa; c'erano anche turisti, venuti a visitare quella città, tra le più belle di tutta la penisola, che da ogni angolo gridava arte.
E, per quel giorno, c'era anche un gruppo di persone che non si trovava in stazione per prendere il treno, ma era lì semplicemente per cercare di rubare una foto o un autografo ai ragazzi della Juventus, che dovevano scendere di lì a poco.

Federico aveva passato tutto il viaggio in silenzio, le cuffie nelle orecchie per fare in modo che le parole delle canzoni superassero tutto il casino che facevano i suoi pensieri, e lo sguardo rivolto per il novantanove per cento del tempo fuori dal finestrino.
Il mister gli aveva detto che sarebbe partito dal primo minuto e, per quanto avesse voglia di giocare finalmente da titolare, non sapeva come prendere quella notizia.
Come l'avrebbero accolto i suoi ex tifosi?
E lui come doveva comportarsi?
Doveva esultare se segnava o no?
Oltre a questo c'era anche Alice, il suo pensiero fisso.
Non aveva la minima idea di quello che stava accadendo, non sapeva nemmeno come comportarsi: qualsiasi cosa dicesse o facesse era comunque quella sbagliata.

Andrea l'aveva guardato più volte, capendo perfettamente cosa gli stesse passando per la testa, così come capiva perfettamente che non era il caso di parlargli, sarebbe stato inutile anche solo provarci, in quel momento.

Una volta che il treno si fu completamente fermato e le porte vennero aperte, i ragazzi si preparano a scendere per poi recarsi presso l'hotel in cui avrebbero soggiornato.

Prima di mettere piede fuori dal treno, Federico alzò il volume della musica al massimo, si tirò su il cappuccio del giubbotto e, a testa bassa e a passo spedito, attraversò il piazzale, senza fermarsi come stavano facendo alcuni dei suoi compagni.
Gli mancava del tutto il coraggio di affrontare i suoi ex tifosi.

Sì, era indiscutibilmente un vigliacco.

***

Alice era pigramente stravaccata sul divano - la solita felpa di tre taglie più grande addosso, i pantaloncini del pigiama, i piedi infilati nelle sue pantofole a stivaletto e i capelli legati in una coda alta - ad aspettare le otto e quarantacinque, con la solita ansia prepartita a farle compagnia.

Le capitava così raramente di stare seduta per i fatti suoi, senza fascicoli tra le mani e senza pensare a cosa doveva fare o non fare il giorno dopo, che non le sembrava quasi nemmeno reale.

«Sei sicura di non voler impiegare novanta minuti della tua vita in modo diverso? Tipo facendomi compagnia e guardare insieme un bel film strappalacrime?» le chiese ancora una volta Sara che, per quella sera, le aveva gentilmente lasciato la televisione, preferendo chiudersi in camera e cercare qualcosa da guardare in streaming sul computer.

«Sicurissima» annuì Alice.

«Spero vinciate» le augurò prima di prendere i popcorn che aveva appena tirato fuori dal microonde e dirigersi in camera sua.

Alice allungò un braccio verso il cellulare che aveva buttato lì a fianco e avviò la chiamata verso il numero della sua migliore amica, mettendo il vivavoce.
Appena sentì che lei aveva risposto, senza salutarla, le domandò: «Perché non sei andata allo stadio?»

«Buonasera anche a te, Alice - la salutò lei, facendole alzare gli occhi al cielo - Mio padre ha il turno di notte oggi e non c'era nessuno che voleva accompagnarmi. Sai quanto detesto andare a vedere una partita da sola, è triste.»

Potremmo ritornareDär berättelser lever. Upptäck nu