2. Occhi verdi

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La pausa di Lizzie durò più di quanto lei si fosse immaginata, ma sempre meno di quanto le sarebbe piaciuto rimanere tranquillamente seduta a chiacchiere con i ragazzi.

Verso le otto il pub aveva cominciato a riempirsi.
A occhio e croce circa il sessanta per cento della gente che stava entrando aveva addosso la maglietta a strisce bianche e nere della Juventus; gente che aveva finito di vedere la partita e veniva lì per mangiare qualcosa o semplicemente per brindare alla vittoria della propria squadra.

Non ricordava bene contro chi dovevano giocare quel giorno i bianconeri, ma avrebbe scommesso qualsiasi cosa che avevano vinto.
Come sempre, del resto.

Per una come lei che era nata e cresciuta in quella città l'unica squadra da poter tifare era il Torino.

Quando aveva aperto il locale le era venuta l'idea di appendere qualche maglia granata - come per esempio quella di Marco Ferrante - sulle pareti, idea subito bocciata da Valeria - la sua socia - che saggiamente le aveva detto: "Pensi che farebbe piacere a uno juventino frequentare un locale gestito da una che tifa Toro?".

I weekend di campionato finivano sempre così, gente - non solo juventini, fortunatamente - che nel post partita veniva lì.

Non poteva che farle piacere, ovviamente.

«Il dovere mi chiama» disse saltando giù dal divanetto.

Indossò il grembiule e rientrò in cucina, mentre Valeria era già andata a raccogliere le ordinazioni.

Il pub era organizzato su due piani.
Al piano superiore venivano serviti solo cocktail e aperitivi.
Un paio di sabati sera erano state anche organizzate delle serata a tema, con la presenza di un dj a sostituire la musica che solitamente proveniva dalle playlist del computer.
Al primo piano, invece, oltre al bere si serviva anche da mangiare.
Hamburger, patatine e hot dog erano i piatti della casa.

Di solito i ragazzi preferivano salire, mentre le famiglie con bambini o i signori in là con l'età rimanevano al piano inferiore.

Lizzie si occupava principalmente della cucina, Valeria serviva i tavoli - quando c'era più gente la aiutava anche Lizzie -, e Filippo preparava i cocktail.

In tre a volte era difficile stare dietro a tutti, ma non impossibile.
Lizzie aveva pensato più volte di assumere una cameriera, almeno part-time, ma la sua idea non si era concretizzata, ancora.

«Tutti questi adolescenti che ridono e parlano e ridono ancora mi fanno accapponare la pelle» esordì Mario guardando i ragazzi e stringendosi le braccia al petto.

«Quanto sei scemo?» lo apostrofò Sofia, scuotendo la testa e ridendo.

«Tutti juventini, che schifo» commentò Nicola.

«Se ti sentono ti assalgono, Nic, sappilo. E poi senti chi parla, quello che tifa Inter!»

I ragazzi risero dell'affermazione di Alice.

Nicola le strinse scherzosamente le guance con una mano e «Se me lo avesse detto qualcun altro forse gli avrei tenuto il muso per minimo ventiquattro ore, ma con questi occhietti come si fa?» scherzò per poi lasciarle un bacio sulla punta del naso.

«Ti voglio bene lo stesso, Nic, anche se tifi Inter» continuò lei mentre si faceva scivolare sotto la sua spalla.

Alice e Nicola erano caratterialmente identici, per questo avevano legato molto.
Quando parlavano si trovavano sempre d'accordo su tutto, ridevano delle stesse cose e riuscivano a capirsi al volo, bastava una semplice occhiata.
Per Nicola lei era un po' come la sorella che non aveva mai avuto.

Potremmo ritornareWhere stories live. Discover now