48. Al centro dell'attenzione

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La prima cosa che Federico fece non appena ebbe messo piede all'interno dello spogliatoio fu salutare i compagni di squadra che erano ancora lì dentro con un veloce «'Giorno», poi poggiò il borsone per terra e si sedette sul primo posto libero che gli capitò sott'occhio.

Si cambiò rapidamente, era meglio evitare di aggiungere ulteriori minuti al suo ritardo, non aveva la minima voglia di stare ad ascoltare il mister riprenderlo, era solitamente agitato di suo, se poi non si facevano le cose come e quando diceva lui tendeva ad agitarsi ulteriormente e ad alzare il volume delle sue grida di parecchi decibel in più.

Si tirò su i calzettoni e poi lanciò un'occhiata a Mario, seduto di fronte a lui, «Non ti alleni?» gli domandò, vedendolo ancora totalmente perso a fissare lo schermo del cellulare, cosa che non aveva smesso di fare da quando Federico era arrivato lì.
Chissà cosa stava facendo, pensò, probabilmente uno di quei giochi stupidi che gli aveva già visto fare in passato.

«Il mister non è ancora arrivato, quindi…» lasciò la frase sospesa, facendola seguire da una stretta nelle spalle.

Federico sorrise, scuotendo la testa.
Tirò a sua volta fuori il telefono dal fondo del borsone dove lo aveva buttato prima di uscire di casa e mandò un messaggio veloce ad Alice.

Mi manchi già.

Quant'era trascorso da quando aveva lasciato l'appartamento della ragazza?
Nemmeno un'ora, e già gli mancava.

Era irrecuperabile, un caso perso.
Era totalmente e irrimediabilmente innamorato di lei, e ancora non aveva realizzato al cento per cento che erano tornati insieme veramente, gli sembrava così bello che a volte faticava ancora a crederci.
Questa volta, però, non si sarebbe più permesso di farla soffrire e non avrebbe permesso a nessun altro e a nient'altro di separarli.

Sfortunatamente non aveva tempo per aspettare la risposta di lei, così rimise il telefono dentro al borsone e uscì.

Fuori il resto del gruppo era impegnato in una corsa lenta di riscaldamento, tranne Gigi e Wojciech, entrambi impegnati in un lavoro a parte assieme al preparatore dei portieri.

Federico aspettò che Andrea gli passasse davanti in modo da poter iniziare a correre al suo fianco.

«Buongiorno, Fede - lo salutò il difensore - Sei in ritardo.»

«Ero da Alice, prima di venire qua sono dovuto passare da casa a prendere le mie cose» gli spiegò.

«Ah - fece lui, fintamente meravigliato - ecco spiegato il ritardo. E le occhiaie.»

«Quali occhiaie?»

«Quante ore di sonno hai?» chiese a sua volta Andrea, una punta di malizia sia nella voce sia nel sorriso che gli aveva arricciato le labbra.

Federico capì la sua allusione e gli diede una leggera spintarella, «Ma smettila!»

Andrea rise, divertito.
«Comunque… com'è andata ieri sera? Le è piaciuto il ristorante?»

«Molto - annuì il più giovane - Grazie.»

«Non c'è di che - Federico era un ragazzo d'oro, gentile, educato, mai una parola fuori posto, professionale e, essendo lui un padre, si era augurato più e più volte che anche sua figlia, quando sarebbe diventata grande, potesse avere la stessa fortuna di Alice nel trovare un ragazzo come lui. Gli voleva bene quasi come se fosse suo figlio. No, rettificò mentalmente, quasi come ad un fratello, d'altronde non era poi così vecchio perché il ragazzo potesse essere suo figlio - Sai, Fede, sono davvero contento che le cose tra di voi si siano sistemate. Non poteva andare diversamente, siete fatti uno per l'altra. E poi è bello non vederti più quel muso lungo addosso.»

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