28. Un ufficio per due

Start from the beginning
                                    

«E' il mio pensiero - asserì tornando a sedersi per bene sulla sedia, e si strinse nelle spalle: non ci poteva fare niente, l'aveva sempre pensata in quella maniera e la sua idea non poteva di certo cambiare da un giorno all'altro - E possiamo smetterla di parlare di sesso a quest'ora del giorno?» domandò abbassando la voce.

«Io un pensierino su Dybala lo farei» rivelò lui, ignorando completamente la sua domanda.

«No, Nic, per piacere, eh. Già ci sono Giulia e... - stava per dire Federico, ma si fermò prima di pronunciare il suo nome perché poi avrebbe dovuto spiegare a Nicola tutta la storia per filo e per sengo e non ne aveva né le forze, né il tempo e soprattutto le mancava la voglia per parlare di lui - e gli altri a rompere con 'sta storia di me e Paulo, quindi ti prego non ti ci mettere anche tu» lo implorò.

Lui alzò le braccia, «Non dico nient'altro - Addentò l'ultimo pezzettino che era rimasto della ciambella che aveva ordinato insieme al caffè e si pulì gli angoli della bocca col fazzoletto - Al compleanno di Sofia ti vuoi mettere il vestito che abbiamo comprato insieme?» le chiese lasciando perdere il tema sesso.

«Sì, l'ho preso apposta. Non riuscivo a trovare niente di decente dentro al mio armadio.»

«Dovrò tenerti d'occhio perché con quello addosso eri una bomba.»

«Sì, sì, tienimi d'occhio perché come ti ho detto ho intenzione di ubriacarmi e non potrei rispondere delle mie azioni» scherzò.

«Sei in ottime mani, fidati di me.»

***

Alice cominciò a domandarsi se quella gonna non fosse veramente corta.
Stava attraversando il corridoio per andare in sala pranzo - col telefono attaccato all'orecchio, impegnata in una conversazione che durava da oltre mezz'ora con il suo capo - e già era stata squadrata dalla testa ai piedi da quattro uomini su cinque che aveva incontrato.
Si tirò la gonna più giù possibile e attraversò la stanza, guardando davanti a sé, senza spostare lo sguardo a destra o a sinistra.
Si sedette accanto a Paulo e si limitò a sorridergli e mimargli un «Ciao» con le labbra.
Era talmente attenta ad ascoltare l'avvocato che non si era minimamente accorta di come lui l'aveva guardata appena aveva messo piede in quella stanza.

«Sì, sì. Sì, okay. La chiamo io. Va bene. Sì, okay. Certo, sì. Buona giornata - lo salutò e finalmente poté spegnere la chiamata - Tu non mi parlare più» avvertì Gonzalo, visto che la stava guardando, e alzò un indice nella sua direzione in segno di monito.

Lui inizialmente sembrò non capire, tant'è che corrugò la fronte, fino a che un'illuminazione non lo colpì, e scoppiò a ridere.

«Ridi, ridi.»

«Alice, mi dispiace, però capisci che es mi trabajo.»

«Certamente - commentò con tono beffardo - Tu perché non hai giocato?» chiese rivolgendosi a Paulo.

«Problemi al polpaccio - le spiegò brevemente - Però se avessi giocato, non avrei fatto goal contro la tua squadra. Nunca.»

«Por supuesto que no» lo prese in giro Gonzalo, che in risposta ricevette un dito medio da parte del numero dieci.

Consumarono il pranzo così, punzecchiandosi e ridendo, come al loro solito.
Gonzalo raccontò ad Alice del casino che avevano combinato in hotel e, cosa che la fece morire delle risate, di come quando avevano preso l'autobus dopo la partita per tornare in hotel avevano dimenticato due dei ragazzi - di cui non fece i nomi - nello spogliatoio, rendendosi conto solo dieci minuti dopo che il bus era partito che c'era qualcosa che mancava.
Erano tornati indietro e si erano dovuti subire la sclerata del mister, che ovviamente aveva contribuito a rendere il tutto ancora più comico.
Gonzalo si era esibito in un'imitazione che l'aveva fatta quasi piangere dal troppo ridere.

Alice aveva provato ad ascoltarlo cercando di rimanere seria, ma la sua maschera da ostile che aveva indossato appena si era seduto al tavolo con lui aveva retto sì e no due minuti.
Era impossibile non ridere con quei due, la mettevano di buon umore con una semplicità disarmante.

Qualche minuto più tardi li raggiunse anche Michela e, poco dopo, arrivarono direttamente dallo spogliatoio anche Douglas e Rodrigo.

Quando finirono di mangiare, i ragazzi se ne andarono in palestra per concludere il loro allenamento, mentre le due ragazze salirono le scale e tornarono ognuna nel proprio ufficio.

Per Alice quella era giornata di telefonate: aveva segnato sull'agenda più di dieci numeri che doveva chiamare.
Aveva già parlato con due di quelle persone - un nuovo cliente a cui aveva fissato un colloquio e un dipendente del tribunale a cui doveva chiedere informazioni per il processo del presidente - e stava chiamando il terzo, tamburellando con le dita sulla scrivania aspettando una risposta, quando sentì bussare alla porta.

«Avanti!» esclamò, chiedendosi chi mai dovesse essere.

Rimase a bocca aperta vedendo l'ultima persona al mondo che avrebbe mai immaginato potesse entrare nel suo ufficio.

Federico?

«Che ci fai qui?»

Il ragazzo chiuse la porta alle sue spalle, «Io e te dobbiamo parlare» annunciò, fissando i suoi occhi verdi in quelli di Alice.

«Io non ho niente da dirti - asserì, abbassando lo sguardo. Posò il telefonino sul tavolo e prese a sfogliare le carte del fascicolo che aveva davanti a sé - Ti dispiace uscire e lasciarmi lavorare?» gli chiese, tornando a guardarlo.
Cercava di usare un tono di voce tranquillo, ma la punta del piede che continuava ininterrottamente a battere sul pavimento tradiva in realtà tutto il suo nervosismo.

«Non vado da nessuna parte finché non abbiamo parlato.»

«Io non ho niente da dire» ribadì, ferma.
Tutto quello che aveva sulla punta della lingua non erano altro che insulti.
Ma che diavolo voleva?

«Allora mi ascolti perché io, invece, ho tante cose da dirti.»

Alice lo guardò con gli occhi sgranati mentre si girava verso la porta e girava la chiave nella serratura, per poi infilarla nella tasca dei suoi pantaloni.

«Che cosa stai facendo?» riuscì a mormorare, sbigottita, dopo aver inghiottito il nodo che aveva in gola.

Federico prese posto sulla sedia di fronte a lei, «Non usciamo di qua finché non ho finito di parlare.»






Salve!

Terminare questo capitolo e raggiungere le 1500 parole - il minimo che prefisso ogni volta - è stato un parto.

Riguardo a questo capitolo non ho nulla da dire, aspetto che siate voi a commentare.

Una piccola informazione di servizio (se così la possiamo definire): nelle ultime settimane ho iniziato a leggere storie su Dybala (non so cosa mi stia succedendo) e il passo successivo, già lo so, sarà probabilmente cominciare a scrivere su di lui.
A rendere questo ancor più grave è il fatto che ho già cercato e trovato la protagonista femminile di una possibile storia (di cui un sesto di trama è già nella mia testa) su di lui.
Probabilmente non interessa a nessuno, se non a quelle ragazze che nei commenti mi avevano chiesto una storia su di lui e mi hanno messo in testa quest'idea, però ci tenevo a farvelo sapere.
Non vi garantisco niente.

A presto (forse).

M.

Potremmo ritornareWhere stories live. Discover now