40. ...incubi tutto l'anno 2/2

Start from the beginning
                                    

«Che prendi, Bì?»

«Un caffè macchiato.»

Andrea sorride e si gratta la testa, prima di sopirare appena. «Prima lo prendevi ristretto.»

«Quei tempi sono cambiati» rispondo, sorridendo forzatamente. «E anche noi.»

Mentre il cameriere si allontana e il sole, già nascosto per metà dietro le nuvole, si ritira ufficialmente a vita privata regalando a quello che mi circonda - già pesante di per sé - un'aura buia e scura, mi muovo a disagio sulla sedia, rigida, e non riesco a fare a meno di pensare che ritornare ad avere a che fare con lui è come fare fisioterapia dopo un incidente. Tutto quello che prima facevo con banalità, che mi sembrava scontato, naturale, ora mi sembra nuovo e forzato; faccio fatica a ingranare, devo imparare da zero a muovermi, parlare, ridere.

Fidarmi di lui.

«Sai» inizia a dire, guardando da tutt'altra parte «se tu non ti fossi fatta sentire, a Capodanno, l'avrei fatto io. Ti avevo dato dieci giorni di tempo, non uno di più, non uno di meno, poi ci avrei pensato io. Non ti avrei lasciata scappare di nuovo.»

«Per quello che ne potevi sapere, io sarei già potuta essere di nuovo a Milano. Mi avresti lasciata scappare eccome, Andrea: sono stata io ad avere il coraggio e la sventatezza di farmi sentire, seppure per uno scopo ben preciso.»

«Non importa, sarei venuto a prenderti anche in capo al mondo. Te l'ho detto: non l'avrei permesso.»

«E perché non prima? Perché non a luglio, quando avevo bisogno delle tue parole, quando avevo davvero bisogno che tu non permettessi che mi allontanassi da te, ma soprattutto che non mi allontanassi da me stessa? Perché hai permesso che passasse tutto questo tempo?»

«Perché non ti meritavo e...» tentenna, mentre riprende in mano il menù e inizia a giocarci. «E perché avevo bisogno di riflettere e metabolizzare.»

«Tu? Tu avevi bisogno di riflettere e metabolizzare?» dico, alzando il tono, senza riuscire a controllarmi; lo modulo immediatamente quando vedo una signora al tavolo affianco lanciarci un'occhiata incuriosita. «Io avevo bisogno di interiorizzare e non saltare a conclusioni affrettate, farmi idee sbagliate, o almeno non più di quelle che il tuo triste spettacolino mi aveva offerto davanti agli occhi. Mi hai lasciata andare alla deriva, sommersa dalla marea dello schifo che mi è piombato tra capo e collo e... Dio, ma quante cazzate mi hai detto?»

«Poche e superflue. Non ti ho mai mentito su di noi o su quello che provavo o s-»

Lo interrompo scuotendo velocemente la testa, non voglio sentire una parola, non una di più, sto soffrendo troppo. È come se qualcosa, dentro, qualcosa di pericolosamente simile a una bestiola, si stesse affilando gli artigli sul mio cuore e su qualunque altra cosa a sua disposizione, continuando a scavare e graffiare e ferire, ciclicamente, a ripetizione, e non si ferma più.

Il cameriere ci lascia i caffè di fronte, Andrea lo ringrazia con un cenno del capo ed entrambi ci fiondiamo sul contenitore con le bustine di zucchero, facendo scontrare le dita.

Stringimi ancora.
Allontanati da me.

Svuoto un'intera bustina nel caffè mentre lui se ne mette mezza e con un gesto spontaneo si avvicina per versare nella mia tazzina la restante metà. Si rende conto quando ormai è troppo tardi della familiarità di quel gesto - lo vedo bloccarsi a mezz'asta indeciso su come proseguire, mentre io non ho nemmeno il coraggio di guardarlo in faccia - , ma alla fine decide di fare come se niente fosse.

Giro lentamente il cucchiaino nella tazzina. Il fragore di un tuono perfora il silenzio ovattato e carico di cose non dette che ci avvolge e ci riempie le orecchie, spingendo sui timpani.

Tu sei (Le ceneri)Where stories live. Discover now