18. Nuvole bianche, grigie, nere

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Accendete la musica, vi prego.

2017

La pioggia ticchetta incessantemente sul vetro della cucina, mentre osservo questo panorama dipinto in scala di grigi con una tazza fumante di the in mano. Il ricordo di Londra, così familiare in questa giornata uggiosa che non so che sapore abbia, mi accarezza la guancia con il dorso della sua mano fredda.
La pioggia mi ha sempre reso malinconica, donandomi questo senso di incompletezza e nostalgia persino per quello che non ho mai conosciuto, figurarsi per ciò che mi sono lasciata indietro per la via.
I pensieri si infilano autonomamente in squarci dell'anima dai bordi frastagliati, frutto di artigli impietosi; mai risanati, sempre lì, affacciati sul mondo, a ricordarmi che tanto siamo stati, tanto siamo, tanto saremo.

Sospiro pesantemente, mi siedo sul divano color panna e prendo il libro che sto leggendo dal tavolino al mio fianco. Dalla pila di tomi e fogli cade una foto, che mi appresto a raccogliere.
Mi vedo sorridere a bocca spalancata, illuminata dal sole, nel giorno dei giorni; Vanessa al mio fianco tiene in mano un palloncino e persino Matteo, il secchione della classe, abbozza un sorriso.

Quando ci credevamo forti.
Quando credevamo di poter conquistare il mondo con due vocabolari.

Un tuono squarcia il silenzio felpato di questo pigro pomeriggio.

Mi alzo a cercare qualcosa nella libreria e una volta trovata la stringo a me, chiudo forte gli occhi e sorrido.
Torno sul divano a prendermi il mio tempo prima di farmi investire dalle emozioni.
La Smemo del 2010. Il diario del mio ultimo anno di liceo.
Copertina nera e pagine bianche, dove le mie mani cariche di sogni, uno per ogni dito, ha impresso il suo passaggio con colori, frasi, citazioni, foto.

Apro la copertina con mani tremanti. A svettare in prima pagina io e lui immortalati a Piazza Navona da uno di quei fotografi ambulanti che per quattro euro ti regalano un sogno in forma di pellicola fotografica. Praticamente un furto.
Ma a vent'anni scarsi che te ne frega dei furti, della crisi, dell'inflazione.

Sfoglio le pagine che ancora il tempo, severo giudice super partes, non ha ingiallito.
Una dedica dei compagni, Andrea, i compiti per casa, Andrea, un invito a un compleanno, una margherita, Andrea, il biglietto di un concerto, Andrea, oggi ho preso 9, Andrea, Andrea, Andrea.

Credo negli spazi vuoti, ma quelli che sono riuscita a riempire, me li ha riempiti sempre Andrea.

E tutti abbiamo un Lui a cui pensiamo in corsivo e con la "L" maiuscola.
I Lui dell'oggi, con la solidità e certezza che solo una vita divisa in due regala.
I Lui del domani, a cui si anela con occhi scintillanti e persi e cuori scalpitanti.
Infine, i Lui che semplicemente sono. Senza tempo, senza modo, senza ragione alcuna. Scomodi. Ingombranti.
Come quando i bambini giocano a nascondino e si celano dietro la tenda bianca del salotto, convinti di essere invisibili agli occhi di tutti, e invece spuntano piedi, mani, risate soffocate, respiri.
Così è Andrea.
Impossibile da nascondere, seppellire, dimenticare. Impossibile da lasciare andare.

Con la stessa ciclicità con cui l'inverno torna puntuale ogni anno a bussare con dita di brina alle porte dell'autunno, così inevitabilmente tornerai anche tu e così inevitabilmente te ne andrai lasciando dietro di te gelo, freddo, distruzione, cenere, polvere, innaturale pace con l'odore della morte.
A chiedersi "Te lo ricordi chi eravamo, chi siamo, chi saremo?"

Sono satura.
Dalla malinconia all'angoscia in questo climax di sofferenza di un pigro pomeriggio di domenica.

Incapace di respirare, con i polmoni rattrappiti, schiacciati, compressi, afferro le chiavi di casa e mi catapulto fuori, correndo per le strade congestionate da un traffico impazzito, ché quando a Roma piove sembra sia in corso l'apocalisse, tutti spaventati da due gocce.

Tu sei (Le ceneri)Where stories live. Discover now