13. Mettermi tra te e cento lame

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2010

Noemi mi guarda e sorride in silenzio, mentre le racconto tutto quello che è successo in questi giorni. Ascolta paziente e comprensiva, come da copione sin dai giorni in cui Mario dei giardinetti, il bambino biondo che non giocava mai con nessuno, mi regalava le caramelle e lei me le rubava mentre parlavo. La bocca stretta in una linea e gli occhi socchiusi per cercare di trovare la concentrazione adeguata; la mia spalla da una vita, per la vita.

«Non sono del tutto convinta però, Bea. Non mi fido di lui. Sai tutto quello che si dice in giro, come si comporta, come tratta le ragazze» dice, spargendo sale su una ferita aperta.
«Lo so, Noe', ma è inevitabile per me almeno provarci; non rimarrei mai col rimorso di qualcosa che poteva esserci, ma non c'è stato. Oltretutto, ammetto di non riuscire a resistere nemmeno se volessi.»
«Io sono felice per te in un modo o nell'altro, qualunque direzione tu prenda e qualunque cosa tu scelga di fare. Vediamo come va questo salto nel vuoto, io sarò pronta ad accoglierti a braccia aperte sul fondo del burrone se malauguratamente dovesse andare male.»
Le sorrido a 32 denti.

«E adesso? Come siete rimasti?» prosegue.
«Ci raggiungerà qui a momenti, giusto il tempo di lasciarmi fare quattro chiacchiere con la mia migliore amica.» dico, poco prima di fiondarmi su di lei e abbracciarla stretta.
«Mollami subito, piovra!» ride. «E poi? Che fate?»
«Poi magari andiamo a mangiare un panino o qualcosa» mi stringo nelle spalle con aria trasognata. «Mi basta essere con lui.»

Noemi mima un conato di vomito e in quell'esatto momento arriva Andrea, che si avvicina facendo un cenno di saluto con la mano; si siede sul gradino sopra al mio stringendomi tra le sue gambe e posa la testa sulla mia spalla, mentre continuiamo a parlare del più e del meno.

Poco più avanti Carlo beve qualcosa, con lo sguardo vacuo e annacquato rivolto verso di noi. Non riesco a fare a meno di sfuggire dalle situazioni scomode e lui è una situazione scomoda in piena regola: so che dovrei parlarci, quantomeno per chiarire, per spiegare, per dirgli che non è lui ad essere inadatto. Glielo devo per tutto quello che ha fatto per me.
Abbasso la testa sconsolata, consapevole di non riuscire a fare altro che scappare a gambe levate dai problemi. Mi sento debole.

«Andiamo, Bea?» La voce di Andrea è calda e mi accarezza il cuore. Non sembra consapevole né dei pensieri che mi sconvolgono in questo momento, né del potere benefico che esercita su di me, balsamo per la mia anima inquieta.
«Andiamo» sorrido.
Ci alziamo, salutiamo gli altri e ci muoviamo mano nella mano verso lo scooter.

È un attimo.

Le cinque dita di Carlo strette a pugno si abbattono sullo zigomo di Andrea, che si piega per il dolore e per riprendere fiato. Io mi blocco. Una statua di sale, colpevole di aver osservato Sodoma una volta di troppo.

E' un mix di urla, non ci capisco niente, c'è una confusione che a momenti manco allo stadio;
sento Carlo, che è furioso, non si contiene "Ti avevo detto di non prendere almeno lei! Lei era mia!"; sento Andrea, un grumo di rabbia sputata tra i denti "Ti ammazzo, stronzo!" e poi ci sono io, io che urlo più di tutti, un urlo silenzioso, muto, un urlo dell'anima, che non riesce a stare zitta e smettere di pensare che la responsabile di tutto sono io, che non ho messo le cose in chiaro, che ho fatto la codarda, che ho pensato che le cose si potessero risolvere sole.

Andrea si rialza minaccioso, gli occhi resi lucidi dal dolore e iniettati di sangue, la rabbia che gli sconvolge i lineamenti.
Ed è un parapiglia di persone, una confusione in cui ciascuno agogna un ruolo, un merito: chi difende, chi attacca, chi cerca aiuto, mentre io sono calamitata dall'unica persona che voglio accanto, dall'unico dittatoriale sentimento che conosco. Altro non so.
Gli prendo il volto tra le mani e lo guardo, fisso.
Andiamocene. Andiamo via.»

Non mi presta attenzione mentre cerca freneticamente di individuare la presenza di Carlo oltre le mie spalle, i ricci castani che si agitano nell'aria.
«Andrea!» Per un secondo ho la sua completa attenzione. «Andiamo via. Via. Io e te.»
Mi guarda per qualche attimo, con quegli occhi che hanno parlato ai miei sin dal primo istante, pupille dentro pupille, nero dentro nero. Senza dire una parola sale sullo scooter e mi fa un cenno con la testa, indicandomi il posto dietro di lui.

Alcuni minuti dopo siamo già sulla strada; guida veloce, ma mi stringo forte a lui e lascio che rabbia e frustrazione fluiscano veloci come la ruota che mangia l'asfalto.

*

Siamo seduti sul divano di casa sua in silenzio, mentre preme una confezione di piselli surgelati sullo zigomo offeso, senza toccarmi, senza guardarmi, chiuso nella sua bolla.
A disagio, immersa in questo silenzio serrato da quelle che mi sembrano ere geologiche, mi guardo le mani in grembo mentre spezzo le pellicine vicino alle unghie ridotte quasi all'osso.

«Vorrei dirti tante cose.» Sussurra, improvvisamente.
«Dille.»
«Non so da dove iniziare.»
«Prova dal principio. A volte la soluzione è più semplice di quello che si crede.»
«Non so come si fa.»
«È tutto un gioco di lingua, denti, muscoli, corde vocali. Oh, e aria. Fai un bel respiro, Andrea, e inizia.»
«Ed è proprio per questo che non so come si fa. Il mio linguaggio è sempre stata la musica, Beatrice. È sempre stato tutto un gioco di legno, corde, dita, plettro. Non so altro.»
«Allora suona per me.»
«Non posso.»
«Perché?»
«Perché tu sei bella che la musica non c'è.»

Sorrido.

«In qualche modo dovrai pur dirmi quello che mi devi dire.»
«Io comunico con le mani, non sono bravo con le parole, ho il debito in italiano. O suono o tocco.»
«E allora toccami, Andrea.» Porto la sua mano sul mio volto. «Toccami e parlami.»

Mi sfiora la guancia con le nocche, allacciando i suoi occhi ai miei. Passa l'indice ruvido sulla punta del naso, mi chiude le palpebre delicatamente, mi strofina le dita sul labbro inferiore. L'indice, il medio, l'anulare, il mignolo, il pollice.
Poi più nulla.
Rimango in attesa a occhi chiusi, senza respiro, e mi rendo conto che potrei attendere così per un'altra intera vita.

«C'è troppa luce dentro la stanza.» Si alza e accosta la tenda, creando una densa penombra, in cui il tempo sembra fermarsi. Il pulviscolo svolazza di fronte a me riempiendo la stanza. «Alcune cose vanno dette senza luce.»
Ritorna accanto a me, fissandomi con quegli occhi penetranti.

«Tutto quello che voglio, al momento, lo voglio insieme a te, Beatrice.»
«Tutto quello di cui ho bisogno, al momento, sei tu, Andrea.»
«Oggi sei stata fondamentale, decisiva. Tu mi sai calmare, sai colmare tutti i miei vuoti.»
Accosta la fronte alla mia, i nostri nasi che si sfiorano.
Andrea sa di Andrea: tabacco, profumo e pelle. Odore di casa.

«Posso?» chiede.
«Devi.»

Riduce maggiormente le distanze, accarezzando le mie labbra con le sue. Di più, voglio di più.

Osa, Andrea.

Tu sei (Le ceneri)Where stories live. Discover now