3. I peggio casini

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2017

Andrea

In un sabato sera qualunque, sul fondo del bicchiere cerco quanto c'è di me in te. Quanto di te c'è in me.
Andrea in Beatrice e Beatrice in Andrea.
E nel tempo ho imparato a scoprire quello che c'è in te.

Ho imparato che c'è il sole che accarezza ogni superficie su cui si poggia il suo sguardo, un tepore ovattato, ci sono le voci dei bambini che corrono e si rotolano sull'erba o si tuffano nel mare, ci sono i fruscii dei giornali dei nonni che sono scesi in piazza a parlare della partita con gli amici di una vita, c'è il profumo della pasta fatta in casa della mamma che con la finestra aperta e un pezzo anni '70 in radio prepara il pranzo della domenica. E sei primavera, Beatrice.
Ho imparato che c'è la pallida luce della luna che illumina i boschi, il silenzio che permea il buio in mezzo ai rami, il freddo, la neve, c'è il profumo della solitudine, la paura che ti ghiaccia persino le ossa, ci sono gli ululati dei lupi, gli scricchiolii che quando cammini e non sai dove metti i piedi ti fermi una volta ogni tre passi per guardarti intorno, e tremi. E sei inverno, Beatrice.

In un sabato sera qualunque, nelle venature appiccicaticce del bancone del bar cerco quanto c'è di me in te. Quanto di te c'è in me.
Andrea in Beatrice e Beatrice in Andrea.
E nel tempo non ho ancora imparato a scoprire quello che c'è in te.

Non avevo imparato che in te ci fosse l'uragano, che ci fosse Katrina, Irma, Wilma, Irene, Patricia, che ci fosse caos calmo. Perché ti vedevo, ma non ti guardavo; e in te vedevo solo le stagioni, con il loro susseguirsi lento e prevedibile e i loro precisi giorni già impostati su un calendario di quelli che ti regala a gennaio il panificio per sponsorizzare il pane più buono di tutta la Nomentana.
Non avevo previsto le sfumature e gli imprevisti e in questa partita di Monopoli sono andato in galera senza passare dal via. E sono tanto sorpreso da te, che mi riservi continue meraviglie, da essere punto e a capo. Ancora.

In un sabato sera qualunque, nelle linee e rughe delle mani di questo barista che strofina i bicchieri con un tessuto a quadri cerco quanto c'è di me in te. Quanto di te c'è in me.
Andrea in Beatrice e Beatrice in Andrea.
Lettere dell'alfabeto a voler essere per forza vicine come noi, a rincorrersi in eterno, la A e poi la B, l'uno e poi il due, il giorno e poi la notte.
Dividiamo gli stessi rancori. Li vedo affiorare sotto pelle nascosti tra le cellule, riempiono tutti gli spazi possibili, adattandosi a curve e spigoli. Fremono e ribollono, piano, ma in costante movimento.

Io lo so quanto c'è di te in me.
Un'infinità di volte mi sono perso dentro di te, nell'unico modo di unirmi a qualcuno che conosco, smarrendo la via della ragione. Mi sono preso tutto quello che ritenevo dovesse essere mio, nutrendomi di te, da te, strappandoti pezzi, ma troppo egoista per darti qualcosa in cambio. Buchi di anima sparsi qua e là per le tue morbide curve.

Io non lo so quanto c'è di me in te.
E me ne rendo conto adesso, in un sabato sera qualunque, guardando i volti anonimi degli alcolizzati come me, che se cerco non trovo nulla.
Egoista.
Ma a forza di viverci, in questa città che non sa piangere, non so piangere nemmeno io.
Mi avevi insegnato, tanto tempo fa, ma ora l'ho scordato.
E non c'è più tempo.

O sì?

Insegnami di nuovo, Beatrice.
Perdonami, Beatrice.
Sono un coglione, Beatrice.

Tu sei (Le ceneri)Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon